Boccaccio Manzoni e lo Stato di Luigi Firpo

Boccaccio, Manzoni e lo Stato LA POLEMICA SUI «CLASSICI» IN CRISI Boccaccio, Manzoni e lo Stato Il mese scorso Giorgio Manganelli ha gettato uno scandalizzato allarme, denunciando al pubblico degli amatori della nostra letteratura un'operazione crudele perpetrata dall'editore Mondadori. La prestigiosa collana dei «Classici» italiani — legatura in pelle, carta india, tomi maneggevoli pur sfiorando le 1500 pagine — sarebbe stata troncata bruscamente, le opere in corso lasciate a mezzo, le copie in magazzino avviate al mercato a metà prezzo del Remainder. Chiuso, finito e non parlarne più. Per Manganelli si trattava di una bruciante sconfìtta dell'alta cultura, addirittura di uno scandalo tale da invocare ripensamenti e soccorsi. Più d'uno, su vari fogli, ha replicato, precisato, innalzato voti, finche Leonardo Mondadori non ha ritenuto di replicare con l'autorevolezza del protagonista, cui spettano le scelte ultime. Non e vero, egli ha sottolineato, che la svendita riguardi l'intero residuo, perche si tratta solo delle copie «di blocco», danneggiate o imperfette; non è vero che la collana sia stata chiusa, anche se alcuni dei testi «esauriti (e appannati dagli anni) non verranno più ristampati, tant'è che presto appariranno volumi nuovi di Boccaccio e di Manzoni; non è sostenibile da un editore privato, senz'ombra di pubblico sussidio, l'impresa di pubblicare «tutte le opere» dei singoli autori, cosi come l'intenzione e il titolo originari si proponevano. Come reggere a un tale sforzo, se in nove anni un poema celebrato come L'Adone del Marino non ha raggiunto uno smercio di 1500 copie e se di un primo tomo di Lettere di Baldassar Castiglione — opera per ogni verso preziosissima — si sono vendute in otto anni copie 801 ? Mondadori parla poi di iniziative parallele e in parte sostitutive, di aspettative diverse del mercato, di un costante interesse della sua Casa per l'immenso patrimonio delle nostre lettere: respinge, in sostanza, l'accusa di essere un killer dell'Ariosto c del Manzoni, ma lascia anche capire di non poter continuare a lungo a esserne il martire. Lo Stato, che stanzia due miliardi per le celebrazioni manzoniane di quest'anno, non spende una lira per sostenere l'edizione critica del Conte di Carmagnola. In realtà, questi «Classici» di cui si piange il mortorio, benché appena cinquantenni e tuttora affascinanti e preziosi, mostravano da tempo i segni della loro nascita travagliata. Aveva cominciato Francesco Pastonchi a vagheggiarli, lui intimo di casa Mondadori, e aveva anche fatto disegnare apposta un bel carattere largo e nitido, intitolato al suo nome, le cui matrici vennero poi incise dalla britannica e prestigiosa Monotype. Raffinato recitatore dantesco e poeta lui stesso, ma di flebile respiro, Pastonchi, nonché digiuno, era insensibile affatto alla filologia, inadattissimo quindi a delincare un qualsiasi programma del genere. Né saprei dire se lui o altri suggerì o prescelse i moduli editoriali e l'austero decoro della Plèiade. Presto a Pastonchi succedette Francesco Flora, solare e vulcanico lettore di poesia, critico di ricca sensibilità e di varia erudizione, ma crocianamente orientato all'estetico godimento dei testi piuttosto che al loro minuto e oscuro accertamento letterale. L'ambizioso progetto di for¬ nire «tutte le opere» degli autori prescelti era inoltre smisurato e, anche a volersi limitare ai grandissimi, francamente sovrumano. Si aggiunga che l'aggressiva polemica idealistica contro la scuola storica aveva diradato e mortificato nelle nostre Università l'interesse filologico per privilegiare gli ispirati ricercatori della «poesia», assottigliando così le schiere dei volenterosi disposti a zappare le vigne sassose ed irte del restauro testuale solo perché altri, più ispirati e sensibili, ne delibassero i frutti. Dunque, un cumulo immenso di materiali grezzi e mal esplorati e, di contro, gran penuria di addetti ai lavori. Quattordici volumi di Goldoni fra il '41 e il '56, cinque di Metastasio fra il '43 e il '54, mostrarono invece che le ambizioni erano sconfinate, anche se la realizzazione si affidava in sostanza a ricerche pregresse (ne! caso di Goldoni poco più d'una ristampa della sontuosa edizione promossa dal Comune di Venezia). Si aggiunga poi che le troppe edizioni curate direttamente da Flora non andavano al di là di una discontinua diligenza ncll'attingere a «buone» stampe precedenti e nello stendere note sommarie. Il suo passare con scioltezza da Bande-Ilo a Leopardi, da Machiavelli a Vico, tradiva un lavoro di redazione tanto pro¬ bo quanto frettoloso, piuttosto di svelto maquillage che di restauro. Getti inserimenti, come quello di un riciclato e sciatto Marco Polo, apparivano addirittura mortificanti. Si accentuava così una divaricazione insanabile tra un progetto di editto maior, la sola compatibile con un piano ambizioso al punto da comprendere tutte le opere di ogni singolo autore, e quello di una decorosa ristampa, elegante ma divulgativa, rivolta ad un pubblico di amatori per i quali «tutto» sarebbe riuscito francamente indigesto. Io stesso, dopo aver curato un massiccio tomo di scritti letterari del Campanella mi arresi di fronte ad un progetto tanto smisurato da prevedere qualcosa come 40 mila pagine, destinate a schiacciare editore e lettori, e me con loro. Le cose sono cambiate dal giorno in cui l'impresa è stata affidata a Dante Isella, un filologo di eccezionali qualità, capo di una scuola esemplare e dotato di enorme capacità di lavoro. Ma ormai la collana appariva come un vestito stretto, con le sue dense pagine quasi senza margine, le note e gli apparati confinati in calce e quella sua duplice vocazione discorde, che fatalmente l'avrebbe condotta ad una crisi. Via via che la qualità e la scelta dei testi cresceva di statura, l'assetto editoriale si rivelava inadeguato, perché un'edizione critica esige spazi distesi, commentario a pie di pagina, apparati non differiti di varianti testuali. Quando lavori di questo impegno e rigore saranno largamente e sistematicamente disponibili — e lo Stato, che sperpera miliardi nella stampa di fatuità pseudo-dotte, dovrebbe sostenerli con un appoggio illuminato — soltanto allora le .dignitose e raffinate collezioni di classici per un più largò pubblico potranno staccarne e diffonderne i fiori e i frutti. Per ora, andiamo avanti così, caso per caso e giorno dopo giorno: la filologia è una fanciulla arcigna, difficile da espugnare. Luigi Firpo Giovanni Boccaccio in una caricatura di David Irvine (Copyright N.Y. Revlew ol Books. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa-) '

Luoghi citati: Carmagnola, Comune Di Venezia, Italia