Il politico scivola in Tv di Ezio Mauro

Il politico scivola in Tv Da «Tribuna politica» ai confronti con il pubblico: storie di successi e mezzi fallimenti Il politico scivola in Tv Gregoretti, responsabile di «Italia parla»: «Quando per la prima volta abbiamo messo i segretari di fronte a un pubblico vero, hanno giurato che non sarebbero tornati più» - Zucconi («Votare per chi»): «Molti parlano ancora come scrivono, ecco il guaio» - Il decalogo inascoltato di Jacobelli ROMA — Ecco la vecchia sigla musicale che viene avanti dal fondo dell'ottobre 1960. E' La prima volta, venticinque anni fa. «Tribuna politica» incominciava cosi, con 24 giornalisti, ben pettinati e composti, schierati a conchiglia attorno ai primi uomini politici portati nelle case degli italiani dalla televisione., Primo piano sul tavolo centrale. C'è Gianni Oranzotto. con in mano la sigaretta che oggi nessun moderatore si sognerebbe di accendere sul video. C'è Mario Tanassi incipriato e sorridente, con il fazzoletto bianco che spunta dal taschino del vestito scuro del giorni importanti. C'è Giuseppe Saragat con i 62 anni di allora, il gllet sotto la giacca, e per l'occasione i gemelli ben in vista al polsini della camicia. Sul tavolo, tanto per dare un'impressione di ordine e di austerità, un vecchio calamaio vuoto, imponente, completamente inutile. L'unica cosa che è rimasta uguale ad allora, sono i gemelli ai polsini socialdemocratici: da allievo fedele, anche Pietro Longo li ostentava una settimana fa, nella tribuna tivù. Venticinque anni di televisione, per il resto, hanno cambiato lessico e abitudini degli uomini politici, oratoria e mimica, toni e argomenti. Dall'altra parte del video, è cambiato anche il tipo di «consumo" della propaganda politica da parte del cittadino-elettorale. Una volta, doveva partire da casa, con un atto di partecipazione da militante, da simpatizzante o almeno da curioso, per ascoltare un comizio sulla piazza o In un cinema del leader lontano, issato su .un palco, qualche volta in piedi su un pacco di giornali per dominare la folla, come capitò a Fanfani. Oggi riceve la comunicazione politica direttamente a domicilio, il segretario politico arriva sullo schermo all'ora di cena, c'è persino il colore per sottolineare la cravatta sbagliata, cosi come la telecamera, impietosa, ruba la smorfia, sottolinea la stanchezza, ingigantisce gli attimi d'incertezza e gli scatti d'impazienza. Ma in questi venticinque anni, 1 politici hanno imparato davvero a usare la televisione? «Diciamo die forse stanno appena imparando — spiega Carlo Gregoretti, che ha ideato "Italia parla", giunta quest'anno alla terza edizione su Rete 4 —. La naturale evoluitone dello spettacolo elettorale televisivo. Quando per la prima volta, nell'83, abbiamo messo i segretari di partito davanti ad un pubblico vero, fatto non di giornalisti specializzati, ma di cittadini che replicavano, insistevano; parlavano di problemi concreti, molti leader si sono indignati. Per loro il contraddittorio è confusione, non sono abituati a essere interrotti e contraddetti durante il comizio. Dietro le quinte, alla fine, ho visto gente rossa di rabbia, pronta a giurare che non sarebbe venuta mai più. E, infatti, abbiamo faticato a convincere tutti a ritornare per la seconda edizione. De e pei si sono messi d'accordo, e hanno detto no a un dibattito che per le loro abitudini era troppo pericoloso, perché senea rete. Poi, quest'anno, hanno cambiato idea. Poco per volta, dunque, anche i politici si abituano a convivere con la tivii, e accettano le sue regole, anche se scomode*. Una convivenza ambita, inseguita, spesso sfruttata male, «La verità è che i nostri uomini politici, che passano in televisione mediamente dieci volte all'anno per le varie "tribune", si credono ormai dei tecnici solo perché hanno imparato a guardare in macchina e a infilare la camicia celeste sotto la giacca, visto che questa bianca "spara", come si dice in gergo — racconta Guglielmo Zucconi, che guida 1 dibattiti di "Votare per chi" su Canale 5 —. In realtà, se dall'immagine passiamo alla sostama, o anche solo alla forma dei discorsi, è un messo disastro. Questi parlano ancora come scrivono. Ecco il guaio: abbondano in subordinate, incisi, parentesi mentali, costruzioni complesse. Chi capita davanti a lóro passando da un canale all'altro, e li ascolta per pochi attimi, non capisce niènte. E invece, proprio il pubblico vagante del telecomando dovrebbe essere un grande territorio di caccia. Cambia é cambia canale, prima o poi tutti passano per caso sulla stagione che trasmette il dibattito' Ci restano magari solo un minuto: ecco perché ogni frase dell'uomo politico dovrebbe essere un chicco di riso, staccabile e consumabile da solo*. Invece troppo spesso è un pastone, indigesto. La prova viene dal dati della noia crescente che scrupolosamente Jader. Jacobelli, direttore delle «tribune» Rai, annota anno dopo anno, -Negli Anni SO — spiega — la media era di 16-17 milioni di ascoltatori per ogni tribuna. Oggi, tra Rai e televisioni private, arriviamo a un -massimo di 6 milioni di ascoltatori per i dibattiti politici*. La colpa? .Jacobelli ha pronto un suo decalogo per 1 politici in tivù,' con dieci rego¬ le fondamentali: il gradimento televisivo è inversamente proporzionale rispetto al tempo passato sul video; 1 telespettatori che ascoltano sono sempre, in maggioranza, elettori di altri partiti o indifferènti; la televisione più che una cattedra è un confessionale; non si parla a milioni di persone, ma a singoli Individui; la tivù è un pantografo che Ingigantisce i toni troppo alti; bisogna colloquiare più che arringare; respingere le domande compiacenti; alla televisione non si può dire tutto, ma al massimo due cose per volta; l'occhio del pubblico 'è l'obiettivo della telecamera. Ma è. un decalogo inascoltato, e anche Jacobelli si è stancato di dare consigli ai leaders: «Sanno sbagliare benissimo da soli. Peccato, perché la politica in televisione è in gran parte un'occasione sprecata*. Eppure qualcosa si muove, dice Maurizio Costanzo, che nel '76 per la prima volta ha attirato i politici fuori dai recinti protetti delle tribune, portandoli nel suol talk show. «Afe II ricordo: sudati, impacciati, imbarazzati, indecisi perslno.se accavallare le gambe o no, mentre non sapevano assolutamente dove mettere le mani. Devo dire che hanno fatto progressi. Quest'anno ho visto De Mita sciolto, Longo ancora un po' troppo sloganistico, Spadolini professorale ma rilassato, Cicchetto comiziante ma rapido, Zanone tranquillo, Martelli dotto ma chiaro, Almirante umile e morbido come un impiegato statale di gruppo C, Capanna con il senso della battuta, Pannella capace di arrabbiarsi a comando, come Gianni Agus». E qualcosa si muove più'nel profondo del rapporto tra politica e telecamera. A Milano, 1 repubblicani hanno riunito i loro candidati, e li hanno fatti addestrare dal tecnici pub-, bllcltarl della «Pirelli» sull'uso della tivù. Da Roma, Clemente Mastella, capoufficio stampa de, ha spedito in periferia migliala di copie di un «vademecum» per sfruttare al meglio l'apparizione televisiva. Il buon esempio, l'ha dato per primo Ciriaco De Mita: tre mesi fa ha incominciato un corso di dizione e 1 suoi giurano che andrà avanti. Ezio Mauro

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