Predoni tra i faggi del Gargano di Francesco Santini

Predoni tra i faggi del Gargano CHI SALVERÀ' LE ULTIME FORESTE ITALIANE? Predoni tra i faggi del Gargano Ventiduemila ettari dì tassi, ceni e altri alberi secolari sono minacciati dai bracconieri e dai cacciatori di funghi, piante e fiori - Si teme l'assalto estivo di 250 mila turisti - Le guardie sono insufficienti - Il ministero: «Ci vorrebbe una patente per l'escursionismo silvestre» - L'università polemica con gli ecologi d'assalto DAL NOSTRO INVIATO GARGANO — Dice il direttore generale delle Foreste: «Per i boschi, l'impulso dello Slato, negli ultimi anni, è stato molto debole, anzi nullo». Poi, con rassegnazione, ammette: «Per 1 parchi naturali e per le riserve, la nostra Repubblica spende ogni anno soltanto 15 miliardi: pensiamo a una nuova carta delle foreste, ma siamo incerti per il solito, dolente, meccanismo del finanziamenti». E il disastro subito si avverte nella Foresta Umbra, al 'centro del •Gargano, dove tutto appare in rovina: sono pieni di erìbacce i vivai, dense di buchi 'del bracconaggio le recinzioni delle riserve, mentre più nessuno si cura del pascolo sfrenato, sin nell'interno della foresta demaniale, dove tori e vitelli sostano nelle aree riservate al picnic del gitattli. L'amore improvviso per la foresta minaccia un lembo unloodljterrttorlo e ì'altarme s'aggiunge a quello per l'edilìzia sfrenata che già segna le coste. Sterminatori di felci, predatori di piante e fiori. cacciatori di funghi, incisori esttvl di faggi e tassi antichissimi invadono il (Sorgano dei boscaiolt. Ma il fenicottero rosa è tornato in un tempio meridionale della natura. Spinto dalle tempeste, s'è fermato nelle saline di Margherita di Savola. L'hanno avvistato gli uomint della Forestale. Sorpassa la Foresta Umbra, per tuffarsi in direzione di Lesina e di Varano. E la presenza del fenicottero, questa primavera, porta a dimenticare il calpestio sfrenato del coltivatoti dì basilico da balcone che invadono i boschi garganici nella mania di estirpare. Tra i mufloni Il direttore di Foresta Umbra teme quei 250 mila visitatori che ogni anno, tra il finire di luglio e il Ferragosto, battono la foresta. Un esercito accaldato di turisti risale dalla costa. Lascia Peschici e Vieste per riversarsi, senza ordine, nella foresta ombrosa del promontorio. E nulla è risparmiato. «Si arriva, dice il direttore Laurlola, a invadere le riserve... Rac- conta di daini e mufloni pazzi di terrore, di gatti selvatici e di bianconi, di donnole e martore in fuga. Di tane distrutte, di piccoli strappati. L'estate è in arrivo e nulla può essere garantito per questa ultima concentrazione garganica dove cacciava Federico Il di Svevla. Lungo la statale 16 clic sale da Bari in direzione di Foggia, la pianura del Tavoliere irrompe sconfinata sino ai rilievi montu_osl del promontorio. Il Gargano appare improvviso: «Una scheggia balcanica» lo definisce il professor Vittorio Gualdi, cattedra a Bari di assestamento forestale. Ha amministralo la Foresta Umbra per dieci anni, ne ha raddoppiato l'estensione demaniale sino ai diecimila ettari, ne è il massimo specialista e conoscitore. In queste ore ti suo istituto ha individuato un ultimo ibrido di cerro e quercia troiana. «Qualcosa di slmile, dice, possiamo trovarlo soltanto in Jugoslavia... E la foresta, nelle dimensioni degli alberi die svettano a trenta e quaranta metri, riporta ai paesaggi della Bosnia Erzegovina. Elementi atlantici delle concentrazioni pirenaiche e francesi si sovrappongono ad aspetti balcanici. «Ecco l'edera e lo stesso faggio: siamo sull'Atlantico», dice Gualdi, che subtto indica il carpino orientale del Balcani. Con i turisti impreparati della domenica, teme i «khomeinisli» dell'ecologia, sempre in bilico tra estremismi e sponsorizzazioni, spot televisivi e divieti per foreste che «pochi conoscono». Gualdi invoca, per la selvicultura, «coerenza e rigore», ma subilo avverte che i boschi invecchiano e muoiono. La pressione dell'uomo impone cure maggiori e più attente. «Viviamo, ripete, tempi di confusione ideologica e culturale: mode e passioni verdi pongono in discussione il rigore di una scienza che insegna a far vivere i boschi e a coltivarli una volta deciso il fine». Ricorda, per la Foresta Umbra, i grandi taglt del Novecento. Le traversine ferroviarie meridionali venivano dal Gargano, come i calci del moschetti e i sedtlt e i portapacchi di legno giallo ■delle carrozze ferroviarie della terza classe. «Ma ora, più nessuno vorrebbe toccare un ramo secco». Esplode la «dimensioneecologica. Il ministero delle Foreste, svuotato di compiti per il passaggio del boschi alle Regioni, censisce i patriarchi vegetali. Scrive la storia di giganti ullramille'narl e il direttore generale Alessandrini, che ha sguinzagliato tremila guardie nell'esplorazione del territorio, annuncia: «Andiamo alla ricerca del patrimonio genetico degli esemplari più forti affinché si possano riprodurre quei colossi che hanno sopravvissuto alla storia, dai re romani al barbari, dalle Crociate alle pestilenze, dal Rinascimento ai tempi meno felici... Nuovo piano Seimila uomini nel corpo forestale per i sei milioni e quattrocentomila ettari di bosco che ricoprono il Paese. Alessandrini tenta la pianificazione. Spedisce nel vtvaio di Pieve Santo Stefano il patrimonio genetico degli alberi più forti e prepara per il ministro Pandolft il nuovo plano forestale per le direttive alle Regioni. «E' la prima volta, dice, che si tenta di "pensare" la vita delle foreste, con la separazione dai temi dell'agricoltura». £' un divorzio culturale che fa ben sperare, «anche per organizzare una produzione di legno che riequilibri la bilancia del pagamenti», perette su trenta milioni di metri cubi che si consumano ogni anno in Italia soltanto sette sono di nostra produzione. Alessandrini sogna le foreste Industriali, ma subtto torna alla realtà di un bilancio insufficiente anche per la ricerca. Per i -nuovi barbari-, che tutto* estirpano, il direttore generale vorrebbe il blocco assoluto: «Per il bosco adotterei una patente come per chi va per mare perché l'approccio della nuova generazione urbana, nel riscoprire la civiltà dell'albero, non debba turbare il prodigio di energia c di forza che ogni foresta è nel suo insieme». La storia vive nel Gargano accelerazioni traumattdie: in dieci anni i contorni del paesaggio pugliese sono mutati più che in cento o in mille. Della foresta sterminata rimangono, nel promontorio, ventiduemila ettari. Dei feudi senza confine resiste il nucleo centrale della foresta. Della selva millenaria cantata da Ovidio, ecco, nel cuore del promontorio, una concentrazione irripetibile di lecci e olmi, di cerrl giganteschi, di tassi secolari, sino ai pini d'Aleppo e alle faggete che svettano a quaranta metri. Feudo dei Grimaldi nel Cinquecento con tutto il territorio di Monte Sant'Angelo, fu ripartito tra i Comuni garganici nel regno di Marat. Fu il commissario Biase Zurlo die nel 1813 assegnò al demanio dello Stato il nucleo della Foresta Umbra. Duemila ettari. Poi gli incrementi, agli inizi del '900. con i tremila ettari dei Forquet. tra Vico e Peschici con il complesso Carttate. E ancora altri cinquemila, sino al raddoppio del bosco demaniale, negli Anni 60, con l'amministrazione Gualdi. Trofei inutili «Ora, dice Gualdi, nessuno più vuol far nulla». Dopo lo scempio della società belga che con la sua ferrovia a scartamento ridotto attraversava agli inizi del Novecento l'intero promontorio per imbarcare sui grandi velieri centinaia di migliaia di colossi, oggi più nessuno si preoccupa di coltivare il bosco, che è rifiorito, ài sfoltire le piante giovani, di estirpare quelle secche. «I danni, prevede, s'avvertiranno nei prossimi anni, forse nel nuovo millennio quando il bosco ;cesserà di rinnovarsi, stretto" dall'uomo, dal cemento, dall'escursionismo sconsiderato». E Alfredo Bertoluzzi, il pittore che ha scelto PeseJiu-ì per continuare a dipingere i modelli appresi alla Bauhaus, parla del promontorio con rimpianto. Di una terra «selvatica, bella e ingenua» dominata dal fascino del mare e degli alberi. Racconta di pescatori e di vele dipinte dal marinai nel colori di terra, di mastri d'ascia in grado di dividere un tronco in otto porzioni verticali, di specialisti «eccelsi e invidiati». «Ogni tradizione s'è persa, ogni radice è stata recisa». Spera soltanto che ti bosco resista anche ai «nuovi vandali» che lo assaltano per scalpi inutili e trofei vegetali subito abbandonati al sole». La forza del promontorio s'avverte lungo la strada die da Lesina conduce a Rodi. Una foresta di querce occupava il versante a monte del lago di Varano. Fu distrutta sul finire della grande guerra. Un rogo dt cinquecento ettari acceso dai carabinieri reali per snidare i disertori. Su quelle ceneri oggi prospera un esempio, unico per l'Italia, di schibljak, la formazione propria dell'altra sponda dell'Adriatico e della Jugoslavia, con lecci e latifoglie eliofile. Ecco le nuove faggete. Nel bosco dt Ischitella, nel bosco Spigno e in Foresta Umbra segnalano formazioni sconosciute. Tra violette e incredibili orchidee, tra campanule garganiche stupende, nascono i nuovi alberi. Milioni dì faggi minuscoli, di pini, di aceri e Cerri da cinque centimetri nati nel sottobosco accanto ai giganti. Milioni di alberi alla ricerca disperata di spazio e luce, identici nella forza genetica ai colossi da quaranta metri, pronti ad essere seppelliti sotto gli zoccoli estivi del turismo «considerato, esploso sul finire di questo millennio. Francesco Santini s "X