Dollar Brand: «Non suono ma prego Allah»

Dollar Brand: «Non suono ma prego Allah» Dollar Brand: «Non suono ma prego Allah» sono d'accordo. Però non mi nascondo che pregare assieme è più difficile. Da soli sì è liberi, in due si è meno liberi, figuriamoci in quindici. I musicisti che lavorano con me sono sovente eccellenti, ma posso riunirli solo a larghi intervalli. Una grande orchestra è molto costosa, oggi. E' un probleìna di mercato». Già. il mercato. Come vede il jazz sotto questo aspetto? «Male. La bottega dilaga in ogni direzione, e il jazz non è mai stato musica di massa. E' un momento che passerà, fórse, per il principio dei ricorsi storici, ma è duro. I concerti hanno costi molto alti e i dischi, specialmente nel Paesi che hanno possibilità di distribuzione piuttosto limitate, come l'Italia, si vendono poco. A maggior ragione bisognerebbe che i concerti fossero organizzati come sì deve, evitando i l'iaggi massacranti e curando la puntualità e la professionalità: il che. vuol dire prove dei microfoni fatte come si deve, proibizione assoluta ai fotografi di sparare flashes in faccia ai musicisti, divieto agli spettatori di spianare i soliti registratori, e cosi ina». Continuando a parlare, vie» fuori la notizia ghiotta. Per fronteggiare la crisi, Abdullah Ibrahim ha fondato una sua casa discografica rilevando un'etichetta già esistente: si chiama Ekapa Records, da un vocabolo africano che significa casa. Sta per pubblicare contemporaneamente sei album. Tre hanno per protagonista la cantante Sàthima Ibrahim, moglie di Abdullah, poco conosciuta in Europa ma bravissima. Gli altri, intitolati rispettivamente «Ekapa», «Live at Sweet Basii» e «Water from an ancient well», sono di Abdullah Ibrahim alla testa di un settetto, in duo col saxofonista Carlos Ward e infine da solo. Fatta eccezione per 1 maggiori mercati del mondo, il problema sarà ancora una volta quello della distribuzione. fav MILANO — Nella sala d'attesa dell'aeroporto, incontriamo un Dollar Brand in vena di polemiche. Il celebre pianista sudafricano (che da quando si è convertito all'islamismo si fa chiamare Abdullah Ibrahim: ma questo nome da noi ha scarsa fortuna) è arrabbiatissimo con gli organizzatori italiani dei concerti di jazz «che sono capaci di leggerezze e di approssimazioni incredibili». Non ha tutti i torti. Poche sere or sono, in una città della Lombardia, gli hanno allestito un concerto solistico in coincidenza con un recital del duo di Mal Waldron e Steve Lacy. previsto in un teatro poco distante. Naturalmente, di fronte a due avvenimenti ugualmente importanti, il pubblico si è diviso e tutti sono rimasti scontenti, gli artisti per primi. «E siccome fra tre mesi ci risiamo daccapo coi festival estivi» aggiunge nel suo curioso inglese fitto di accenti africani «vorrei che qualcuno si ricordasse di quella cittadina del Sud che nell'agosto scorso mi mise a disposizione uno Stcinway ottimo sotto tutti gli aspetti, meno uno: era rimasto esposto alla pioggia per tutto il pomeriggio...». E' il momento giusto per incalzarlo con qualche provocazione. Maestro, lei ha molti ammiratori, ma non le mancano i nemici. Questi sostengono che lei, più o meno, suona sempre lo stesso concerto. Che cosa risponde? L'argomento, stranamente, sembra tranquillizzarlo. «Nel mio repertorio ho più di mille pezzi» replica con sicurezza «quindi è poco probabile che succeda quello che lei dice. Certo, è possibile che io, in questa specie di magazzino della fantasia, faccia spesso delle scelte analoghe. Ma è il pubblico che me lo impone, col suo atteggiamento. Se mi allontano troppo dai temi più conosciuti e rassicuranti, ini accorgo che mi segue di meno. D'altra parte, anclie se in due concerti propongo l'identico programma, i due concerti non saranno mai uguali. Io improvviso, e perciò non mi posso tuffare due volte nella stessa acqua, cosi come non posso pronunciare due volte nello stesso modo il nome di Allah». A proposito, è vero che lei ritiene essere Allah a suonare per mezzo delle sue mani? Abdullah Ibrahim ci rivolge uno sguardo severo e conferma: «Certo. Io non suono: in realtà io prego, e lo faccio meno bene quando la mia sintonia con Allah non è perfetta». E che cosa pensa di quelli che dicono che i suoi concerti sono tanto più convincenti quanto minore è il numero delle persone che suonano con lei; in altre parole, che farebbe bene a suonare sempre da solo? «Rispondo che, almeno in parte, non STRANE storie all'americana. A 39 anni, dopo dieci di silenzio, torna John Fogerty, un protagonista degli anni ruggenti del rock, e vince sul mercato con un disco datato, perfettamente all'antica, tutto sussulti di gloriosa chitarra e schizzi arcadici del buon vecchio countryrock. Il suo *Centerfield» è al primi posti delle classifiche degli Stati Uniti, e non si capisce bene se questo sia successo grazie ai «nostalgici» dei Creedence Clearwater Revival, di cui Fogerty era la testa pensante, o grazie al ragazzi, che scoprono come nuovo prodotto che nulla ha c che fare con l'attuale «sound» dell'industria discografica. «Centerfield» (Centrocampo), John Fogerty se l'è scritto e suonato tutto da solo, sax e batteria compresa, eroe solitario di un'avi'entura già vissuta una volta alla grande, in compagnia dei «Creedence», e conclusa 9 anni fa. Oggi che ogni vecchio leone che si rispetti torna alla carica (Mick Jagger ed Eric Clapton e Tom Petty e Tina Turner). anche l'autore di «Proud Mary» era pronto per tornare nei ranghi: ma alla Wea l'hanno tenuto sotto torchio cinque mesi. Dovevano selezionare tutto il inateriale che era uscito,'dopo anni, ■da quella chitarra che aveva continuato a suonare testarda, da sola, in una casa in California. Da una storia così edificante, dunque, è uscito «Centerfield», che ricrea un'atmosfera assai datata con l'unica particolarità di una perfetta esecuzioric fin dalla prima nota, e quel controcanto della chitarra, in «The old man doion the road», già trascina il cuore indietro negli Dollar Brand

Luoghi citati: California, Europa, Italia, Lombardia, Milano, Stati Uniti