Ha un fascino perverso il grande gangster di Carlo CarenaPaolo Monelli

L'America del proibizionismo raccontata da William Kennedy L'America del proibizionismo raccontata da William Kennedy Ha un fascino perverso il grande gangster «Avventura nel primo secolo»: torna il racconto storico di Monelli Dal vostro inviato nella Roma di Augusto e Nerone . A VVENTURA nel \(jr\^primo secolo-, di Paolo Monelli, che riappare presso Longanesi, in un volume della Gaja Scienza (il libro e del 'SS), è un curioso reimpasto dei due battistrada di tanta romanzeria archeologica del nostri decenni: Quo vadis? di Sienkicivicz e Io, Claudio di Graves. Quasi inevitabilmente. Se la Yourcenar si sposta in avanti di un secolo per le sue Memorie di Adriano, è perché mira a un uomo, a uno stile. Ma chi pensa ad un affresco, alla galleria dei personaggi, alla ricchezza dei fatti, non ha che rifarsi a quei primi decenni del I secolo dopo Cristo, fra Augusto e Nerone, sui quali, densi e drammatici, la documentazione di Tacito e Svetonio è abbondante, ben tagliata e sinistra. Ed ecco anche Monelli partire per questo suo abbondante, fin troppo abbondante reportage, dai primissimi anni della nostra era e giungere sino all'impero di Claudio. Con un procedimento tuttavia ch'è l'originalità ingegnosa dell'invenzione, gustosa ed efficace. mondo, il quale si rivela come un ini'iato dell'aldilà, incaricato di soddisfare un suo antico desiderio: quello di compiere, dopo tanti nello spazio, un viaggio nel tempo e di trovarsi nella Roma imperiale. Detto fatto. Publius Valerius Monellus. figlio di aristocratica famiglia romana, inizia l'insolita esperienza. Monelli compie in quella veste, da ragazzo a sessantenne, un tour storico-geografico fin troppo completo: cercando di mescolarsi, allora, agli eventi e alle jwrsone per conoscere la verità e poi rientrando farne un resoconto in cui correggere inesattezze, svelare misteri, completare dati ignoti o mal conosciuti dal moderni. Lavoro arduo e alla fine quasi inutile, un po'per la difficoltà di essere creduto dai propri contemporanei e un po'perché sono fin troppe le «somiglianze fra la nostra civiltà e quella di quel secolo (anzi sotto certi aspetti quanto la nostra sia inferiore a quella) e come allora e adesso ci si comportasse più o meno nello stesso modo per campare la vita, per arricchire, per andare a genio ai potenti, per cercare lodi e amori e incarichi... Paulus Monellus è so-' prattutto un grande amatore e un grande l'iaggiatore. La sua posizione sociale lo mette a contatto con la corte; conosce prima Augusto, poi Tiberio. Caligola. Claudio. Si'spinge guer- i regglando in lontane contrade del Settentrione e dell'Oriente. Gode dei pettegolezzi e partecipa ai festini, orecchia alle morti illustri dei Cesari, conosce intrighi, ambizioni, scandali fra le due Giulie, le Agrippine, Germanico, Sciano. Conosce Fedro e, prima a Roma poi nell'esilio di Tomi, Ovidio, che gli appare come un misto di Cardarelli e di Bocchelli: LEOS. biografia frammentaria del gangster Jack («Legs») Diamond scritta dal noto giornalista William Kennedy, aprì un piccolo caso quando usci in America, nel 1975. Per parlarne in occasione della sua odierna comparsa nella estrosa collana di narrativa Frassinelli (affidabile, come di consueto, la tradizione di Attillo Veraldl) si deve tener conto anche di due forse non totalmente convincenti, eerto comunque vistosissime, produzioni cinematografiche posteriori, che ne condividono la chiave: C'era una volta in America di Sergio Leone e Cotton Club di Francis Ford Coppola, alla seconda delle quali William Kennedy ha collaborato direttamente, come autore della sceneggiatura. Pur nella loro diversità, infatti, C'era una volta in America, Cotton Club e Legs, ovvero II grande gangster, hanno in comune un tono che potremmo definire da un lato elegiaco-nostalgico nei confronti dei bei tempi del proibizionismo, dall'altro duro e realistico per quanto riguarda la rappresentazione della violenza e dei crimini che lo contrassegnarono. In altre parole, gli eroi di queste moderne epiche (fa un po' eccezione il Richard Gere di Cotton Club, la cui funzione è di protagonista passivo, spettatore della violenza altrui) sono del farabutti sanguinari e spietati, presentati come tali. L'intenzione dell'autore, di farci se non identificare, perlomeno solidarizzare con loro, può pertanto sembrare ardua, e in certi casi estremi, addirittura disperata. Chi si attiene alla superficie delle cose — e il cinema, «film», pellicola, è qualcosa di epidermico fin dalla denominazione — potrà chiedersi per esempio perché un uomo pacifico come Sergio Leone debba dedicare tanta eloquenza a rimpiangere le raffiche di mitra e gli stupri nella Chicago degli Anni Venti. La risposta a domande di questo tipo si trovava già, ora lo apprendiamo, nel libro di William Kennedy — che figura narrato, alcuni decenni dopo gli eventi (come C'era una volta in America). da Marcus, avvocato-parafulmine del boss, e come lui lettore di Rabelais. Un giorno mentre Jack (gli amici non lo chiamano «Legs») dorme, l'avvocato sfoglia un libro di preghiere che ha trovato sul suo comodino, e si imbatte in un «credo», 'Che non ritenni affatto una coincidenza-. Il «credo» dice: «Tu rechi molto danno da queste parti, distruggendo e abbattendo creature di Dio sema il Suo permesso; e non solo hai trucidato e divorato bestie dei campi ma hai osato distruggere e trucidare uomini fatti a immagine di Dio: onde per cui meriti il capestro come il più miserabile ladro e assassino. Tutti imprecano e mormorano contro di te. Ma io porterò pace. Fratello Lupo, tra loro e te, ed essi otterranno per te, fino a quando sarai vivo, un continuo mantenimento da parte degli uomini di questa città cosi che non soffrirai più la fame, perché bene io so che tu hai fatto tutto questo danno per soddisfare la tua fame...-. Il lupo famelico è dunque una sorta di ribelle grandioso, che nella sua cieca ignoranza ha intuito di possedere dei diritti. Cantandone le ge¬ Dna scena dal film «Cottoli Club» sta oggi, a grande distanza di tempo, con l'astuto tramite dei superstiti (ai quali quei brevi momenti di splendore vissuto di riflesso hanno illuminalo tutta un'esistenza altrimenti miserabile), lo scrittore (o il regista) intende dunque mostrarci la precarietà di una organizzazione sociale in cui l'ingiustizia è fondata sull'acquiescenza, e che la determinazione di un singolo è sufficiente a mettere in crisi. L'orrore che il protagonista amministra esercita naturalmente un fascino perverso, del quale scrittore e regista si giovano; ma sta a noi il non cedergli totalmente. E se scrittore e regista condividono in parte la non dissimulata nostalgia dei loro portavoce, questa è rivolta a un mondo che rispetto al nostro era perlomeno chiaro: la corruzione essendovi aperta, sbandierata, elementare. Oggi regna una vischiosa e ben più mefiticn ambiguità (vedi II padrino, di Coppola e Mario Puzo). Detto questo, // grande gangster occupa un suo buon posto nella ricca letteratura del genere. Agile la struttura a episodi staccati, raccontali da più voci talvolta di dichiarata inattendibilità: un po' di maniera, ma movimentato quanto basta, 11 ritratto dall'esterno di un boss malinconico, introverso, condannato in partenza (lui stesso predice che non giungerà a trentalré anni di vita) e vibrante di una sua imprigionata energia; un Gatsby visto in azione, insomma. Kennedy stesso fa il nome dell'eroe di Fitzgerald, e non gliene contesteremo il diritto. Masolino d'Amico William Kennedy, «Il grande gangster», trad. Attilio Vcraldi, Frassinelli, 315 pagine, 19.500 lire. * * L'autore non racconta la storia di un protagonista di allora, ma proietta in quella Roma un uomo d'oggi, che iHvc in pieno inserimento ma conservando la memoria del futuro, controllando le sue sensazioni con la contezza dell'oggi, ricuperando ricordi del poi, inserendo rapidi, misurati e sempre piacevoli flashes forward c raffronti. Una sera di fine inivrno del 1954 il protagonista se ne sta pacificamente seduto davanti al caminetto scoppiettante del suo appartamento romano, quando si presenta alla porta un uomo del bel li na scena dal film «Cera una volta'in America» canza tranquilla e isolata. Mentre il marito è compietemente distratto dal romanzo che sta scrivendo. Luisa avverte la frattura che la separa dai figli e in particolare la disperata solitudine di Andrea. Vittima dello stesso male oscuro che aveva già distrutto la bisnonna e lo zio, il ragazzo non riesce più a vivere. L'immagine del titolo è in questo senso allusila; ormeggiando nel porto il dinghy. una l'ecchia imbarcazione a reta, Andrea ri¬ nuncia all'avventura della vita, sceglie la strada del buio e del silenzio: Il clima disteso dell'inizio viene infranto dall'esplodere del dramma. Ma il linguaggio, asciutto e pulito, non subisce sussulti e dà alla vicenda, come in certi racconti di Katherine Mansfield, un senso di gelida crudeltà. Massimo Romano Maria Luisa Agnine D'Amico, «Il dinghy dentro 11 porto», Rizzoli, 92 pagine, 12.000 lire. Romanzo della Aguirre D" Amigo, «Un Cardarelli per la piega amara delle labbra. i>er il gesto ammonitore, col dito alzato, con cui attirava l'attenzione su quello che stava per dire; un Bacchelli per la maestà dell'incedere e le floride pieghe della pelle sulle guance». Finalmente nel 48. a sessant'anni. Publius finisce sposo della poetessa Priscilla, la rera autrice del per noi finora anonimo Pcrvigilium Vencris. quello di uCras amet qui numquam amavit...-, e. pei le sue ovi'ie doti profetiche, incappa nell'avversione di Claudio, nemico degli astrologi, che gli impartisce l'ordine di darsi la morte. * * Nel gran finale viene descritto l'abituale banchetto funebre dei vari Petronio e Seneca. Con Petronio, con Seneca, con Plinio il Vecchio il protagonista discute sul modo migliore di sortire dalla vita. Ma sul più bello gli sovviene della condizione che gli fu posta dal misterioso visitatore del 1954, di non togliersi quella vita, se voleva tornare vivo a questo mondo. E mentre esce ubriaco per strada a notte fonda con la sua Prisctlla, viene travolta da una biga, e si ritrova d'incanto quassù, poco frastornato e un po'stanco. Un impianto ambientale, come si vede, non molto originale, ina non trattato, seriosamente. Non è neppure ironica, o potrebbe esserlo solo molto implicitamente, la ripresa tal quale di certe sequenze di Quo vadis?. Probabilmente una lettura qua e là saltuaria giova all'attraversamento di queste cinquecento e cinquanta pagine. Carlo Carena Paolo Monelli: «Avventura nel primo secolo». Longanesi, 548 pagine, 20.000 lire.

Luoghi citati: America, Chicago, Roma