Come vendere le uova marce di Mario Pirani

Come vendere le uova marce Ma chi difende i nostri risparmi? Come vendere le uova marce Aveva, dunque, ragione Bruno Viscntini, a quel tempo semplice parlamentare, quando nel 1981 cominciò letteralmente a inveire dalle tribune dei convegni e sulla stampa contro r«imbroglio» dei titoli atipici e degli altri marchingegni per rastrellare il risparmio fuori da ogni controllo istituzionale e impositivo. Eppure l'attuale ministro delle Finanze trovò assai poco ascolto quando affermò che il semplice principio di ordine pubblico imponeva un intervento restrittivo immediato sull'operato dei maghi della «nuova finanza» che stavano offrendo a piene mani mirabolanti pezzi di carta agli investitori in cerca di alti lucri e di nessun gravame fiscale. Certo oggi poca comprensione costoro possono sperare di ricevere, anche se si tratta non di rado, come leggiamo dalle cronache, di sprovvedute suore del Cottolengo e di altri meritevoli religiosi, mossi dall'intento di moltiplicare l'obolo. Purtuttavia sarebbe ingiusto e riduttivo scaricare sulla dabbenaggine o sulla furbizia imprevidente dei sottoscrittori «bidonati» la responsabilità di una patologia che si è inserita su un fenomeno, quello dello sviluppo dei canali finanziari di risparmio e credito, di assai più vasta portata. In primo luogo bisogna ricordare che la «finanza alternativa» (di cui una buona parte, in particolare i fondi comuni d'investimento mobiliare è affidabile e sottoposta a chiaro inquadramento giuridico) sorse e si sviluppò in un periodo di alta inflazione e di tassi reali negativi non solo sui depositi bancari ma sui titoli del risparmio pubblico. Di qui l'incentivo — fino a quando sotto la spinta degli elevati tassi Usa anche le nostre autorità monetarie cambiarono registro — a una ri cerca di strade alternative di salvezza del privato peculio. Ma all'angolo di queste strade erano appostati anche gli im bonitori dei titoli atipici, delle gestioni fiduciarie e di altri marchingegni che in genere distribuivano porta a porta certificati corrispondenti al presunto valore in crescita di immobili, tenute agricole, alberghi. Non è vero, però, che il fe nomeno si dispiegò nella di strazione delle forze politiche e della pubblica amministrazione. Tutt'altro: le audizioni al Parlamento e la discussione sulla legge sui fondi comuni d'investimento — approvataperaltro, solo nel marzo dell'83— dimostrano come ben viva fosse la contrapposizione degli interessi in gioco e delle diverse «scuole di pensiero». La Consob, allora presieduta con piglio innovativo da Guido Rossi, chiedeva che soprattutto venisse garantita la trasparenza al pubblico denuovi mezzi di risparmio. La teoria sostenuta da Rossi era che si potesse anche «vendere uova marce», purché questa qualifica risultasse chiaramente e aprisse gli occhi all'acquirente, libero poi questi di com portarsi come credeva. Visenti ni, come abbiamo visto, voleva invece che venisse proibito tutto ciò che non ricadeva sotto un esplicito profilo di legge e in particolare, che 1'«atipico» per essere offerto al pubblicodiventasse prima «tipico» sotto l'oculata sorveglianza deTesoro e della Banca d'ItaliaQuest'ultima, preoccupata che un eccesso di vincoli, una voi ta cauterizzate le escrescenzpatologiche, tarpasse un mercato meritevole di sviluppo propugnava l'introduzione dprecise norme di vigilanza prudenziale e di controllo formale. Di questo fervore di suggerì menu' il Parlamento tenne relativamente conto con un arti colo aggiuntivo — rafforzatpoi da un decreto ministerial— alla legge sui fondi comuniCon esso s'imponeva agli emit tenti di certificati di comunicare le loro iniziative alla Bancd'Italia ai fini del controllo suflussi finanziari. Una normativa «leggera», orientata soprat tutto al controllo quantitativdel credito (perché, ad esem pio, non venisse rastrellato troppo risparmio quando era impellente la sottoscrizione dei Bot), resa ancor meno incisiva dall'introduzione della clausola del silenzio-assenso, per cui, scaduti 20 giorni dall'invio della comunicazione, l'operatore che non avesse ricevuto obiezioni poteva emettere i suoi titoli. Ancor meno pregnante, poi, la vigilanza sulle società fiduciarie che compete non alla Banca d'Italia ma, in base alla legge istitutiva, al ministero dell'Industria. Si tratta di società a responsabilità limitata, un universo dove in un vuoto legislativo si sono mossi e si muovono accanto a rispettabili e onesti gestori dell'altrui risparmio, fantasiosi moltiplicatori dei pani e dei pesci come i signori Sgarlata e Cultrera che hanno coinvolto nei loro traffici almeno ventimila investitori «sofferenti», andati ad aggiungersi ai 75.000 che... attendono il rimborso da Bagnasco. Se, per concludere, si riflette al fatto che sotto le sigle di Europrogramme, Istituto Fiduciario Lombardo, Ole, Cci ed altre sono stati raccolti almeno 3000 miliardi di denaro liquido, ci si rende conto di quali mezzi di pressione possono essere stati messi in atto per ottenere che nel Parlamento tante voci si levasseto, sotto il falso alibi della difesa della Ubera impresa, ad invocare una deregulation all'italiana. Essa ha visto cosi l'awcntatezza dei gonzi combaciare con la malizia dei corrotti e il finanziamento sottobanco di partiti Mario Pirani

Persone citate: Bruno Viscntini, Cultrera, Guido Rossi, Sgarlata

Luoghi citati: Bagnasco