A tavola con gli antichi romani di Liliana Madeo

A tavola con gli antichi romani Convegno a Parma sulle abitudini alimentari delle vecchie civiltà A tavola con gli antichi romani La cucina dei ricchi durante l'Impero: varietà di ingredienti, selvaggina cacciata sui monti Cimini, i salumi della Gallia, le spezie dell'Oriente - Gli austeri menu suggeriti da Plinio il Giovane - I pranzi mesopotamici e le mense imbandite nell'antico Egitto - Le «radici» del formaggio grana ROMA — •■Mense imbandite nell'Egitto antico-, «Invito a un pranzo mesopotamico-, ■ Cibo, alimentazione e banchetto presso gli Etruschi-, ■ Radici antiche del formaggio grana-: sono alcuni dei temi die verranno discussi al convegno che si terrà nei giorni 2 e 3 maggio prossimi a Parma, per iniziativa dell'Archeoclub. dal titolo -L'alimentazione nell'antichità:. L'argomento da un po' di tempo appassiona storici e archeologi. Di recente sono usciti vari e dottissimi libri su cibo e ricette, vivande e conviti, malattie da cattiva alimentazione e filosofia gastronomica degli antichi. I Romani sono i più studiati, e anche forse quelli che ci hanno lasciato più informazioni in materia, non solo sui testi scritti, ma anche in affreschi, mosaici. E' attraverso questa trama che si possono seguire filoni di storia ben più complessi, come quando — studiando le abitudini dei Romani — si passa dalle origini rustiche e vegetariane dei loro gusti alle Influenze ctrusche, greche, orientali, dalla crisi dell'economia agricola nell'Italia antica all'apogeo dell'impero (e della gastronomia), dalle distribuzioni gratuite di viveri per la massa del poveri all'avvento del Cristianesimo, alla spoliazione dei centri urbani e al ritorno obbligato all'austerità. Il maggior numero di notizie riguarda naturalmente la cucina dei ricchi e le mense che i più abbienti imbandivano per sé e i propri ospiti. Le maggiori meraviglie (e anche perplessità, stupore, disgusto) le riservava l'opulenta Roma imperiale. La varietà degli ingredienti a disposizione era davvero eccellente. Nel golfi vicino alla capitale si pescavano i pesci, i crostacei, le conchiglie del Mediterraneo. Nelle foreste dei monti Cimini si dava la caccia alla selvaggina. Dalle vicine campagne arrivavano la carne e 11 laUe, i formaggi e i legumi. Il Piceno e la Sabina fornivano oli squisiti. Dalla Spagna venivano le salamoia per le uova, dalla Oallia i salumi, dall'Oriente le spezie, vini e frutta da tutte le contrade: fichi di Chio. limoni e melograni d'Africa, datteri dalle oasi, prugne da Damasco. I ghiottoni erano eserciti. Giovenale, fra gli altri, racconta del buongustaio Montano capace di distinguere al primo boccone le ostriche di capo Circeo da quelle di Lucrino. Il festino di Trimalcione (un arricchito megalomane, inventato dalla fantasia di Petronio nel «Satyricon») non doveva essere stato troppo lontano dalla realtà, da certi banchetti ufficiali il cui ricordo, a quattro secoli di distanza, ci è stato trasmesso da Macroblo. La storia di Apiclo (autore del trattato «De re coquinaria-, fonte preziosa di notizie sul tema) racchiude in sé una sua morale: Apiclo profuse in banchetti quasi tutto il suo immenso patrimonio, a un certo punto s'accorse che gli erano rimasti appena due milioni di sesterzi (all'inclrca mezzo miliardo di lire d'oggi), allora si tolse la vita col veleno per paura — come racconta Seneca — dì morire di fame. I cuochi facevano meraviglie, opere di vera Invenzione. Petronio vantava le imprese,[ dello chef che sapeva trarre da un pezzo di lardo la figura di un colombo selvatico. Certo, non tutti e non sempre si ingozzavano in maniera spropositata. L'imperatore Traiano nella sua villa di Civitavecchia dava cene modeste e senza divertimenti sfrenati: le uniche distrazioni, durante e dopo il pasto, erano audizioni di musica e commedie, e il principio della notte si trascorreva in semplici conversazioni. Plinio il Giovane non accettava inviti dove ci fossero sperperi e grandi apparati, e poneva come condizione che solo conversazioni socratiche rallegrassero i commensali. Una volta che fu lui a Invitare, come è rimasto scritto, trattò il suo ospite con estrema frugalità: il menu era composto da una lattuga, tre lumache, due uova a persona, olive, cipolle, zucche, un pasticcio di farro, e vino mescolato al miele e posto a raffreddare nella neve; come intermezzo, un lettore, o un comico, o un suonatore di lira. Catullo, a sua volta, ci ri¬ corda la fame vera, le condizioni della gente qualsiasi, di quanti non possedevano -né schiavi, né denari, né cimici, né ragni, ma genitori con denti capaci di macinare le pietre-. Nei musei, intanto, si ritrovano gli oggetti della cucina e della mensa, clic non tanto sono diversi da quelli di oggi: pentole, teglie, padelle, grattugie, scolapasta, forme per il pane e i dolci, coltelli, stuzzicadenti, mestoli, cucchiai, cucchiaini a punta per vuotare le uova o le conchiglie. E gli storici, per chi corresse il rischio di essere punto da invidia o nostalgia o spirito di emulazione, ci ricordano anche alcuni dettagli di non poco conto. Il padrone di casa, per avarizia o egoismo, a volte non trattava gli ospiti come se stesso, e faceva porlare vini diversi fra loro, pietanze saporite e piatti scadenti, e non si faceva scrupolo di tenere 11 meglio per sé o per gli ospiti di maggior riguardo. Il rutto a tavola, come per gli arabi, era un atto di civiltà, nel rispetto dei filosofi per i quali seguire la natura era saggezza. L'imperatore Claudio spinse più avanti la loro dottrina: emise un editto in cui autorizzava l'emissione rumorosa di altri gas. Sempre a tavola, naturalmente. Liliana Madeo

Persone citate: Cimini, Gallia, Radici, Seneca, Traiano