Dimentichiamo la guerra facciamo soltanto cinema di Gianni Rondolino
Dimentichiamo la guerra facciamo soltanto cinema Film inedito di Longanesi nella rassegna «Folies 1945» a Torino Dimentichiamo la guerra facciamo soltanto cinema TORINO — Non so se il pubblico che affolla le due sale del Cinema Eliseo riesca a cogliere appieno le condizioni materiali e morali, politiche e ideologiche, umane e sentimentali in cui si trovava, guarant'anni fa, il pubblico cinematografico italiano. Certo è che, assistendo alle proiezioni di film e cinegiornali proiettati allora sui nostri schermi, e oggi riproposti nell'interessante rassegna Folies 1915, organizzata da vari Enti sotto l'egida del Comitato cittadino per le celebrazioni del 40' anniversario della Liberazione, si ha la sensazione che alla tragicità della guerra, alle rovine, alle morti, alle distruzioni, il cinema rispondesse il più delle volte evasivamente, rifugiandosi nel facili allettamenti dello spettacolo. Intendiamoci, le immagini del cinegiornali tedeschi e italiani, americani e sovietici, parlano chiaro. Le morti, le rovine, le distruzioni vi sono rappresentate senza infingimenti, semmai deformate da visioni propagandistiche di segno opposto. Ed anche net film a soggetto, quelli che si definiscono 'bellici', la guerra costituisce certamente il centro del dramma. Basti pensare al film di Rosselllnl presentati ieri in una giornata a lui dedicata: Un pilota ritorna e L'uomo della croce, che descrivono la guerra fascista, ri- spettivamente, in Grecia e in Russia; Roma città aperta e Paisà, che ci parlano dell'occupazione nazista di Roma e della faticosa avanzata delle truppe alleate in Italia. Immagini di questo tipo ed altre analoghe, che troviamo nel sovietico Arcobaleno di Donskol o nell'americano La famiglia Sullivan, ci riportano a gueglt anni tragici. Ma il più delle volte, in Italia come in Germania, negli Stati Uniti come in Francia, gli spettatori preferivano andare al cinema per distrarsi, per immergersi in Quel sogno ad occhi aperti che lo spettacolo cinematografico è sempre stato p per il grosso pubblico. Storie e personaggi romanzeschi, ambienti e fatti sorprendenti, Inconsueti, affascinanti. Che siano quelli, veramente affascinanti, di Carnè (Les visiteurs du soir e Les enfants du paradisa o quelli, più romanzeschi, di certi film americani (Ribalta di gloria di Curtiz, Casablanca di Curtlz, La taverna del sette peccati di Garnett) o quelli, crepuscolari, di Unter den BrUcken di Kàutner, o infine quelli, evanescenti e melodrammatici, dei film italiani (Sorelle Materassi di Poggioli, Nessuno torna indietro di Blasetti, Quartieri alti di Soldati), sndcdsptpbgfvgrudd sempre si tratta d'una finzione che nasconde la realtà drammatica del momento, come se la guerra si dovesse dimenticare. Ed è quasi dimenticando, sugli schermi, la guerra che il pubblico dell'Italia settentrionale, nell'aprile 1945, passò dall'occupazione alla liberazione attraverso le immagini e i dialoghi d'un film die, fortunosamente recuperato, viene presentato oggi, nella giornata certamente più interessante della rassegna. Si tratta di Vivere ancora, unica opera cinematografica di Leo Longanesi, terminata da Nino Giannini a Torino nel 1945. E' un film a episodi, curioso e grottesco, che fu proiettato nella nostra città nei giorni immediatamente precedenti e seguenti alla liberazione. Lo spirito mortuario e sarcastico a un tempo, che si può cogliere dai frammenti del film (conservato presso il Museo Nazionale del Cinema), riflette, forse più di altri film di guerra, il vero spirito del tempo. Un pessimismo radicale \che può essere riscattato soltanto sul piano dell'ironia. Ma proprio in quei giorni alfironia amara di Longanesi si sostituiva la speranza. La guerra era finita, la Itbertórtconquistata. Campane a stórmo di Don Pollarolo, Giorni di gloria di Serandrei, De Santis, Pagìiero, Visconti, e le Cinecronache partigiane inedite, che compongono il programma odierno della rassegna, ci mostrano il volto dell'Italia democratica: la fine d'un incubo, la speranza d'un futuro migliore. Gianni Rondolino Una scena di «l.a famiglia Sullivan» di L. Bacon, uno dei film disimpegnati degli anni bellici
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