Minetti, tragedia d'un attore
Minetti, tragedia d'un attore A Milano la commedia di Bernhard, regista il giovane Bernardi Minetti, tragedia d'un attore Gianni Galavotti nel ruolo del protagonista: una interpretazione di alto livello MILANO — Minetti: ritratto di un artisti: da vecchio, la commedia che nove anni fa lo scrittore austriaco Thomas Bernhard ha dedicato all'allora settantaduenne grande attore tedesco Bernhard Minetti, suo primo, acclamatissimo interprete, non è, ovviamente, un copione in esclusiva, ad personam: non è neppure un dramma che bisogna .meritarsi» per anzianità anagrafica o di servizio o di prestigio. E', semplicemente, a meno di un decennio dalla sua stesura, un .piccolo classico» che ognuno ha diritto di allestire e di interpretare come meglio può e sente. Un regista-ragazzo. Marco Bernardi, che dirit^ !o Slabile di Bolzano, se l'è assicurato al volo e lo ha affidato al suo primattore anziano: Gianni Galavotti. E' stato un successo netto, nell'inverno scorso: ora lo spettacolo è al difficile banco di piova milanese, i critici lo hanno visto l'altra sera al Teatro dell'Elio. Vediamo Intanto i criteri dell'allestimento di Bernardi. Il regista ha dato di questo scabro, doloroso, pessimistico apologo sulla morte dell'arte nella società odierna una lettura dichiaratamente espressionista. L'albergo di Ostcnda in cui il vecchio attore Minetti aspetterà invano il direttore di un teatro olandese por riprendere, a venti anni dal ritiro dalle scene, il Re Lear, non è un albergo ma un grigio, dilavato stanzone dell'at¬ tesa delusa (scene di Roberto Francia): uno sgangherato sofà in primo piano, un oblò illuminato sullo sfondo, In cui vortlea una tempesta di neve in miniatura (è la notte di Capodanno, nevica persino al mare in quest'età corrotta). Stridono musiche vagamente berghiane (di Hubert Stuppner): le lampade, a tratti, oscillano nel vuoto, passano tetre maschere di avvinazzati, una signora ubriaca piroetta e volteggia (Marina Pitta), un portiere sospira e sogghigna (Massi¬ mo Palazzini). Siamo nel clima, allucinato e stremato, del pittore olandese James Ensor, di cui Minetti ha nella valigia una mostruosa maschera per il suo Lear. Bernardi, intemperante come tutti i giovani, eccede negli effetti: ma lo preferisco qui che alle prese con certi suoi deprecabili Shakespeare. E diciamo ora dell'interpretazione di Gianni Galavotti. L'attore mi sembra sia partito, molto giustamente, nella scomposizione del personaggio, da quel suo esito falli- jmentaré, da quel suicidio a pillole di cianuro, sul molo di Ostcnda, sotto la neve fitta. 'Questa soluzione finale tinge tutto 11 suo Minetti, a ritroso,, di una velata luce crepuscolare, ne fa un eroe, tra l'ardimentoso e l'imbelle, dell'inutile ribellione. Roboante, con quella voce da basso profondo, è il Galavotti delle tirate (magnifiche anche concettualmente) sull'arte come perturbamento, come catastrofe (lui che, a Lubecca, dove era direttore di teatro, si rifiutò di allestire classici, perché troppo comodi per 11 pubblico, troppo rassicuranti): tenero poi, a contrasto, nelle confessioni intimiste: la solitudine nella soffitta della sorella, le prove allo specchio, la recita ogni 15 giorni, di tutto il Lear filato, in inglese addirittura... Qui in queste pause di più accorato sconforto, l'attore si rivela d'una sobrietà nuova: se ripete ossessivamente una parola è per sbriciolarla in un sussurro, di molte non ci offre, pudicamente, che le prime sillabe, discreto e geloso a un tempo. Il gesto si fa allora come scomposto e franto: le lunghe mani femminili, quasi diafane, su quel corpaccione ingoffito, disegnano nel vuoto una arabescata trama di secchi dinieghi, di preste ripulse. Gli applausi del pubblico lo colgono un po' di sorpresa: sorride, strizza gli occhi auloironico, fa le spallucce. Guido Davico Bonino ti n Gianni Galavotti (a sinistra) in «Minetti»: un piccolo classico
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