La triste Sion dei falasha

La triste Sion dei falasha In Israele ne sono giunti 15.000: solidarietà e aiuti non attenuano lo choc d'un passaggio dal Medio Evo al Duemila La triste Sion dei falasha Anche Pasqua li ha fatti sentire diversi: ignoravano tradizioni e cerimoniali che tutti gli ebrei del mondo praticano da secoli - Bimbe chiuse nel mutismo da mesi hanno ritrovato il sorriso con una bambola negra -I a> difficoltà linguistiche sono grandi, ma sui nuovi immigrati pesa ancor più l'angoscia per le loro famiglie rimaste in Etiopia - Uno storico: Sono intelligentissimi e attivi, ce la faranno NOSTRO SERVIZIO TEL AVIV — Le celebrazioni della Pasqua ebraica — che ricorda la liberazione dalla schiavitù d'Egitto sotto la guida di Mose — hanno avuto significato e aspetti particolari per gli ebrei etiopici, i falasha, recentemente immigrati in Israele con «l'operazlone Mose», per tanti aspetti ancora sconosciuta e misteriosa. Questi ultimi non hanno solennizzato soltanto il loro esodo da una terra straniera e ostile ma hanno celebrato il loro primo seder (una festosa cena liturgica entro le pareti domestiche) nei principali centri di assorbimento, tra cui Mevasseret Zion. nei pressi di Gerusalemme. ha haggadah (racconto tradizionale di storia sacra, in questo caso sulla liberazione degli ebrei) che gli israeliti leggono in tutto il mondo differisce radicalmente da quella in uso presso i falasha di Etiopia, i quali solevano tra l'altro celebrare la Pasqua assieme alle Pentecoste. Cosi il libro è stato pubblicato in lingua amarica per far comprendere il racconto ai nuovi immigrati, che non hanno ancora imparato l'ebraico. Inoltre sono state tradotte in aramaico le spiegazioni fornite da un rabbino sull'antichissimo resoconto dell'esodo e sui riti tradizionali. E' questa l'ultima delle tante difficoltà per l'assorbimento di questo gruppo, ricco di una cultura orale prestigiosa, e giunto nello Stato ebraico con usi e costumi differenti da quelli che esistono nella pur multiforme e variegata società israeliana, che nel corso degli ultimi lustri ha assimilato comunità provenienti da ambienti diversissimi, basti pensare agli ebrei dello Yemen, del Marocco, dell'Iran e dell'Iraq. Ma questo è un caso a parte. Spesso sono proprio i bambini a su- blrc lo choc più grave nel ..cambio di civiltà» e ha fatto sensazione, negli ultimi giorni, una notizia che arriva dal centri di raccolta: bambine chiuse da mesi in un silenzio quasi assoluto, che neppure gli psicologi erano riusciti a infrangere, hanno ritrovato 11 sorriso dopo l'arrivo di mille bambole di pezza negre, donate da una fabbrica americana. Hanno preso a parlar loro, a cullarle, a vezzeggiarle: sembra l'uovo di Colombo ma prima non ci aveva pensato nessuno. L'immigrazione di questa comunità, resa nota ai primi di gennaio per una serie di Indiscrezioni sulla cui origine non è stata fatta ancora piena chiarezza, ha avuto inizio, clandestinamente, già da alcuni anni e si è svolta soprattutto attraverso il Sudan, con difficoltà e complicazioni Inimmaginabili raccontate col contagocce dai nuovi arrivati, in genere reticenti nel narrare la propria odissea. Ancora oggi non si sa con esattezza 11 numero delle persone entrate in Israele con l'.operazlone Mose-. A voler tentare una cifra si può ritenere che in quattro anni siano giunti 15 mila ebrei etiopici, mentre prima di allora appena qualche decina di falasha arrivati sporadicamente vivevano in Israele, unici rappresentanti di una comunità che non concepiva forme di vita diverse da quella tribale. Il numero si può dedurre anche dal fatto che 1500 bambini — per lo più orfani — sono stati accolti nelle istituzioni giovanili e 400 persone sono state ospedalizzate; esistono Inoltre sei centri di riabilitazione e smistamento degli immigrati, e programmi per un loro graduale assorbimento in varie località (la prima tronche di stanziamenti in proposito è di 5 milioni e 500 mila dollari). Secondo uno studioso dell'Etio- pia. l'Ullendorf. nel 1960 vivevano in varie regioni del Paese da 15 a 30 mila ebrei; attualmente ne sono rimasti, si crede, meno di 7 mila. Anche per questa strada, dunque, si può giungere alla cifra indicata. Secondo il Comitato internazionale per gli ebrei etiopici, alcuni medici americani e canadesi, che recentemente si sono recati a Addis Abeba per trattare il trasferimento in Israele dei resti di quell'antica comunità, sono tornati senza aver potuto prendere contatto con i falasha. Avevano ottenuto, prima di partire, il permesso di recarsi nella provincia di Gondar, dove si troverebbe il gruppo più consistente, ma poi non sono stati autorizzati a raggiungerla e hanno fatto ritorno a mani vuoto. Non è un segreto, però, che molti falasha siano morti e muoiano per inedia o malattie epidemiche a causa della carestia, e questo non fa che moltiplicare gli sforzi di quanti, in Israele e all'estero, cercano di completare l'esodo ebraico dall'Etiopia. Le difficoltà del trasferimento, tuttavia, sono probabilmente aumentate dopo il colpo di Stato di Khartum: -E' un'amara iro¬ nia — notava 11 presidente del Comitato — come l'Etiopia, che si rivolge per aiuti a tutto il mondo, neghi ogni appoggio a un segmento della sua popolazione, tanto più che, tra i soccorsi giunti a Addis Abeba per combattere la miseria e la fame di tutte le popolazioni colpite, i doni provenienti da Enti ebraici americani e israeliani sono stati tra i più concreti ed efficaci». Ma 1 problemi non si esauriscono nel riuscire a portare In Israele gli ebrei etiopici. L'Inserimento delle molte migliata di falasha giunti negli ultimi tre anni non e stato infatti facile e non è andato indenne da incomprensioni da ambo le parti su problemi culturali, linguistici e di costume. Inoltre, come osserva lo psicologo Menashe Cohen, che è stato in contatto con i quindici studenti d'origine etiopica che frequentano i corsi dell'Università di Gerusalemme, -questi giovani, non potendo tornare al loro Paese natale, si trovano davanti alla drammatica questione del loro inserimento e del lavoro. Molti, fra l'altro, hanno lasciato in Etiopia le famiglie, che dipendono da loro per il sostentamento-. Ho conosciuto una ragazza, Aziv Lagesa. di Addis Abeba, che, giunta in Israele quattro anni fa, sta completando il secondo corso di Economia e amministrazione commerciale; ha i genitori in Etiopia e sa che, anche per la loro età. non potranno raggiungerla. Mi ha detto: •Nonostante la nostalgia c la solitudine sono felice di essere in Israele. C'è voluto del tempo perché mi abituassi a questo Paese e alla sua gente, ed ora il principale ostacolo rimane per me quello della lingua che è tanto ardua. Per il resto, mi sento più ebrea qui e appresso la libertà di poter praticare la mia religione come meglio credo-. Aziv non ha avuto problemi particolari per il viaggio, ma è un caso raro: un altro studente, che ha chiesto di non far comparire 1) suo nome, mi ha narrato la storia di un'avventurosa fuga e del passaggio da un Paese all'altro, In segreto, con allarmi continui. Il professor Haggai Erlic, che insegna storia del Medio Oriente e dell'Africa all'Università, ritiene che la pubblicità data alla «operazione Mose" possa danneggiare o anche Impedire la continuazione dell'esodo dei falasha dall'Etiopia ma crede, contrariamente all'opinione di molti, che il loro inserimento in Israele non comporterà particolari problemi: -Sarà più facile di quanto molti pensino. Si tratta di un popolo intelligentissimo e attivo. L'Etiopia non era una società classista e il suo popolo non è stalo educato a rimaner passivo. Credo che ognuno abbia la possibilità di farcela Presto questi immigrati impareranno a nuotare nelle acque israeliane e a fondare le loro istituzioni. Forse la loro migrazione farà un po' più di chiasso di quella da altri Paesi, ma tutto sommato credo sarà più agevole-. Giorgio Romano Tel A\iv. «Siamoebrei come >oi»: in questo slogan tulle le difficolti ili integra/ione dei quindicimila fnliishii etiopici. Saltali dal ponte aereo israeliano, hanno subito un grave choc nel passaggio il.i una comunità di tipo ancora tribale ad un Paese moderni), che forse non riesce a capirli sino in rondo

Persone citate: Cohen, Giorgio Romano, Zion