Mariangela Melato vittima ribelle fra i tanti carnefici di Pirandello
Mariangela Melato vittima ribelle fra i tanti carnefici di Pirandello L'attrice è protagonista a Milano di «Vestire gli ignudi», regia di Sepe Mariangela Melato vittima ribelle fra i tanti carnefici di Pirandello DAL NOSTRO INVIATO ' MILANO — Vestire gli ignudi è, a mio modesto avviso, tra le commedie non belle o non Interamente belle (si potrà cominciare a scriverlo, prima o dopo?) di Pirandello: ma ha al suo centro un personaggio bellissimo, quella Ersilia Drel che Maria Melato portò per prima sulle scene nel 1922 e che Mariangela Melato ha riproposto al pubblico milanese del Nuovo, l'altra sera, per la regia di Giancarlo Sepe. E' questa Ersilia, a dirla in una formula, la vittima sacrificale dell'intolleranza, dell'aggressività che s'annida nel corpo sociale, nella folla, tra la gente. Ha avuto una vita infelice: istltutrlce, forse colpevole della morte della bimba affidatale, di una relazione adulterina col padrone, un tal console, di aver deluso, senza colpa, le attese amorose di un altro, un tal tenente di vascello, finisce, dopo un tentato suicidio, tra le braccia ambiguamente protettive di uno scrittore, ospite della stanza d'affitto di lui. Vorrebbe ora. finalmente, trovar requie: lei, che non è mai stata nessuno, vorrebbe, almeno, nell'ombra rivestire di un •abitino decente» una propria larva d'esistenza: e invece no, ecco saltar fuori quegli altri, a chiedere ragione del proprio amore, del proprio onore delusi o traditi: a toglier vita alla poverina quanto più con le loro parole pretenderebbero di dargliela: e allora Ersilia, davvero, pensa di togliersela da sé e, desolata, s'uccide. Il tema-chiave e 11 puntoforza di questa amara parabola laica dal titolo Ironicamente evangelico è nell'idea di spoliazione, o, che è lo stesso, di spossessamene della nostra personalità da parte degli altri. Vestire gli ignudi è l'esaltazione (polemica) della morte del privato: quanto più gli altri pretendono di dare verità e coerenza alla nostra esistenza, tanto più ce ne privano. Vorremo avere una nostra misura di interiorità, al riparo da tutti: gli altri ce ne depredano, di continuo, In nome del loro arbitrario volontarismo. Mi pare che Giancarlo Sepe abbia ben tradotto quest'intuizione in quell'atelier romano Anni Venti, ideato da Paolo Tommasi, che con le alte finestre sull'esterno e con quella inconsueta balaustra-passerella ha qualcosa di un tetro carcere, e con gli alti suoi scompartì grigi sull'interno ricorda vagamente una triste aula di cancelleria. S'accendono, curiose e minacciose, varie finestre di un corroso caseggiato antistante: e, non certo a caso, in apertura del terzo atto. 11 console, 11 tenente, lo scrittore sono dietro quelle alte finestre, protette da sbarre di prigione, paiono parlare ad Ersilia, che, ora bellissima, giace reclusa in basso, come In riquadro di cella. Ersilia è, come abbiamo detto, Mariangela Melato, una delle poche attrici veramente intelligenti e sensibili della generazione di mezzo, che troppo raramente per quel che vale abbandona 11 grande schermo del cinema per 11 proscenio. Qui è d'una concentrazione spasmodica, tesa, insieme al regista, a strappare la sua antieroina al modulo, che nel testo è in agguato costante, di un patetismo indifeso. C'è anche questo, s'intende, nel languido corpo spossato della sua Drel: ma c'è poi la ribellione della donna che, stupefatta, s'accorge d'essere ancora forte, per brevi istanti imperiosa: c'è, nella gran scena del tardivo bilancio col console-amante, l'angoscia, che l'attrice rende magnificamente con quel suol tipici mutamenti tonali, d'esser sempre più fraintesi, l'angoscia della comunicazione di continuo distorta. Il quale console è Luigi Diberti, attore sempre fine e sorvegliato nel toni di una certa qual ombrosa separatezza (io me lo sogno in uno Stabile tutto d'ex-torinesi, con Volontè, Lavla, Bucci, Bisacco, Herlttzka, linea d'attacco). Vibrante il tenente La Spiga di Daniele Grlgglo; rilevata l'affittacamere di Anna Menichetti; sobrio lo scrittore Nota di Renato Scarpa. Pubblico scelto e attento, grandi applausi sul finale. Guido Davico Bonino Un dramma sulla perdita della personalità esaltato da un'attenta regia. La protagonista con la sua interpretazione strappa il testo al patetismo e vi insinua tratti di forza imperiosa. Con lei in scena Luigi Diberti Daniele Griggio e la Menichetti Mariangela Melato e Luigi Diberti in una scena dello spettacolo
Luoghi citati: Milano
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