Stalin a Tirana, romanze e utopia di Aldo Rizzo

Stalin q Tirana, romanze e utopia La disperata illusione di un Paese sotto l'inflessibile e inconcludente potere di Enver Hoxha Stalin q Tirana, romanze e utopia L'Albania è un pezzetto di Europa già appartenuto alla storia di Roma, Venezia e Bisanzio - Orgogliosa e gelosa della propria identità, liberatasi della dominazione fascista, percorre in 40 anni tutto l'arco dell'estremismo ideologico: dalla rottura con Tito allo strappo con il Cremlino, daIl'«idillio» con Mao alla denuncia di Deng - Quando solo il «primo Paese ateo del mondo» disertò la Conferenza di Helsinki Quel 30 luglio di dieci anni fa, nella Finlandia Hall di Helsinki, a mezzogiorno In punto, quando si apri la più importante e imponente conferenza paneuropea dopo 11 Congresso di Vienna, era possibile scorgere, uno a fianco all'altro, tutti i capi di governo e di Stato del Vecchio Continente, oltre a quelli degli Stati Uniti e del Canada. Solo uno era orgogliosamente assente: Enver Hoxha. Solo una bandiera non sventolava davanti al grande palazzo bianco di Alvar Aalto. sul Lungolago: quella dell'Albania. Quella conferenza segnava, magari solo nelle speranze o addirittura nelle illusioni di tutti i popoli europei, la vera fine del dopoguerra e l'apertura di una nuova fase di sicurezza e di cooperazione reciproca. Per questo qualcuno pensava, più che al Congresso di Vienna, laboratorio di equilibri diplomatici, alla Pace di Westfalia del 1648. che pose fine alle guerre di religione. Forse stava accadendo lo stesso per quelle moderne religioni che sono (o sono state?) le ideologie. Solo un Paese era di avviso radicalmente contrario. Non credeva né agli impegni alla sicurezza e alla cooperazione, né alla fine del confronto ideologico, anzi pensava che quel confronto dovesse essere più vivo e acuto che mai. Quel Paese era l'Albania di Hoxha. Fra i giornalisti di tutto il mondo, che seguivano la Conferenza di Helsinki, era invalso l'uso d'indicare nei loro articoli i 35 Paesi partecipanti con questa formula riassuntiva: 'Tutta l'Europa, meno l'Albania, più gli Stati Uniti e il Canada». L'Albania. Due milioni e mezzo di abitanti su un territorio di 29 mila chilometri quadrati. A Nord e a Est la Jugoslavia, a Sud e a Sud Est la Grecia. A Ovest l'Adriatico, cioè il Canale di Otranto, cioè l'Italia. Un piccolo mondo fattosi remoto e inaccessibile, e tuttavia visibile a occhio nudo, nelle mattinate terse, dai pugliesi della costa. Un pezzo d'Europa che era già appartenuto alla storia di Roma e di Venezia, oltre che a quella di Bisanzio e dei greci e del serbi e degli ottomani. Com'era stato possibile arrivare a un auto-isolamento cosi completo, totale, settario? Una prima risposta è forse proprio In quella storica e incontenibile vulnerabilità, In quell'essere stata, l'Albania, cosi a lungo, terra di conquista o d'influenza da parte del vicini. E nell'essere, gli albanesi, gente orgogliosa e gelosa della propria identità, fin da quando, nel terzo secolo, erano riusciti a costituirsi in provincia autonoma dell'impero romano. Un millennio, anzi undici secoli dopo, erano i turchi a premere, dalle loro posizioni nell'Epiro, e la resistenza albanese, prima di essere sopraffatta, trovò in Skandenberg un simbolo imperituro dell'indipendenza nazionale. Enver Hoxha non era, Skandenberg. era un rivoluzionario puro e duro della scuola leninista e stalinista; ma. come nazionalista albanese, aveva anche lui una buona mole di argomenti. L'Albania era stata proclamata indipendente nella Conferenza di Londra del 1913, ma nelle vicende, immediatamente successive, della prima guerra mondiale, ridiventò facile oggetto di appetiti esterni, essenzialmente austriaci e italiani. Di nuovo indipendente dopo la guerra, e ammessa alla Società delle Nazioni, conobbe, dopo un'ambigua tutela, l'occupazione e l'annessione da parte dell'Italia fascista. Fu 11 Venerdì santo del 1939, 11 7 aprile. Dieci giorni prima, Galeazzo Ciano aveva annotato, nel suo celebre Diario: «Cade Madrid e, con la capitale, tutte le altre città della Spagna rossa. La guerra è finita. E' una nuova, formidabile vittoria del fascismo (...). Manifestazioni a Pianga Venezia per la caduta di Ma¬ drid. Il Duce è raggiante. Indicando l'atlante geografico aperto sulla pagina della Spagna, dice: E' stato aperto cosi per quasi tre anni, ora basta. Ma so già che devo aprirlo in un'altra pagina. Ha nel cuore l'Albania». Hoxha aveva allora trent'annl, aveva studiato diritto a Lione ed era stato segretario all'ambasciata di Bruxelles, poi professore di francese a Tirana, finché il re Zog I non lo aveva fatto mettere sotto controllo dalla polizia. Gli occupanti italiani pensavano, due anni dopo, che l'Albania fosse una buona testa dì ponte per l'invasione della Grecia, Hoxha pensò ad organizzare la resistenza armata contro gli invasori. Come comunista, era convinto che la garanzia decisiva contro un ritorno del passato fosse il salto radicale del sistema e dell'ideologia. Nel gennaio del 1946. era il capo della Repubblica popolare albanese. In questo non fu dissimile da Tito, con le cui formazioni collaborò intensamente, negli anni della guerra partigiana. Ma, a differenza da Tito, aveva l'ossessione, e non solo la cura, dell'indipendenza, anzi dell'autosufficienza nazionale; e proprio nella Jugoslavia vedeva uno di quei vicini potenzialmente minacciosi per l'identità albanese, che per lui era ormai un tutt'uno con il rigore marxista-leninista-stalinista. Cosi, quando Tito si staccò dall'Urss. portandosi dietro un progotto di socialismo alternativo a ciucilo sovietico, Hoxha ebbe non uno, ma due motivi per schierarsi senza riserva con la controparte. Neppure l'idillio con Mosca, tuttavia, era destinato a durare. L'Albania di Hoxha entrò nel Patto di Varsavia al momento della sua costituzione, nel 1955, quando l'Urss era alle soglie delle sconvolgenti rivelazioni di Kruscev sullo stalinismo. Dopo 11 XX Congresso, il leader comunista di Tirana prese subito le distanze, nel segno di una immutabile fedeltà a Stalin. E quando la svolta krusceviana accennò ad approfondirsi, col XXII congresso, fu la rottura completa. Tanto più in quanto Kruscev aveva già decretato la riabilitazione, o meglio la legittimazione, della «eresia» jugoslava. All'idillio con Mosca si sostituì quello con Pechino. Questo aveva, rispetto al primo, due vantaggi. Si svolgeva all'insegna della teoria rivoluzionaria più accesa e ortodossa, e prevedeva come partner un Paese importante e anzi immenso, ma estremamente lontano. L'Albania diventava un singolare e persino bizzarro avamposto del maoismo in Europa, ma per nessuna ragione poteva essere scambiata per "una «colo.nin,-. della Cinar ■ "Furono"gli anni del"piti in¬ controllato lurore giacobino. Tra il 1967 e il 1968. anche l'Albania promosse la sua «rivoluzione culturale-. In un tentativo di sradicare lo spirito religioso da un popolo tradizionalmente diviso tra una maggioranza musulmana e una minoranza cristiana, vennero chiuse 2169 tra moschee e chiese, e l'Albania venne ufficialmente proclamata «il primo Paese ateo del mondo-. Senonché anche la Cina doveva deludere l'Incontentabile Hoxha. Finita la rivoluzione culturale, quella vera, e riaffacciandosi 11 vecchio pragmatismo cinese già nell'ultimo Mao, il leader albanese si aggrappò al «gruppo dei quattro., che già stava per diventare la «banda dei quattro^. Contestò la teoria maoista dei tre mondi (il secondo, quello dei Paesi medi, e il terzo, quello del Paesi sottosviluppati, alleati contro il primo, quello delle superpo¬ tenze), nel nome di un «quarto mondo., composto dai «veri, rivoluzionari, dagli ultimi e decisivi custodi del verbo di Lenin e di Stalin. Ma le cose in Cina andarono come andarono, e l'affermarsi della linea di Deng rese Hoxha e la sua Albania definitivamente, irreparabilmente soli. Avendo percorso tutto l'arco dell'estremismo ideologico e nazionalistico, l'Albania, ora priva di Hoxha, si è ritrovata, per cosi dire, a! punto di partenza. Resta da vedere quale sarà la sua prossima storia. Resta anche l'esempio di cosa può, in un piccolo Paese provato da troppe pressioni esterne, la disperala Illusione di salvarsi inseguendo miti e utopie, anche feroci (non si contano, infatti, i regolamenti di conti, le liquidazioni e le purghe, sotto la stabilità apparente del lungo e inflessibile, e alla fine inconcludente, potere di Hoxha). Aldo Rizzo Vlone (Albania). Il premier Enver Hoxha (a destra) saluta la folla in occasione del cinquantenario dell'indipendenza