I teologi muti di Sergio Quinzio
I teologi muti I teologi muti Il convegno della Chiesa ilaliana in corso a Loreto su «Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini» merita certamente attenzione anche al di là dei confini ecclesiali. E infatti ne ha già ricevuta molta, appena iniziato c prima ancora di iniziare: forse per il ricordo del segno convincente di vitalità lasciato dal precedente convegno del '76 su «Evangelizzazione e promozione umana», c forse perché il confronto con la vitalità delle istituzioni civili va ormai facilmente a vantaggio di quella ecclesiastica. Nella valanga di problemi che premono sugli oltre duemila partecipanti al convegno, dove i laici sono in maggioranza, e che verranno dibattuti a porle chiuse da ben ventisei commissioni raggruppate in cinque «ambiti», uno suscita l'interesse più largo. E' quello che vede oggi contrapposti due atteggiamenti, due modi di essere Chiesa. Si parla di «Chiesa di presenza» e di «Chiesa di mediazione»: intransigente la prima, che in movimenti come Comunione e Liberazione e Opus Dei tende alla ri-cristianizzazione del mondo; aperta al dialogo con una società ormai post-cristiana la seconda, anch'essa rappresentata da movimenti come l'Azione Cattolica c la Fuci. Le conseguenze, anche politiche, sono evidenti. Come vivere la fede nella società odierna? Con quale impegno? Impegno monolitico per convertire il mondo, o umile ascollo e testimonianza? Si va gloriosamente verso il terzo millennio cristiano; o si torna ad essere, come alle origini, un lievito nascosto, e magari un lievito, come sembrano mostrare venti secoli di storia, scarsamente capace di far lievitare la pasta' Il convegno è all'insegna della «riconciliazione»: ma che cosa vuoi dire «riconciliare» due opposte tendenze teologiche, due conscguentemente opposte interpretazioni del tempo storico che stiamo vivendo? La vigilia del convegno di Loreto ha registrato scontri aperti. Gli aggressivi «cristiani della presenza» hanno accusalo quelli «della mediazione» di «svuotare il magistero della Chiesa» e di «individualismo semiprotestantico». L'Osservatore Romano, polemizzando con l'Azione Cattolica, si C schierato a favore di CI; ma poi il presidente dei vescovi italiani cardinale Bai Ics tr ero. dopo un'udienza con il Papa, ha scritto al presidente dell'Ac confermandogli la «fiducia» delle autorità ecclesiastiche; e infine il Papa ha indirizzato al direttore del giornale vaticano una lettera che elogia la sua «dedizione, intelligenza, competenza professionale e fedeltà». L'intenzione conciliatrice (sebbene siano stati lasciati fuori dal convegno i rappresentanti delle Comunità di base) c chiara. Non altrettanto chiaro è l'esito al quale attraverso la riconciliazione si dovrebbe pervenire. Ci sarà mostrato, 6 sperabile, a Loreto. Ma probabilmente non sono le grandi assise, né i solenni interventi al vertice, che possono rispondere alle difficili domande con le quali la storia interpella la fede cristiana. La risposta dovuta è anzitutto teologica, e lo spirito di riconciliazione non offre, di per sé, soluzioni. , La relazione del giovane teologo Bruno Forte, con la quale si é aperto il convegno, ha avuto toni decisi, rifiutando l'identificazione della Chiesa con qualunque «forza storica, gruppo di interessi o partito politico che sia. il danno che deriva alla credibilità del messaggio du una simile identificazione è incalcolabile». Ma ha anche lamentato la «latitanza della teologia»: questione ancor più sostanziosa della precedente, sebbene su di essa converga, anche all'interno della Chiesa, un'attenzione molto minore. Non mancano, nella Chiesa italiana e in genere nel cattolicesimo, le energie, la buona volontà, l'entusiasmo. E' la teologia a far gravemente difetto, e una «riconciliazione» al di qua della teologia sarebbe più pericolosa del dissidio, che almeno mantiene viva la coscienza delle possibilità alternative. Sergio Quinzio
Persone citate: Bruno Forte
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