Il sabato ebbro di Khartum

Il saboto ebbro di Khartum La giornata del putsch in Sudan raccontata da un testimone dopo il ripristino delle comunicazioni Il saboto ebbro di Khartum All'annuncio del generale Swar el-Dahab, per radio, l'intera città - quattro milioni di persone - si è riversata esultante in strada - La gente fraternizzava con i soldati, che durante le proteste dei giorni precedenti avevano caricato i cortei - L'assalto al famigerato carcere di Kober, la liberazione dei prigionieri politici - Raffiche di mitra contro la folla da un centro della polizia segreta, morti e feriti // putsch che ha rovesciato il presidente sudanese Nimeirt è avvenuto in un Paese isolato da mercoledì: tutte te linee telefoniche e telex erano interrotte, gli aeroporti erano chiusi. Questo articolo è stato scritto da un testimone oculare della «rivoluzione di Pasqua», NOSTRO SERVIZIO KHARTUM — Il canto degli uccelli, riempiva stranamente la vie dì Khartum. Nei giorni normali, anche nella tranquillità delle feste, questo suono delicato è soffocato dal rombo delle auto e dalle grida dei commerciane. Ma sabato i grandi viali erano deserti, la capitale sudanese tratteneva il fiato. La tempesta di sabbia che nei tre giorni precedenti oscurava l'aria era finita, il cielo era azzurro, pulito. Sin dall'alba, per il centro erano stati disseminati blocchi stradali, e i ponti sul Nilo Azzurro e sul Nilo Bianco, verso i quartieri residenziali di Omdurman e Kliartum, erano stati chiusi. Alle 9, la gente incominciava a temere: aveva aspettato tanto, dopo dieci giorni di disordini, dimostrazioni di massa e di sciopero generale, ma quella rivoluzione nella quale aveva sperato non sembrava voler nascere da quel caos. Ormai era troppo tardi. Il presidente Nimciri doveva essere tornato nella notte, aver ripreso le redini della situazione, come fatto tante volte negli ultimi 15 anni. Le 9,31. L'emittente ufficiale del governo, Radio Omdurman, ha interrotto la musica militare e ha dato il microfono al ministro della Difesa e capo di Stato Maggiore dell'esercito, generale Abderra- hman Mohammed Hassan Swar el-Dahab. La sua stringata dichiarazione contrastava decisamente con i lunghi e tortuosi discorsi che la gente eia abituata a sentire da Nimciri. «Nel nome di Dio, che è misericordioso — diceva — chiedo al popolo di capire che nei giorni scorsi l'esercito è stato a guardare una situazione che si andava deteriorando. Per evitare un bagno di sangue e salvaguardare l'indipendenza della nazione e l'integrità del suo territorio, all'unanimità le Forze Armate hanno deciso di corrispondere alla volontà del popolo assumendo il potere, per restituirlo dopo un periodo di transizione limitato». Nel giro di pochi secondi, la città è esplòsa in un'entusiastica sarabanda di grida, risa, clacson. Khartum ha circa 4 milioni di abitanti: sembrava che, all'improvviso, praticamente tutti si fossero river-, sati in strada esultando, ballando, agitando fiori e rami strappati dai cespugli. Molti avevano tirato fuori dagli armadi polverosi la bandiera azzurro, oro e verde del Sud pre-Nimeirl. Ora i soldati con i berretti verdi e rossi toglievano i posti di blocco dal centro. Frotte di cittadini entusiasti sciamavano interpellandoli: «L'esercito e il popolo sono una cosa sola». I militari alzavano i fucili in segno di risposta, e sorridevano. Anche la polizia anti-sommossa, clic nei giorni scorsi aveva seguito una tattica di continimento delle dimostrazioni (ma anche cosi si era fatta pochi amici), adesso sorrideva, anche se un po' nervosamente. Ma la folla, di buon umore, salutava anche quegli agenti, mentre si assiepava attorno all'obelisco davanti al palazzo presidenziale. Cortei di centinaia di mi- gliaia di persone hanno incominciato a dirigersi verso il quartier generale della polizia segreta di Nimeiri, un'istituzione odiata. L'esercito aveva già occupato l'edificio: era schierato davanti alle rotaie che bisogna attraversare per accedervi. C'erano più soldati qui di quanti se ne fossero,visti in tutta Khartum nei tre giorni precedenti, da quando erano incominciati i tumulti contro gli aumenti dei generi alimentari. E i soldati salutavano con la mano i dimostranti dal tetto della sede della polizia segreta. A qualche chilometro di U, alla famigerata prigione di Kober, che fino a quella mattina rinchiùdeva oltre duemila prigionieri politici, c'era un'altra moltitudine. Era un obiettivo che l'esercito aveva deciso di non proteggere. Ci saranno state 100 mila persone. Con la forza del numero, i cancelli sono stati divelti dai cardini, la recinzione di filo spinato, alta quasi due metri, è stata calpestata. Appena quella massa ha incominciato a avanzare, le guardie, all'interno e sulle torrette, sono state colte da un improvviso ardore rivoluzionario, hanno aperto i portoni, e, con un'espressione sul volto da giocatori d'azzardo alle prime armi, hanno incominciato a fare cenni di saluto alle migliaia di persone che venivano verso di loro. Al centro di una serie di rettangoli concentrici, sorgono le grandi impalcature delle tre famose forche di Kober. Qui si svolgevano le esecuzioni, e anche le amputazioni volute dalla crudele legge islamica, la shari'a; e qui, si dice, tre mesi fa Nimeiri e i fanatici Fratelli Musulmani fecero una festa mentre assistevano all'impiccagione di Mohammed Taha, il vecchio leader religioso (aveva 76 anni) che li aveva accusati di pervertire il vero spirito dell'Islam. Ma ora, sulla grande struttura metallica rossa del sangue rappreso si arrampicavano frotte di sudanesi gridando di gioia e di sollievo, liberati all'improvviso da una tensione che durava da anni. Dalla fortezza, dalla lunghe celle basse, gabbie esposte alle intemperie nelle quali erano state rinchiuse, per mesi, anni, hanno incominciato a riversarsi, abbracciate tra di loro, centinaia di persone, comprese quelle incarcerate nelle purghe degli Ordini dei medici, degli avvocati e dei docenti, la scorsa settimana. Sono usciti il leader dell'Unione degli studenti. Omer Yusif, e molti membri dell'associazione. E' uscito il professore di matematica Mohammed el-Amin, molti altri intellettuali dissidenti. E anche piccoli criminali; ma in un giorno di rivoluzione, che importa? In città, la folla assaltava il Centro delle carte d'identità, un altro covo della polizia segreta. LI. non c'erano soldati. La gente inferocita ha abbattutto i cancelli, è entrata. Il cupo crepitio delle armi automatiche ha riempito l'aria. Molti sono stramazzati, uccisi o feriti. Pochi minuti dopo, un drappello di militari e agenti antisommossa hanno fatto irruzione nell'edificio, poco dopo sono usciti trascinando una decina di poliziotti in borghese, senza più mitra né pistole. All'Associazione dei docenti, nel pomeriggio, il presidente, Adlan el-Hardlo. ha annunciato In un grande raduno che i sindacati e gli Ordini professionali che avevano guidato gli scioperi e le manifestazioni avevano votato una Carta sulle libertà costituzionali che sarebbe stata presentata alla nuova leader¬ ship militare: «Finché non verrà accettata, lo sciopero continuerà. La sostituzione di un regime militare con un altro è inaccettabile senza garanzie. Abbiamo vinto solo la prima battaglia. Dobbiamo slare in guardia». Ma altrove operai esultanti tornavano già al lavoro. Poche ore dopo, il generale Swar el-Dahab ha annunciato un pacchetto di provvedimenti, tra i quali lo scioglimento del partito al potere, l'Unione socialista sudanese, la sostituzione di tutti i governatori provinciali con militari, e la chiusura dei confini durante lo stato d'emergenza. E ha chiesto a tutti di tornare al lavoro, la mattina. Dopo il tramonto, i teleioni sono stati interrotti. «E' la polizìa segreta?», ha domandato un giornalista. «No, la polizia segreta è stata sciolta — ha risposto un albergatore alzando le spalle — questa è la nuova polizia segreta». Paul Vallely Copyright ('Times Nenspapcrs'» e jKT l'Italia tLu Stampa» .Khartum. Un gruppo di dimostranti per le vie della capitale dopo il colpo di Stalo (Tclcfoto)

Persone citate: Mohammed Hassan, Mohammed Taha, Omer, Paul Vallely Copyright

Luoghi citati: Italia, Sudan