Vietnam, una lezione mancata

Vietnam, una lezione mancata Dieci anni fa la caduta di Saigon: un articolo dell'ex segretario di Stato Henry Kissinger Vietnam, una lezione mancata Dalla caduta di Diem all'arrivo del corpo di spedizione, dai consensi iniziali ai cedimenti di Johnson e di Nixon: che cosa dovevano da quegli eventi? Primo: in guerra gli obiettivi, anche militari, devono essere chiari; secondo: i partiti devono ridurre al mimmo i battuti in Indocina non fu un errore. Oggi, ancora una volta, i popoli liberi del mondo guardano all'America per la loro sicurezza apprendere gli Usa contrasti - Essersi e il loro progresso Il decimo anniversario della C'ildutii di Saigon è prossimo. Il dolore di cjiil'1 giorno non svanirà, come non saranno dimenticati i cadmi, americani c indocinesi, i massacri di milioni di persone clic seguirono a ijliclhl sconfitta. Il Vietnam mise fine all'ingenuità dell'America nelle questioni internazionali. Fu la prima guerra nella quale il coinvolgimento degli Stati Uniti non venne provocato da un'aperta aggressione attraverso una chiara linea di demarcazione. Fu la prima guerra in cui l'azione militare non precedette i nego/iati, l'u la prima guerra testimoniata nelle case delle famiglie americane. Fu la prima guerra in cui eminenti personalità americane si opposero alla politica del loro Paese durante visite, ampiamente pubblicizzate, nella capitale ilei nemico. » Il Vietnam divento tragedia in quattro alti. • Atto primo: l'ipotesi errata - Nel suo discorso di insediamento il presidente Kennedy annunciò clic gli Stati Uniti avrebbero «aiutato nielli amiio e contrastalo ogni avversario per assicurare lu sonruvvivenza e il trionfo della liberta». Nessuno mise in discussione quell'impegno, né il fatto che l'Indocina fosse un avamposto chiave nella difesa .della libertà. In sei settimane furono mandali i marincs in Thailandia. Un anno dopo, sedicimila militari statunitensi diventarono «consiglieri» di aiuto al governo sud vicinami la perché questo potesse resistere alla guerriglia manovrata da Hanoi. 11 regime di Hanoi era considerato la puma di lancia della strategia globale sino-soviclica. In retrospettiva, sappiamo che Hanoi agiva con una strategia propria. In realtà sfrullava abilmente il dissidio Ira l'echino C Mosca, cosa di cui Washington non si rendeva conio. L'impegno di migliaia di (.consiglieri» mise in gioco il prestigio globale degli Stali Uniti. Con il suo coinvolgimento in Indocina, l'America non risolse mai il rapporto tra mcdzi e ..fini, an/.i non definì adeguatamente neppure i suoi fini. I.'obiettivo politico finale dell'America era nobile: metlerc in grado un popolo lontano di resistere alla tirannia. D'altra parte, i cosiddetti Paesi liberi della penisola indocinese, benché molto distanti dalle forme oppressive del Nord Vietnam, difficilmente si potevano definire democrazie, l'orlare la democrazia in un Paese in via di sviluppo richiede dieci anni e più, mentre la distruzione e il caos possono essere creali in poche settimane. Il rifiuto di affrontare questa realtà spinse l'Amministrazione Kennedy a incoraggiare, per essere benevoli, la defenestrazione del dittatore sudvielnaniita Ngo Dinh Diem nel 1963. Il collasso del governo civile fu lo spartiacque che portò alle due fatali decisioni: impegnò gli Stali Uniti a sostenere la giunta che sostituì Dicin e indusse Hanoi a far intervenire il suo esercito regolare. • Atto secondo: la strategia ambivalente Il presidente Johnson si senti obbligalo a addossarsi la logica dell'eredità lasciatagli ila Kennedy. I ministri lasciali dal defunto presidente lo spinsero in questa direzione. Una forza di spedizione di oltre mezzo milione di soldati americani fu inviala al più presto, ma gli Stali Uniti mancarono di una strategia per farli ritornare in patria. Storicamente, l'America ha sempre puntato sull'uso delle sue vaste risorse per una guerra di logoramento. Il logoramento però non funziona contro la guerriglia, che non difende territori e che sceglie il momento più opportuno per combattere. In Indocina, inoltre, i guerriglieri operavano partendo da «santuari» che si trovavano in ogni Paese confinante ed erano combattuti in base alla teoria alla moda della ('escalation graduale», la quale consentiva pause che avrebbero dovuto incoraggiare il compromesso. In effetti l'ocscalation gradualo convinse Hanoi che l'America non era in grado di risolvere il problema. Poiché la guerra si trascinava, aumentarono le richieste di una soluzione politica. Ma queste erano inficiate dalla tradizionale tendenza americana a considerare come cose separate il potere e la diplomazia. Diventò un luogo comune sostenere che il Nord Vietnam non avrebbe negoziato — e quindi era inutile chiederglielo — mentre il suo territorio era bombardato; non importava se le truppe nordvietnamite invadevano illegalmente il Laos, la Cambogia e il Sud Vietnam. Il presidente Johnson finalmente superò il suo dubbio istintivo c sospese i bombardamemi poco prima delle elezioni del '6K. In questo procedere degli avvenimenti svanì il supporto bipartitico alla politica estera del Paese. Tra il 1963 e la fine del '66 la solidarietà dei mezzi d'informazione, del pubblico e del Congresso era stata quasi totale. I pochi oppositori si valevano dei metodi del tradizionale dibattito democratico americano. Ma dalla fine del "66 la guerra diventò un punto di coagulo di quelli che fino a quel momento erano gruppi sparsi che miravano ad una radicale trasformazione della società. Per essi il Vietnam non era un penoso dilemma geopolilico dal quale fare uscire l'America con onore. Preferivano un esito infausto che screditasse l'odiato establishment. Convinti che solo una manifesta umiliazione avrebbe piegato la propensione dell'America per le avventure esterne, essi derisero gli appelli alla credibilità americana. E coloro i quali avevano portato l'America in guerra furono cosi demoralizzati che, una volta lasciate le loro responsabilità, diventarono muti o incoraggiarono gli estremisti. Troppo spesso i mezzi d'informazione diventarono inconsapevoli complici. Fra facile riportare gli orrori d'una gucr-' ra moderna', mollo più difficile distinguere tra ciò che era inevitabile con le armi contemporanee e ciò che era deliberata crudeltà. Allo stesso modo era anche troppo semplice costruire il conclamato gap di credibilità sottolineando continuamente la differenza tra le dichiarazioni governative c ciò che in realtà succedeva. Una analisi più obicttiva avrebbe messo in rilievo che cosa era dovuto alla confusione c quale era la parie di effettiva disinformazione. • Atto terzo: il penoso esodo — Nessuno che conoscesse la carriera di Richard Nixon avrebbe credulo che la sua promessa nella campagna elettorale di por fine alla guerra avrebbe significato semplicemente la rinuncia. Al contrario, fu sorprendente che un presidente, eletto da un volo conservatore, arrivasse a tanto per placare i critici liberals, adottando in realtà un programma di pace che era stalo bocciato dalla Convenzione democratica del 1968. Ma nella prevalente atmosfera di radicalizzaz.ionc, ogni concessio¬ ne suscitava ulteriori richieste culminanti in pressioni per il ritiro unilaterale e per il rovesciamento del governo ili Saigon allealo degli Slati Uniti. Nixon era convinto che fosse immorale e pericoloso per l'America uscire dal conflitto abbandonando semplicemente milioni di persone che avevano combattuto con gli Stati Uniti, fidandosi della loro parola I.c pressioni interne lo forzarono poi a compromessi che spesso cancellarono i suoi progetti iniziali. Un presidente non può condurre la sua battaglia da solo. in mezzo a tante passioni. Di fronte a decisioni del Congresso che progressivamente si orientava verso un ritiro unilaterale, alle violente manifestazioni e all'ostilità dei mezzi d'informazione, Nixon era deciso a sostenere le sue tesi, a chiedere la fiducia del Congresso. Se falliva, avrebbe posto fine alla guerra. Resisteva a questa idea perché sentiva che la Moria non avrebbe mai dimenticato le nefaste conseguenze di ciò che egli considerava un'abdicazione di responsabilità da parte dell'Esecutivo. Malgrado tutti gli ostacoli. Nixon giunse faticósamente vicino al successo. Dalla fine del 1972 la sua Amministrazione aveva costretto Hanoi ad accettare due condizioni irriducibili: l'America non avrebbe posto fine alla guerra rovesciando un governo alleato, né avrebbe rinunciato al diritto di assistere le persone che avevano valorosamente combattuto al suo fianco. Distrusse queste posizioni il collasso dell'autorità presidenziale per lo scandalo Watergate, dopo che erano stati firmali gli accordi di Parigi nel 1973. • Atto quarto: il periodo post-'73 — L'Amministrazione Nixon era convinta che avrebbe raggiunto una soluzione accettabile per l'Indocina. Non eravamo così ingenui sugli obiettivi di Hanoi, ma vedevamo molli clementi che ci confortavano per il futuro: un aiuto continuo per rendere l'esercito sudvietnarnila capace di far fronte alle violazioni minori del Nord; la minaccia di rappresaglie americane contro massicce violazioni di confine; la ridotta influenza di Mosca e di Pechino, che avevano crescente interesse per le relazioni con gli Stali Uniti; l'offerta di aiuti americani a Hanoi se la sua scelta fosse stata di ricostruire il Nord, anziché di conquistare il Sud dell'Indocina. Ma gli accordi di pace non posero fine all'infuocato dibattito interno sul Vietnam, ora alimentato dal Watergate. Le cose messe insieme con tanta fatica venivano sistematicamente smantellate. Malgrado le violazioni immediate e flagrami degli accordi da parie nordvielnamita, il Congresso votò nel giugno del '73 per la proibizione di ogni azione militare «sul suolo, nei cicli e in prossimità» dell'Indocina. Tagliò i fondi per il Vietnam del 31) per cento nel '73. di un altro 5(1 per cento nel '74. Mise un tetto rigido agli aiuti destinali alla Cambogia, proibendo l'invio in quel Paese di «consiglieri» americani c persino il trasferimento di equipaggiamento militare dagli alleati asiatici in quella zona geografica. Il presidente Nguven Van Thieu fu preso dal panico quando capì che non avrebbe ricevuto i fondi supplementari promessigli per il 1973. E Hanoi decise di agire quando, dopo aver occupalo una capitale provinciale, vide che neppure le più grosse violazioni degli accordi sarebbero state seguile da alcuna ritorsione americana. Che cosa dobbiamo apprendere da questa serie di eventi'' I conflitti di guerriglia si evitano con misure preventive, con generosi programmi di assistenza e di riforme nei Paesi che gli Slati Uniti considerano d'interesse vitale. Ma una volta scoppialo un conflitto, la vittoria non può essere ottenuta con le sole riforme. Prima di mandare truppe l'America dovrebbe avere chiari gli obicttivi. Ciò presuppone due condizioni: A) il consenso bipartitico su che cosa sia interesse vitale per la nazione; B) riconoscere che l'equilibrio globale di potenza é verosimilmente più scosso da interventi marginali che da quelli massicci. Quando l'America decide d'impegnarsi militarmente non c'è alternativa per raggiungere l'obicttivo fissato. I dubbi non devono far compiere operazioni di cui si é convinti a metà. Una democrazia non può condurre una scria politica estera se i partiti non s'impongono limiti nei loro contrasti. Se un'utile credila ha lasciato il Vietnam questa é la lezione di quella tragedia. Ma finora non l'abbiamo imparata. I critici radicali cenano di impone una versione della storia secondo cui leaders assetali di sangue sostennero una guerra senz'altro scopo che quello di soddisfare le loro psicologie distorte. Ma il boat people del Vietnam, le centinaia di migliaia di vietnamiti che sono ancora nei campi di conccnlramenlo, dieci anni dopo la caduta di Saigon, i gas velenosi nel Laos, il genocidio in Cambogia, sono testimonianze irrefutabili. Essersi battuti per prevenire tali orrori non era sbaglialo. La destra altera la storia semplicemente ignorando il Vietnam. La sua ala isolazionista é sempre siala più a suo agio con la vuota retorica amicomunista che con l'impegno di combattere il comunismo su remoti campi di battaglia. Non a caso la maggior parie dei neo-conservatori fece parie del movimento pacifista dopo il 1973. Per questo, secondo la versione conservatrice della storia, tulle le frustrazioni degli Anni Settanta sono attribuite alla distensione, come se non ci fosse stato né il Vietnam, né il Watergate. Dicci anni dovrebbero consentire all'America di affrontare il suo passato. Ha fallito nel Vietnam, ma ha dato tempo alle altre nazioni del Sud-Esi asiatico di contenere le loro insurrezioni interne. E l'angoscia autentica dell'America ha dimostrato i suoi scrupoli inorali. Ancora una volta i popoli liberi d'ogni parte del mondo guardano all'America per la loro sicurezza c per il progresso Il loro grande timore non è che l'America intervenga nel mondo, ma che si ritiri dal mondo. Ecco perché, dicci anni dopo la tragedia della caduta di Saigon, l'unita c un dovere per gli Stati Uniti e nello stesso tempo la speranza per il mondo. Henry A. Kissingcr Copiriuhl ci A Tinivv Stridimi!» t ih: III,ili i fi.a Si.miji., Vietnam del Sud, 196S. Un militare americano «guida» uno squadrone di elicotteri: sono i primi anni di guerra contro i ut-tcnni; e Hanoi