Il cioccolato, un'arte che non muore

Il cioccolato, un'arte che non muore Tra le botteghe che continuano una tradizione tipicamente torinese Il cioccolato, un'arte che non muore Dai diablottini del 700 alle moderne pralines alle uova di Pasqua ancora fatte a mano, laboratori e industrie danno alla nostra città il vanto di un primato - C'è ancora chi lavora come nell'800 Nel laboratorio in riva al Po il profumo del cacao appena tostato impregna l'aria. Accanto alla stufa cilindrica, nodosi rami d'ulivo attendono di essere gettati nel fuoco, perché, oggi come ieri, le fave del cacao richiedono queste cure e il legno d'ulivo, già preferito all'inizio dell'800 dalla prima industria artigianale del cioccolato, la Caffarel, è l'unico che non lascia traccia di fumi o odori. Poco oltre, i pani di cacao di qualità diverse «perclié nella miscela è il segreto» si sciolgono con lo zucchero, la pasta si raffina ed è «schiaffeggiata» in una vasca di concaggio per 72 ore (come si faceva nell'800) finché il cioccolato perde ogni goccia di umidità. L'ultimo passo è la trasformazione in pralines negli stampi o in uovo di Pasqua nella forma apposita, dove la crema densa è spatolata a mano. Giorgio e Bruna Peyrano, nella bottega di corso Moncalierl, Giuseppe e Giulia, nel negozio-pasticceria di corso Vittorio Emanuele, anziché cedere le armi al tempi moderni, continuano oggi, con gli stessi metodi, il lavoro avviato da Antonio Peyrano nel 1915. Allora, «L'Alpino., cacao, alcol e aromi, fasciato in argento, segnò l'inizio di una fortuna. Oggi il successo è racchiuso in 65 tipi diversi di cioccolatini, la maggior parte ricavati negli stampi originali, lavorazione come alle origini. «Il nostro orgoglio — dicono Bruna e Giorgio Peyrano — è l'amore che abbiamo, in famiglia, per la nostra produzione. Il rammarico è l'appiattimento dell'immagine di Torino dolce: sono quasi del tutto scomparsi i laboratori che partono dalla tostatura del cacao, i più si limitano a trasformare i pani di cioccolato, magari comprati all'estero'. Ma allora Torino non è più la capitale del cioccolato? Si Indignano: «Certo che lo è ancora, i cioccolatini di Torino arrivano in tutto il mondo, ma i torinesi sono così schivi a parlare delle loro virtù». Se Stratta, fondato da Reina e Stratta nel 1836 in piazza S. Carlo, vanta il prestigio di ordinazioni intestate a Sua Eccellenza 11 ministro Cavour, oggi la famiglia Monzcglio proprietaria dal 1958 (piemontesi ritornati dal Sud America, dove trattavano cioccolato) ammette: 'Ab¬ biamo limitato la nostra produzione alla vendita nel negozio; partiamo dal pani semilavorati per arrivare alle pralines, dai gianduiotti ai Torinesi». E' ormai limitata al negozio di via Sacchi l'attività di Pfatlsch, nato nel 1929, rilevato nel '34 dall'attuale proprietario: praline-ria formata a mano, specialità nel ripieni di liquori e creme, uova pasquali con una predilezione per soggetti animali. Ma nel 50 metri di lunghezza del laboratorio, 'sotto i portici», non si pensa certo di rinunciare all'intero ciclo di lavorazione. Nello Ferraris, ingegnere mancato per i casi della vita, dedicandosi al cioccolato ha messo a frutto la sua passione: mostra macchinari «unici, fatti in proprio-, dal pulisci nocciole al mescolatore, dalla raffinatrlce di finitura alla macchina per 1 cioccolatini al liquore a quella, ormai inutilizzata, per le gelatine dt frutta. E anche qui, accanto alla stufa trionfano i ciocchi di legno d'ulivo, mentre l'amalgama del cioccolato ondeggia nelle vasche di concaggio. Cosi 11 passato continua a vivere nel presente. E che Torino sia, oggi come ieri, la capitale del cioccolato italiano non è soltanto un'etichetta. Quando nel 1678 Madama Reale diede a certo Giovanni Antonio Ari la patente di 'Cicala tè» consentendogli di vendere la 'Cicalata' in bevanda, non sapeva di aver fatto il primo passo per dare alla città un'immagine che, negli anni, avrebbe ottenuto la gloria di un primato. All'inizio del '700 il «bicerin», cioccolato, caffè e latte, è la prima colazione tipica per i torinesi e 1 droghieri si sono impadroniti dell'arte di trasformare il cacao. I «diablottlnl». pastiglie al cioccolato aromatizzato, antenati del Gianduiotti, ne sono il risultato; una produzione giornaliera di circa 750 libbre di cioccolato, una rete di agenti commerciali, esportazione del prodotto in tutta Europa, specie in Francia, Austria, Germania e Svizzera, sono i fiori all'occhiello di Torino fine '700. Tanta era la fama che si scatenò, già allora, lo spionaggio industriale, se nell'autunno del 1815 Francois Louis Cailler, fondatore nel 1818 della prima fabbrica di cioccolato svizzero, fece «un'incursione» per osservare la lavorazione del cioccolato nei laboratori del Caffarel, gli stessi che nel 1865 inventarono il .Gianduiotto». Nel frattempo altre ditte erano sorte, come la Talmone, altre dovevano nascere, come la Venchi. Il passato trova riscontro oggi: su 137 aziende in Italia che producono cioccolato e semilavorati. 40 sono in Piemonte (contro le 23 della Lombardia e della Liguria) con oltre un quarto del fatturato nazionale. E ci sono nomi come Caffarel, Streglio, Feletti, Pernlgottl, Baratti e Milano, Novi, De Coster, fino' alla multinazionale Ferrerò, senza dimenticare le decine, di laboratori clic, negli ultimi 50 anni, hanno continuato e rafforzato la tradizione. Simonetta Conti Delicatezza nel decorare