Sciltian illusionista della realtà di Angelo Dragone

Sciltian, illusionista della realtà Sciltian, illusionista della realtà Aveva 85 anni - Abbandonata la Russia, si stabilì in Italia - Ritrattista, amico di de Chirico, diceva che era pittura solo quella di «chi sa disegnare» - Il successo romano, garante Roberto Ixnighi Per Sciltian «il pittore, ovvero l'artefice dell'illusione, che non sappia disegnare non può essere chiamato pittore, titolo che compete a chi sa disegnare anche se i suoi colori non spiccano per particolare finezza e vivacità, giacché egli realizza la parte più importante della pittura*. Ed è subito la dichiarazione di poetica di un realista convinto, anzi d'un convertito alla «pittura della realtà» o. se si preferisce, addirittura di un avanguardista pentito. Giovanissimo, s'era trasferito a Mosca dove, lasciati gli,] studi classici per la pittura, s'era sentito attrarre infatti dal futurismo e dalle ricerche di quello che fu per lui il .modernismo». Era poi venuta la vita con le sue esperienze: l'abbandono della sua terra attraverso peripezie di ogni genere che l'avevano portato dapprima a Costantinopoli, poi a Vienna. Aveva cosi avuto inizio quella vicenda fatta anche di avventure rocambolesche che, tutto sommato, ha finito col costituire il fascino d'un uomo sentito anche da chi non avesse amato la sua pittura divenuta in breve, dopo il suo approdo italiano, quella d'un «illusionista della realtà». Dalle pagine dell'autobiografia emerge la romanzesca figura di uno Sciltian trafficante di valute e antiquario, pittore (per fame) di insegne d'osterìa e di fiancate di bastimenti, e persino produttore e spacciatore di disegni pornografici, organizzatore di spettacoli per marinai e viveur alla Oscar Wilde. Molte cose e innumeri personaggi riempirono naturalmente la sua vita, cosi che a distanza di tempo il ricordo di certe feste gogoliane in una dacia della steppa del Don poteva mescolarsi a quello di altre, non meno animate, che a Parigi avevano avuto come teatro un atelier del Quartiere Latino. Limpida in ogni caso è sempre rimasta la memoria d'una vocazione che s'era annunciata nel piccolo Gregor fin da quando, mentre la mamma gli leggeva qualche fiaba, si divertiva a disegnarne le illustrazioni. «Bicordo, scrisse, che mi lesse una volta una favola di Gogol in cui si raccontava di una morta che si alza nella bara e, come sempre, illustravo il racconto. Quando ebbi terminato e guardai il mio disegno, ne rimasi talmente impressionato che mi misi a urlare dallo spavento*. Tutt'altro che idillica gli si manifestò tuttavia la realtà se fin dal 1905 — l'anno d'un primo tentativo rivoluzionarlo con relativa caccia all'ebreo — dalle stesse finestre di casa gli era toccato di udire urla di terrore e di veder sfondare le vetrine e svaligiare i negozi, col cielo che si tingeva del rosso degli incendi. Nel novembre del 1919 decise di fuggire. Pochi anni dopo lasciando Berlino approdava a Roma, in viaggio di nozze. E da allora, tolta una breve parentesi parigina, è vissuto sempre in Italia: con studi a Milano, a Venezia e naturalmente a Roma, diventata la sua città. A trattenerlo qui era stata la tradizione classica: «71 mio spirito era vivificato dalle opere dei grandi*, ha lasciato scritto. Ma a colpirlo fu soprattutto il Caravaggio, e lo stesso de Pisis riconobbe che la sua pittura *sotto un certo aspetto può cì.iamarsi caravaggesca- non senza preferenze per cerio nature morte «classiche nella loro bella composizione ordinata... dove gli oggetti più disparati creano un dramma curioso*. Pini che la sua prima «per- sonale», allestita da Bragaglia nel dicembre del 1925, venne presentala da Roberto Longhi, proprio l'insigne critico dell'indimenticabile esegesi caravaggesca, ma anche il duro stroncatore del Buonanotte signor Fattori, che a suo modo aveva servito lo stesso de Chirico con un memorabile scritto intitolato Al dio ortopedico. In sintonia con de Chirico, Sciltian s'era tuttavia naturalmente trovato in polemica con le avanguardie storiche e con l'arte moderna. Ma se non proprio l'unico (sul suo versante, uno per tutti, basti ricordare l'Annigoni) era rimasto tra i pochi pittori disposti ancora a fare dei ritratti somiglianti e delle nature morte che ci si poteva divertire a indovinare se fossero dipinte o fotografate. Ebbe cosi un successo che gli apri i salotti bene di tutta Italia, caro alla nobiltà come ai cavalieri d'industria. Pretendeva di modernizzare il Rinascimento, ma dal liacco all'osteria a Susanna e i vecchioni, dal celebre Ritratto di Giovani Scheiwillcr al nudo di Romantica e al non meno memorabile nuca Luigi Grazzano Visconti ir. tenuta di cavaliere, per non dire delYAutoritratto del '43. si ha la sensazione che non abbia inteso tanto gareggiare con la realtà quanto ricrearla in quello che il suo amico de Chirico aveva definito ■ (/ teatro di Sciltian*. Questa sua pittura doveva tuttavia nascere da una profonda convinzione se Sciltian ha davvero creduto in una decadenza dell'arte drammaticamente da attribuirsi .all'odio dell'uomo i>erso se stesso-. Angelo Dragone

Persone citate: Annigoni, Bragaglia, Fattori, Gogol, Oscar Wilde, Roberto Longhi, Visconti