MARCO AURELIO IL CONTEMPORANEO

Il cosmo e la città MARCO AURELIO IL CONTEMPORANEO Il cosmo e la città Che cos'è che rende così immediatamente accessibile, c cosi attuale, un testo come i Pensieri di Marco Aurelio, auando invece l'esperienza che facciamo nella lettura di tanti altri scritti di filosofi antichi è di profonda estraneità? La domanda si ripropone leggendo ora l'opera più nota del filosofo-imperatore romano (regnò dal 161 al 180 d.C) nella nuova edizione degli Scrini curata per la Utct da Guido Cortassa, che comprende anche (con testo a fronte, traduzione, commento) l'epistolario, documenti vari e una raccolta dei testi legislativi dovuti all'attività di Marco Aurelio statista. Sebbene il confronto tra le teorie del filosofo e le loro applicazioni politico-legislative non dia risultati sconvolgenti, perché l'opera di Marco Aurelio imperatore rimane per lo più nel solco della tradizione romana, anche se della più illuminata, quel che colpisce e l'impressione di vicinanza e di contemporaneità che si ricava dalla lettura dei Pensieri. Una prima spiegazione si può cercare a partire da una tesi proposta da Wilhelm Dilthey in un saggio del 1907: in quelle pagine, Dilthey constata che, in momenti diversi della storia dell'Occidente, si è verificata una caduta delle grandi prospettive sistematiche, delle grandi visioni metafisiche dell'essere, del mondo, dell'uomo; in quei momenti (la tarda antichità, la fine del Medio Evo, la fine dell'Ottocento) si sono presentati filosofi che non hanno più proposto spiegazioni globali, ma piuttosto massime di saggezza, interpretazioni poctico-lettcraric dell'esistenza. Sono quelli che Dilthey chiama «filosofi della vita», e vi annovera personaggi come Montaigne, Nietzsche, Tolstoj, e, per l'appunto, Marco Aurelio. Possiamo dunque pensare che Marco Aurelio ci parli in maniera particolarmente immediata perché condividiamo con lui l'esperienza di vivere in un'età di crisi, di mancanza di spiegazioni globali e rassicuranti. A leggere la sua opera, tuttavia, questa spiegazione appare insufficiente, anche se largamente accettabile. A Marco Aurelio non ci avvicinano solo ragioni negative, come la perdita e la nostalgia di grandi sistemi metafisici; ma anche ragioni positive, che vanno ben oltre la consapevolezza di una crisi. Sono ragioni che possono far pensare a una vera c propria ondata di neo-stoicismo nella cultura contemporanea (pensiamo, per esempio, alla visione dell'etica tardo-antica nell'ultima opera di Foucault, La cura di sé, appena 'tradotto presso Feltrinelli). ; Forse il pensiero antico non Ha per noi il senso — che molti oggi sembrano attribuirgli — di un richiamo a grandi modelli originari di spiegazione del mondo (Platone, Aristotele, o prima ancora, Parmenide) ai quali dovremmo ritornare per uscire dalle presenti difficoltà; forse si tratta invece di riprendere l'antichità in una prospettiva più completa, come quel corso di pensiero in cui proprio quelle grandi prospettive unitarie si sono sviluppate e, anche, consumate: più che tornare a Parmenide, dobbiamo forse tornare proprio a Marco Aurelio, allo stoicismo, a Epicuro, insomma a filosofìe che troppo spesso ci siamo abituati a considerare epigonichc, tarde, decadenti. Per mettere alla prova questa ipotesi, bisogna cercare di cogliere una filosofia come quella di Marco Aurelio nei suoi aspetti positivi e costruttivi, dei quali del resto l'autore era ben consapevole. Come pensatore stoico, Marco Aurelio condivide con lo stoicismo più antico (la scuola fu fondata da Zenone di Cizio verso il 300 a.C) l'idea che il mondo sia un unico grande essere permeato da una ragione divina, la quale fa sì che ogni accadimento sia conforme a un destino. Il sapiente deve vivere secondo natura, cioè conformemente a questa ragione universale; essa gli ha assegnato la posizione di un essere razionate, e di conseguenza per l'uomo si tratta di esercitare e sviluppare soprattutto la propria razionalità. Non deve dunque occuparsi eccessivamente di tutto ciò che riguar¬ da la bellezza, la salute, la ricchezza, gli onori, ma solo delle virtù, in cui si esprime la sua razionalità; le virtù sono quelle poi tramandate come le virtù cardinali: temperanza, prudenza, giustizia, coraggio. Ma al di là di questa etica che riprende un po' il patrimonio morale di tutta l'antichità, quel che è peculiare di Marco Aurelio è l'estrema semplificazione e radicalizzazione della morale. I.a struttura razionale del cosmo, mi l'uomo saggio deve conformarsi, finisce per configurarsi in lui come la pura e semplice vicenda della nascita e della morte. * * I.o si vede bene in quei pensieri immediatamente successivi, il nono e il decimo del settimo libro: nel primo, Marco Aurelio riafferma la convinzione stoica circa l'unità razionale del tutto: «Uno è il cosmo, uno è il dio che pervade tutte le cose, una è la sostanza, una è la legge, una è la ragione comune a lutti gli esseri dotati di intelligenza,..»; ma subito dopo spiega anche come si manifesta questa unità del tutto: «Ogni cosa materiale in un attimo svanisce nella sostanza universale, in un attimo ogni causa viene riassorbita nella ragione universale, in un attimo il ricordo di ogni cosa è sepolto nell'eternità». Dunque, vivere secondo ragione significa vivere alla luce di questo pensiero della parentela che lega tutte le cose e. che le accomuna nel destino del nascere e del morire. Un'etica fondata su questa consapevolezza ha come suo valore principale la solidarietà, il dovere di fare il bene agli altri anche quando essi sbagliano. Si è parlato per questo di una profonda affinità dell'etica stoica al cristianesimo, ed è giusto, se però si riduce anche il cristianesimo a questo nocciolo minimo. Marco Aurelio si sente cittadino del cosmo e cittadino di Roma, e da queste due cittadinanze deriva tutti i suoi doveri; la solidarietà con la città, possiamo pensare, è solo un modo di specificare quella più generale che lo lega a tutti gli esseri viventi. Possono esserci, qui, ragioni non generiche per sentire vicino e familiare il pensiero di Marco Aurelio? Probabilmente sì, se si pensa a quanto anche per noi l'etica sia permeata da un riferimento alle dimensioni cosmiche dell'esperienza, e in un senso vicino a quello di Marco Aurelio più che ad altre filosofie sistematiche dell'antichità. Più che fornire idee per dedurre norme e leggi articolate di comportamento, il sentirsi cittadini del cosmo — che nel frattempo è divenuto infinitamente più grande, rendendoci sempre più marginali, periferici, ma non per questo meno decisi a costruire valori — ha una funzione di «sfondamento», semplifica e riduce al grado zero molte pretese ideologiche ereditate dalla tradizione, riporta i doveri all'unico grande imperativo della solidarietà che non si può non sentire per tutti gli altri esseri viventi che con noi condividono il destino della nascita e della morte. Marco Aurelio mostra che una tale riduzione dell'etica al grado zero non è solo rinuncia e rassegnazione, ma può diventare la base di una cultura morale. «Né come un attore tragico né come una prostituta», suona curiosamente uno dei Pensieri; ed è in singolare consonanza con una pagina di Nietzsche, secondo il quale, una volta che il mondo si sia svelato come privo di un fondamento unitario e rassicurante, e come un puro e semplice gioco di forze, gli uomini che si riveleranno i più forti non saranno necessariamente i più violenti, ma «/' pia moderati... quel/i che sanno pensare, riguardo all'uomo, con una notevole riduzione del suo valore, senza diventare perciò piccoli e deboli». Quelli che, avendo riconosciuto l'irrazionalità della violenza, cominciano a costruire su questa base una nuova umanità uscita finalmente dalla preisto- ria Gianni Vattimo vi

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