MENTRE SI CHIUDE UNA MOSTRA D'ARTE E TESTIMONIANZE

Poveri Anni Santi a Palazzo Venezia MENTRE SI CHIUDE UNA MOSTRA D'ARTE E TESTIMONIANZE Poveri Anni Santi a Palazzo Venezia ; Della mostra L'Arte degli A^nni Santi, allestita in Palazzi Venezia a Roma (e che, apertasi il 20 dicembre, dovrebbe scadere 11 5 aprile) la sola cosa di cui è lecito parlar bene è la stampa del catalogo, sontuosamente edito da Arnoldo Mondadori; per il resto, il giudizio non può che essere negativo, anzi di recisa condanna. Nella premessa al massiccio volume (quasi 500 pagine) il ministro per i Beni Culturali, Antonino Gullottl, afferma che 'Si tratta di una mostra e di un catalogo che consentono di riflettere, adeguatamente, sul significato della nostra storia*; ed è un'affermazione giustissima, con la riserva però che le riflessioni consentite risultano tutte di disapprovazione e di biasimo, a cominciare dalla sede in cui la mostra è stata allestita. Ci si chiede, infatti, se sia ammissibile che un museo come quello di Palazzo Venezia debba restare in perpetuo occultamento, e che collezioni di estrema importanza, come l'Armeria Odescalchi, siano destinate a giacere smontate nei depositi: possibile che in tanti anni non sia stato trovato uno spazio esposltivo meno Inadatto, e che non imponga lo sfratto di opere d'arte famose? Ma già prima di entrare nella mostra si riceve un senso di negligenza e di deplorevole manutenzione, dall'atrio su via del Plebiscito in totale disordine, alla scala, sporca e gremita di rifiuti (alle ore 16 del 26 marzo non mancava, in una nicchia, un barattolo vuoto di Coca-Cola). Quanto all'allestimento della mostra vera e propria nel grandiosi saloni, ogni commento sarebbe inadeguato: vedere per credere. Un sozzo strato di polvere copre ogni cosa, penetrando anche nelle vetrine: ne sono contagiati smalti e stoffe, con quale beneficio per la loro conservazione è superfluo specificare. E' questa la -tutela efficace- di cui parla il ministro Gullottl? Lasciamo stare le strutture lignee, di tipo povero, sulle (o entro) le quali sono disposti gli oggetti, spesso di inestimabile valore: esse andrebbero anche bene, se consentissero tuttavia un'adeguata lettura dei testi figurativi. Non è affatto cosi: molti quadri sono esposti con una luce infame: io stesso ho tentato, invano, di esaminare certi dettagli del bellissimo dipinto del Valentin nella Sala del Mappamondo, ma ho dovuto rinunciare per gli accecanti riflessi, rimandando lo studio della tela a quando sarà tornata presso l'Istituto di Finlandia, che ne è proprietario. E' stato affermato (vedi Giornate dell'Arte, no. 21, marzo 1985, pag. 9) che .nelllnsletne», l'allestimento è •un'operazione provocatoria'-, ma provocatoria di die? Siamo ancora allo stadio dell'orinatoio di Marcel Duchamp spiazzato a mo' di fontana? Per certe fasce di burocultura'la pagina della storia e del gusto non cambia mai? Non è a caso se la manchevole presentazione degli oggetti si inserisca nella confusa, dilettantesca programmazione della mostra, che, tra Comitato d'Onore, Comitato Ministeriale, Comitato Esecutivo, Comitato Scientifico, Comitato Tecnico gareggia con le fitte pagine dell'elenco telefonico; nella sezione scientifica di questa rosa di Comitati troviamo una vera e propria costellazione di protagonisti del potere burocratico universitario, intinto di colorazioni politiche, tra cui Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Guglielmo De Angelis D'Ossat (la triade Devecchian-bottajesca) assieme a certi loro satelliti. A dispetto di un brain-trust così formidabile e cosi elefantiaco, la mostra risulta priva di un vero e proprio filo logico, sorretto da un'adeguata giustificazione storica. Che l'i4rte degli Anni Santi comporti l'esposizione degli og- < getti creati o adoperati per le cerimonie di quelle ricorrenze, va benissimo; ed è questa la sezione della rassegna che, faticosamente enucleata ad opera del visitatore, riesce meno aliena al titolo e alle finalità. Ma per 11 resto, si tratta di una confusa escrescenza, affatto ingiustificata: quale significato hanno gli excursus sull'arte in Roma nei vari secoli? Come è stata effettuata la campionatura? Un'analoga domanda, nella sezione dedicata alle reliquie, per la preferenza toccata alla Veronica, ad esemplo, a scapito di altre Mirabilia Urbis (come il Santo Prepuzio, oggi a Calcata); ma per ciò che riguarda l'arte figurativa si ha la netta convinzione che l'affastellata, confusa congerle di capolavori e pezzi secondari sta soltanto 11 pretesto per la stesura delle schede di catalogo, molto spesso di abominevole, pasticciata improvvisazione. A volte lo schedatore non sa che pesci prendere: è il caso dello splendido musaico incluso r.el cosiddetto Altare di San Gregorio (III.7.1) che ha tutta l'aria di essere un prodotto costantinopolitano dell'epoca del Paleologi, ma clie viene genericamente datato al Secolo XIV, senza specificare l'arca di origine. Altrove, la crassa ignoranza dei dati di fatto si manifesta con una dislnve'tura mozzafiato: si veda, alla pagina 389, il passo in cui è detto che il pittore Bartolomeo Spranger 'dopo un breve soggiorno in Italia rientrava in patria definitivamente nel 1573», quando è noto che il •oret>e soggiorno» durò quasi nove anni, e che il pittore non tornò mai in patria, recandosi, dopo l'Italia, a Vienna e a Praga. Alla pagina 408 si legge che la pala dei Santi Nereo e Achilleo di Cristoforo Roncalli venne forse eseguita nel 1599, ma nella biografia dell'artista è detto che mori nel 1596 circa: i dati biografici di Cristoforo sono stati confusi con quelli di Niccolò Roncalli, anche lui soprannominato Pomaranclo. E si potrebbe continuare, con il San Paolo del Caravaggio, con la 'lunga barba bianca- (pag. 413), dove neppure la più elementare lettura del dipinto è condotta In modo adeguato, ecc. ecc. ecc. E' dunque questo il .catalogo scientifico», di cui parla l'on. Gullottl, che rimarrebbe 'quale strumento di permanente testimonianza del lavoro svolto, a disposizione per gli studi futuri»? L'aspetto più intollerabile di questa faccenda è che gli autori di tali schede sono quasi sempre funzionari della Soprintendenza, le cui velleità scientifiche, le cui illusions of grandeur vengono favorite e innescate da siffatte prestazioni mostratole; e ciò, mentre le province del Lazio, abbandonate a se stesse, sono teatro di furti inauditi, gravissimi (valga per tutti il Museo Diocesano di Velletrl). Beninteso, i rrapete si prendono sul serio l'uno con l'altro, e sciocchezze dettate da un'arroganza presuntuosa vengono spacciate per oro co¬ lato: si veda quanto è detto (pagg. 370 s.) a proposito dell'Antonlazzo Romano del sodalizio dei Piceni, vittima di una pseudofilologia i cui autori, come si diceva una volta, dovrebbero darsi all'ippica. Non crede l'on. Gullottl che sarebbe il momento di mettere un po' d'ordine in questi uffici statali, a cominciare dal soprintendente Dante Bernini, che insiste (nonostante la catastrofe di Viterbo) a spedire in giro dipinti su tavola, come quello della Chiesa di Santa Maria sopra Minerva (VIII. 12) in cui le crepe recenti gridano vendetta? O si deve pensare che chi porta due nomi cosi illustri come Dante e come Bernini sia destinato a essere, per il patrimonio artistico romano, una nuova versione di Romolo Augustolo? C'è poi da notare, dulcls in fundo, che la progettazione ed elaborazione della mostra e del catalogo si debbono a un mai sentito Centro Studt sulla cultura e l'immagine di Roma. Ora nella Capitale esiste un vecchio e glorioso Istituto di Studi Romani, che viene, all'evidenza, ignorato al fine di creare un nuovo Ente, uno di quegli Enti superflui contro 1 quali di quando in quando si scaglia il finto moralismo di questo o di quel politico. Manco a dirlo, dietro la nuova creazione si intravedono gli stessi, eterni, immarcescibili personaggi 11 cui segreto di gioventù consiste nel duplice ruolo di uomini del potere e dell'opposizione. Ma che nausea! , Federico Zeri