Una coppia disperata di un contorto Ibsen

Una coppia disperata di un contorta Ibsen Al Carignano «Il piccolo Eyolf» regìa di Castri Una coppia disperata di un contorta Ibsen TORINO — Che aspro, plumbeo, contorto dramma II piccolo Eyolf (1894) di Ibsen! E' il dramma dell incomprensione coniugale, quella tra Rita e Alfred Allmers, dimisi dalla ricchieeza di lei e l'indigenza di lui, dalla sessualità imperiosa e insoddisfatta di lei e dall'erotismo bianco di lui, dallinconfessata ma ricorrente attrazione incestuosa di lui per la sorellastra Asta, che infine gli si rivela essere neppure sorella. In mezzo a questa coppia, abbietta e disperata, c'è un figlio, il piccolo Eyolf del titolo: lei l'ha portato in grembo senza volerlo, lui non l'ha maleducato, lei ha causato forse la caduta dal tavolo che l'ha reso irrimediabilmente storpio, ambedue, nei recessi bui della coscienza, lo vogliono morto: e il piccolo puntualmente s'annega nel fiordo dinnanzi alla vtlla materna, tra un vociare di ragazzi poveri e felici. Un dramma così, in cui Ibsen sembra sfogare il suo estremo livore verso i suoi borghesi imbelli, non poteva non attrarre quel regista inquieto e polemico ch'è Massimo Castri, dopo le prove di Hcdda Gablcr e Casa Rosmer. Ed eccolo (lo spettacolo si replica da martedì al Carignano). su invito del Centro Teatrale Bresciano, destrutturare, per intanto, nel corso dei tre lunghi atti, l'ambiente infcui gli Allmers vivono la loro lussuosa e inutile esistenza: un salone dalle ampie, ariose latrate sul mare cupo, a ridosso le alte betulle, laggiù un poroso promontorio color carbone: la scena è di Maurizio Baiò, la indiamo integra solo al primo atto, poi nel secondo le latrate e il salone si sono dissolti, restano le betulle, il cielo del fondale, il promontorio, mentre, appaiono a vista le pareti nude del palco: e poi anche il fondale se ne andrà sospinto verso l'alto, e il terzo atto gli attori lo reciteranno intorno al nudo tavolo del primo, il promontorio s'è come addossato alla parete, tutto il palcoscenico ci si mostra nella sua de- solata nudità. E' un meccanismo lineare di spogliazione, per mostrarci come la rispettabilità borghese di quei tetri filistei nodo progressivamente spogliandosi d'ogni orpello. Ma, a mostrarci quanto poco valgano. Castri bada poi attraverso lo stile della recitazione, che, come sempre, è la spia esterna della •letturaregistica dei personaggi. La prima ad essere esposta all'occhio impietoso del regista è Rita Allmers, questo monumento di rispettabilità e al tempo stesso di insofferenza, questa moglie-padrona castratrice. questa 'menade infoiata- (come l'ha definita Roberto Alonge nel suo recente libro su Ibsenl. che Paola Mannoni et restituisce magistralmente in tutto il suo orrore, con ben calibrate volgarità d'accento, con scarti tonali repentini, con occhiate alluswe al pubblico, in un gioco d'equilibrio sottile e sfibrante tra grottesco e tragico. Dopo la bella prova con Enone nella Fedra ronconiana, questa è una piena conferma. Con quel suo fisico allampanato e assettatuzzo. Virginio Gazzolo è il ritratto stesso dell'inettitudine, della megalomania impotente, in una parola della profonda viltà morale di Alfred Allmers: e. soprattutto nel secondo atto, l'attore sfodera la puntigliosità amara, la stizza da febbre gialla ch'è il suo violino d'Ingres. Asta, la sorellastra non sorella, è Micaela Esdra, bianca maschera di fariseo sul viso, occhi sbarrati nel vuoto, e una notevole finezza nel farci intendere, senza mostrarla, tutta la falsa idealità, tutta la passione sterile della sua precoce l'irago. Mondano con garbo, dolente con misura, quasi stordito dìnnazi a quel groviglio di vipere, il costruttore Borglieim di Alarico Salaroli Applausi di un pubblico ben disposto, ma dopo tre ore decisamente provato. Guido Davico Bonino Paola Marinoni, una magistrale interpretazione di Rita Allmers

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