Così i Grandi a Yalta umiliarono l'Italia

Così i Grandi a Yalta umiliarono l'Italia BONOMI, DE GASPERI, UN APPELLO E I RETROSCENA D'UNA TRAGICA DELUSIONE Così i Grandi a Yalta umiliarono l'Italia Quale fu l'impatto di Yalta sull'Italia? Il nostro Paese è stato slnora il grande assente nel dibattito in corso in occasione del quarantennale dell'incontro dei tre grandi in Crimea. Eppure gli argomenti non mancano. Quando giunsero a Roma le prime notizie di un imminente incontro dei Tre Grandi, l'Italia aveva compiuto sedici mesi in quello status di «cobelligerante», che oggi meglio sarebbe definire di «nemico-alleato». Il primo governo del Cln si era insediato a Roma da circa nove mesi sotto la presidenza di Bonomi; le formazioni partigiane del Nord Italia si erano guadagnate intera credibilità e rispetto da parte degli alleati, ma della promessa pace separata ancora nulla di nulla. La conferenza di Yalta parve subito alla diplomazia italiana (De Gasperi era divenuto ministro degli Esteri da poche settimane) un'occasione per far valere i propri diritti e le proprie aspirazioni. Fu allora deciso d'inviare a Yalta un messaggio per richiamare davanti ai Tre Grandi gli estremi della questione italiana. Il testo del messaggio, approntato dagli uffici del segretario generale del ministero degli Esteri, Renato Prunas, fu estesamente mo¬ dificato di pugno da De Gasperi, forse d'intesa con Bonoml, nel senso di sottolineare vieppiù l'apporto italiano alia lotta comune, e l'urgenza di soddisfare le legittime attese dell'Italia. In conclusione, vi furono tre redazioni del messaggio, l'ultima delle quali venne tradotta in un telegramma ai Tre Grandi a firma del presidente Bonomi, che venne consegnato per la trasmissione all'ammiraglio Stone, Capo della commissione alleata. Copie di esso vennero inviate all'ambasciatore di Gran Bretagna, Charles, a quello degli Stati Uniti, Kirk, dell'Urss, Kostllev, e all'ambasciatore italiano a Mosca. Quaroni. Quaroni rivela Il telegramma, o meglio il messaggio telegrafico, chiedeva ai Tre di voler riesaminare 'la durissima situazione- fatta all'Italia nel settembre del 1943. Inoltre si faceva presente «che l'equivoca situazione della cobelligeranza- impediva di suscitare nella nazione -quelle energie d'alta tempra morale che derivano dalla coscienza di un sacrificio dignitosamente e liberamente compiuto-. Era quindi anche nell'interesse della causa comune che si chiedeva di sostituire -alle soluzioni autoritarie' e alle formule di tutela e di controllo previste dall'armistizio, soluzioni nuove di fiduciosa e dignitosa associazione con le Potenze Alleate-. Il messaggio continuava chiedendo la soppressione degli oneri finanziari dell'occupazione, ormai insopportabili da una popolazione stremata e affamata, la liberazione del mezzo milione di prigionieri in mano alleata, e mettendo in guardia gli alleati dal pericolo che 11 non accoglimento di queste richieste poteva rappresentare per la ricostituzione di una «nuora Italia nello spirito di liberi ordini democratici e di una operosa concordia-. Nell'invlare copia del messaggio a Quaroni, De Qasperl scrisse: -Abbiamo condensato in un breve testo quelle che sono le nostre maggiori esigenze. Morali in primo luogo: mutamento dello statuto armistiziale e più larga e organica partecipazione alla guerra. Materiali dopo, e precisamente: cancellazione o alleggerimento degli aggravi economici e finanziari imposti dall'armistizio; miglioramento del rifornimenti alimentari e del trasporti; cambiamento di status dei nostri prigionieri in mani alleate-. Pietro Quaroni invio da Mosca dei rapporti di una lu¬ cidità e di una chiaroveggenza eccezionali. Mise in guardia contro l'apparenza di una collaborazione concorde tra i Tre Grandi. Infatti, da parte sovietica si era convinti che la politica anglo-americana fosse quella «di aiutare la Germania a rimettersi in piedi e, con una Germania di nuovo efficiente... preparare la guerra contro l'Urss». Da parte anglosassone, si aveva -una fusione degli antichi timori della Terza Internazionale con i più antichi e più nuovi timori dell'imperialismo russo». Ne derivava, secondo l'ambasciatore, -come soluzione unica possibile almeno a titolo di compromesso temporaneo... la questione delle "zone d'influenza"che tutti negano — gli inglesi forse con meno convinzione degli altri —, che ogni tanto come alla Conferenza di Crimea si cerca di superare ma in cui si ricade sempre-. Perché questo atteggiamento degli inglesi? E qui c'è un pezzo di bravura di Quaroni, quello di essere riuscito a ottenere preziose informazioni sui colloqui di Churchill con Stalin avvenuti a metà ottobre dell'anno precedente. -Precipuo scopo del viaggio di Churchill a Mosca, cosi si legge, è stato quello di precisare le zone di "amicizia" della Russia e rispettivamente le zone d' "influenza " inglese». Dopo aver accennato alla sorte della Polonia, della Romania, dell'Ungheria, Grecia, ecc. (bisognerà attendere due anni prima di saperne di più, grazie alla pubblicazione delle memorie del segretario di Stato americano Byrnes), Quaroni aggiunse di non essere riuscito ad afferrare se in quell'occasione l'Italia fosse stata assegnata alla zona inglese, ma -forse ciò era stato riconosciuto dai russi in precedenza- (tesi che confermerebbe quella di Gaetano Salvemini) Sta di fatto che -l'astensione russa dagli affari italiani ha assunto dalla visita di Churchill in poi una forma semprepiù marcata-. lì «no» di Stalin A Yalta si era parlato dell'Italia? Da fonte alleata venne diramata la notizia che la questione italiana era stata discussa, e che in tal senso andava interpretata la parte della dichiarazione ufficiale relativa ai «Paesi liberati». Questa affermava l'impegno dei Tre Grandi affinché 1 Paesi liberati dalla dominazione nazista potessero «risolvcre con metodo democratico i loro urgenti problemi politici ed economici... distruggere le vestigia di nazismo e di fascismo... e creare istituzioni democratiche di loro propria scelta-. E ribadiva 11 principio della Carta Atlantica sul diritto di tutti i popoli all'autogoverno. Pochino invero. Ma c'era di peggio. Nel presentare a Roosevelt le credenziali quale ambasciatore, Alberto Tarchiani chiese che l'Italia venisse invitata alla conferenza di San Francisco delle Nazioni Unite. Roosevelt gli rispose che la decisione negativa era stata presa a Yalta, dove Churchill e Stalin avevano obiettato che l'ammissione dell'Italia avrebbe comportato l'ammissione di altri Paesi: la sorte dell'Italia era cosi stata associata a quella degli ex satelliti della Germania nazista. E' lecito quindi dedurre che quando, cinque mesi dopo, i Tre Orandi annunciarono a Potsdam che il trattato di pace con l'Italia sarebbe stato definito insieme con quelli della Finlandia. Bulgaria, Romania e Ungheria, non si sia trattato di una decisione nuova ma della convalida di una decisione già presa a Yalta, e che troncava brutalmente tutte le speranze italiane di un mutamento nello status di Paese occupato. Anche per l'Italia dunque, la conferenza di Yalta rimane il simbolo di una tragica delusione. Enrico Serra