Le quattro Italie

Le quattro Italie DALLA GUERRA ALLA REPUBBLICA Le quattro Italie «Uno spiraglio». E' il titolo dell'articolo di fondo di Ugo La Malfa, il 17 ottobre 1944, suW Italia /itera, l'organo di quel partito d'azione che nelle stesse giornate è protagonista della resistenza nel Nord, allo stesso titolo dei comunisti e dei socialisti e con forze di poco inferiori solo ai primi. «Lm Repubblica ci unisce»: ha scritto, con uno di quegli slogan lampeggianti di cui è maestro Pietro Ncnni, sull'/lvanli! della domenica precedente, lì ha delincato, in quel suo linguaggio pieno e senza chiaroscuri, tre piattaforme in cui associare le forze socialiste e la sinistra democratica, di cui il partito d'azione c la punta di diamante (l'unico partito nuovo, anche nel lessico, rispetto all'Italia prefascista, quel tentativo di contrapposizione al passato, di sguardo profondo nel futuro, quell'ansia post-fascista oltre che antifascista, di uno Stato nuovo che tenesse conto delle in$'.:r'ì'"icnzc nazionali, che ne avvi tssc la risoluzione su basi, appunto, nuove). 1 ) Intransigenza istituzionale. 2) Lotta per la riforma agraria. ì) Lotta per il superamento dei trust c dell'industria monopolistica, «oggi, sottolineava Nenni con accenti profetici, alla mercé di pochi magnali che si sono costituiti Stalo nello Stato». E La Malfa, pronto, ripondc: sì. Ma sottolinea che quell'opera non può essere «ecumenica», «unanimistica», che presuppone un «grande raggruppamento politico» capace di «lavorarvi tenacemente durante una generazione o due» (la sottolineatura non è nostra ma di La Malfa «sul fondamento democratico, al governo o fuori del governo». Siamo alla fine del 1944, ma già le speranze del rinnovamento strutturale della vita italiana si appannano. La vittoria dei Gin, in quel famoso incontro al Grand Hotel di Roma nel giugno '44, si è rivelata più nominale che reale. Donomi — pur contrapposto a Badoglio — delude le ansie dei rinnovatori: di Ha poche settimane socialisti e azionisti usciranno dal governo. E sarà quello l'ultimo atto dell'intesa a sinistra, su schemi democratici e non frontisti, invano vagheggiata da La Malfa per evitare la polarizzazione dello scontro fra il nuovo partito cattolico — rappresentativo dei ceti medi svincolati dal fascismo — e il potente partito comunista, riconsacrato dalla lotta di liberazione nella sua legittimità nazionale, ben al di là dei fantasmi di Livorno. Quell'articolo di La Malfa i finalmente entrato nei libri di storia. Lo segnala Simona Colarizi, nel vasto affresco — oltre settecento pagine — che ha dedicato, nell'ambito della Storia d'Italia dcll'Utet, a La seconda guerra mondiale e la Repubblica (in realtà il titolo dice meno del testo, l'opera parte da) 1938, quando l'intervento italiano non è ancora deciso, e arriva a ben dodici anni oltre la fondazione della Repubblica, quando tutto è così diverso, così lontano, al 1958: crisi del centrismo, scomparsa di Pio XII, avvio di un nuovo ciclo fra laici e cattolici). Simona Colarizi, che ha dedicato tante e così importanti ricerche alla storia dell'antifascismo (e per prima a quelle dell'Unione democratica nazionale di Amendola), sottolinea, a commento di quello scritto di La Malfa: «IV una lucida intuizione della successiva bipolarizzazione del sistema politico italiano, destinato a svuotare la funzione politica delle componenti centrisle». Ma rutto il suo libro è la conferma che la bipolarizzazionc non c'è stata. Il tema del bipolarismo sta tornando d'attualità, ed è giusto che esso si rifletta anche nelle pagine o nclic polemiche degli storici. L'indagine della nostra autrice ci conferma però in un punto fondamentale: l'Italia non rinacque «bipolare» dalla lotta al fascismo e dalla resistenza. L'Italia rinacque, almeno, «quadripolare»: con una forza cattolica, di cui pochi seppero valutare la portata («scambiammo la de per il partito del Vaticano», amava confidare La Malfa); con un complesso di movimenti innestaci sul filone liberal-dcmocratico e portati a cimentarsi con una nuova realtà (il nuovo partito d'azione in primo luogo, ma con larghe influenze su partiti storici come repubblicani e libc- rali e non solo in quelli); una forza socialista; una forza comunista. Ancora in quell'ottobre 1944 nulla era veramente deciso. Non l'egemonia democristiana; non il blocco socialistacomunista; non l'indcbolimcnto della «terza forza» laica e democratica. Un complesso di crrbri portò a quelle situazioni, che parvero irreversibili e non lo furono mai. Bonomi era un «ponte» fra la vecchia Italia prefascista e la nuova. Parri sarcblx: stato la carta del futuro, giocata anzitempo e quindi destinata a logorare — La Malfa l'aveva capito — la rigogliosa ma tormentata adolescenza del partito d'azione. La scelta di De Gaspcri presidente, nel dicembre 1945, nacque dall'impossibilità di una presidenza Ncnni; ma il perché una presidenza Ncnni non fu possibile è spiegato benissimo in queste pagine, da parte di una studiosa che pure non nasconde le sue inclinazioni soe.ilistc, sempre riconoscendo come il partito socialista facesse il possibile, anzi l'impossibi't per non cogliere le occasioi.. che talvolta la stòria non ripete due volte nel giro della stessa generazione. Eppure da queste pagine della Colarizi si deduce una conclusione confortante. Mai il regime repubblicano italiano si piegò a una stretta bipolare, nel corso del primo dc- ccnmo (e quindi ancor meno dopo). E' la situazione internazionale che radicalizza la lotta fra '47 c '48; la guerra fredda appare decisiva per spiegare gli sbocchi del 1918. Ma il «fronte popolare», invano combattuto dai socialisti dell'antica scuola come Pcrtini, non uccide le speranze dell'autonomia socialista. Né l'alleanza fra de c partiti di democrazia laica, che non trova in queste pagine lo spazio obicttivo che merita, mai soffoca l'autonomia di forze, come le componenti repubblicana e socialdemocratica, che non a caso preparano le vie del centro-sinistra. Neanche nella dt la partita è mai chiusa. Simona Colarizi sottolinea, con efficacia e acutezza, il trapasso da De Gaspcri a l'anfani; ma ron può non rilevare la complessità e drammaticità degli anni centristi, ncll'opporrc la visione rigorosamente antifascista di De Gaspcri alle tentazioni di blocco d'ordine, come ('«operazione Sturzo» a Roma (anche quella fallita per merito di qualcuno e non di una vaga provvidenza). Ed è la prima volta, in un'opera stotica, diciamo così, ispirata a sinistra, che la legge elettorale maggioritaria del 1953 viene presentata più ancora come argine a destra che non come tentativo di compressione a sinistra. Simona Colarizi ha visto molto materiale d'archivio di prima mano: specialmente i rapporti dei prefetti, dei questori, dei comandanti dei carabinieri. Ha potuto così affiancare alla storia dei partiti una storia, o un principio di storia, dell'opinione pubblica. Lo ha fatto in modi clic per i lettori ordinari non saranno facili a seguire: quasi con una lunga riflessione sui fatti, che talvolta prescinde dai fatti stessi o li dà per saputi. E' storia critica, clic presuppone un lettore non disarmato. Ma è soprattutto storia vivente: storia dei fallimenti di una g'cHcfàz'fólicV 'tìclìc' mite occas(ot»i .perdute,,,dajja,, sipi stra. E il libro ci ricorda che senza l'attenzione meditata dei due partiti prevalenti nel versante della «terza forza», socialisti e repubblicani, il rischio del bipolarismo, finora in un modo o nell'altro evitato, potrebbe ripresentarsi domani. E sarebbe il colmo dell'assurdo: rispetto a una società profondamente modificata. E modificata proprio nel senso della molteplicità, dell'articolazione, della diversità. Chi saprà coglierla? Giovanni Spadolini

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