Speciale

Speciale Speciale Una coppa etnisca di Vetulonia riodo, e cioè a una storia dell'Etruria che ne studi la specificità anche «prima» e «dopo» gli Etruschi, fino all'occupazione romana. Lo studio degli insediamenti e delle loro tipologie, delle persistenze e delle assenze, dei prodotti suntuari, il confine fra arte urbana e arte rurale, l'uso e la trasformazione di modelli greci sono altrettanti temi che si giocano, con ritmo serrato, sul tavolo dell'etruscologo del 1985. Fra queste ricerche, spesso avanzatissime, e l'immagine popolare del «mistero» etrusco c'è un abisso: la speranza è che le mostre di quest'anno servano a gettarvi sopra un ponte adeguato; e adeguato non solo per mole e qualità delle informazioni o dei pezzi messi in mostra, ma specialmente per accuratezza e chiarezza (intendo: leggibilità) del linguaggio usato. Didascalie e testi in catalogo non devono essere un dialogo fra specialisti, ma sforzarsi di presentare al pubblico (senza banalizzarli) i risultati della ricerca: non facile «divulgazione», ma tensione intellettuale verso il pubblico, e dunque assidua ricerca del linguaggio giusto. Più arduo è il compito dei pubblici poteri. La domanda che su essi incombe è: che rapporto c'è fra l'«effimero» delle mostre (magari bellissime) e la permanente disfunzione dei musei? Quello centrale di Firenze è ancora dissestato dall'alluvione del 1966, e in questi giorni le mura della città sono coperte di manifesti (sindacati unitari) che denunciano la chiusura da sette mesi del centro di restauro della soprintendenza archeologica di Firenze. Se a situazioni come queste non si pone rimedio in fretta e bene, si ha un bel fare mostre su mostre. Alla fine del 1985, dovremo dire, tutti in coro, «Buonanotte, Etruschi!». pio, ma infinitamente meno dei «campi» greco o romano. Pochi e agguerriti, gli etruscologi di punta sono cosi obbligati a tentare immagini complessive della civiltà che studiano: usando ogni tipo di testimonianze per ogni problema. In questo senso, l'etniscologia è probabilmente il campo in cui più si mettono alla prova i meccanismi di intersezione fra i vari subseis di conoscenze, e può servire da cartina di tornasole per tutti gli antichisti. Anche un'ossessione tipica di tutti gli archeologi, quella per la fissazione di cronologie sempre più «strette» e modificate di continuo, raggiunge fra gli etruscologi le sue punte estreme. Una letteratura, una storia scritta dagli Etruschi c'era probabilmente, ma certo non c'è più: e perciò l'etruscologo dispone di una griglia di notizie «a maglie larghe», cavata dai testi greci e latini, e deve riempirla con «fatti» ricostruiti attraverso la ricerca archeologica. In questo senso, gli etruscologi hanno esteso le indagini dalle necropoli alle città, ai luoghi di estrazione di materie prime, di lavorazione, di produzione; ai porti, alle campagne. Il rapporto fra città e campagna, il meccanismo degli scambi, la disseminazione territoriale, i confini delle sfere d'influenza delle varie città, la produzione artigianale e la sua sfera di diffusione: ecco alcune fra le principali direzioni di ricerca in cui si vanno raggiungendo in questi anni risultati nuovi e importanti. Due altri punti vanno menzionati: lo sforzo, crescente, di individuare la caratterizzazione sociale dei gruppi umani in azione sulla scena della storia etrusca come la si viene ricostruendo (potere «regio» e oligarchie locali, famiglie aristocratiche e centri di produzione, ecc.); e la tendenza al lungo pe¬ DEV'ESSERE l'anno degli Etruschi anche in Russia, se proprio adesso («La Stampa» del 24 gennaio) viene annunciato da Mosca un saggio di tal Vladimir Scerbakov, dove s'indagano le affinità fra l'etrusco e il russo, e si conclude dichiarando l'origine russa degli Etruschi. Ma le italiche menti non sono da meno. C'è chi, dop aver tentato (anche lui!) col russo vuol dimostrare che l'etnisco è un dialetto indiano (P. Bernardini Marzolla), e chi lo spiega invece come una lingua semitica, strettamente imparentata con l'accadico, vale a dire la stessa lingua da cui vengono il babilonese e l'assiro (G. Semerano). Nessuno prenderà sul serio improvvisazioni come queste: ma resta pur da domandarsi perché esse attecchiscano in particolare (o solo) sul terreno etrusco. La risposta è, si capisce, il «mistero etrusco», quel fascino singolare che emana da ciò che non si sa (o di cui si sa solo un indefinito «qualcosa»). Anche la stessa idea di proclamare un «anno degli Etruschi» ha la stessa base: a chi mai verrebbe in mente un «anno dei Greci» o «dei Romani» o «dei Sabini»? E lo slogan con cui la Regione Toscana sta «lanciando» sui giornali le sue mostre è «Buongiorno, Etruschi»: quasi a dichiarare, con la familiare formula di saluto, che quelle mostre apriranno un dialogo «diretto» con quel popolo remoto e «misterioso». Il «mistero» degli etruschi comincia prestissimo, se già Erodoto si domandava donde venissero (e rispondeva: dalla Lidia), e gli antichi ben coglievano la singolarità della lingua estrusca fra tutte quelle dell'Italia antica. E' proprio l'isolamento linguistico che spinse a caratterizzare gli etruschi come «venuti da lontano» o al contrario «più autoctoni degli altri» (Dionigi di Alicarnasso). La l'articolari' da ('Il sarcofago degli sposi», custodito nel Museo di Villa Giulia SE Hugo è stato un buon fa deve alla sua limitata intellù sortale, fistea, plastica. Il dtó ctor Hugo, raccolto da Dumi, ci maglni preferite dal poeta: Coi lombrico, la fiamma, l'ombra, il j sioni visive. Hugo non aveva capii re una delle condizioni della poi aveva capito che l'eloquenza acci negazione della poesia. Victor HuJ taf ore quanto un torrente. Non i uomini apprezzino tanto i torra vita intellettuale, e non appreseli anche lo slancio vitale di un buf Hugo fu soltanto un secchto veri PUÒ' darsi che il giovane Vie, et ballades e delle Orientale: sette anni, un poeta promett sarsi, divenire autentico, approfi completamente il proprio destino ra vibrazione pura delle corde del

Persone citate: Greci, Marzolla, Semerano, Vladimir Scerbakov

Luoghi citati: Firenze, Italia, Mosca, Russia, Toscana