I cecchini parlamentari: personaggi, storie, retroscena di un fenomeno italiano
I cecchini parlamentari: personaggi, storie, retroscena di un fenomeno italiano I cecchini parlamentari: personaggi, storie, retroscena di un fenomeno italiano Navigatori, scrittori... franchi tiratori Quell'antica tentazione ai votare con la palla nera Ne hanno fatto le spese Illustri leader de. De Qasperl, costretto a rinunciare nel '48, all'apice del potere, alla candidatura di Carlo Sforza al Quirinale. Fanfani, lentamente dissanguato nel'58-'59. Moro, che guidava le prime coalizioni di centro-sinistra, trafitto sul finanziamenti alla scuola privata nel '64, poi costretto alla crisi nel '66 su un provvedimento relativo alle materne. Cosslga, pugnalato alla schiena nel settembre dell'80 sul decretane economico, cinque minuti dopo aver avuto pubblicamente la fiducia ir. Parlamento. I franchi tiratori — ignoti peones che disattendono nell'ombra agli ordini di scuderia — sembravano appartenere essenzialmente a quel costume antico, connaturato con il modo di fare politica delle correnti de. Da qualche tempo, invece, hanno fatto proseliti in altri partiti e nel mirino c'è Craxi, primo presidente del Consiglio psl. Trappole e agguati quasi non si contano più. Il manipolo del cecchini parlamentari ricompare a ogni scadenza importante per colpire alle spalle il pentapartito. Un incubo. Tanto che, non più tardi d'una settimana fa, Craxi ha seccamente condannato ■•l'opposizione silenziosa* all'interno della maggioranza, che agisce indisturbata «contro le regole e lo spirito di una coalizione'. II capo del governo — spalleggiato dal suo vice Forlanl — vorrebbe disarmare questi •«icari politici», abolendo 11 voto segreto, almeno sui provvedimenti che più qualificano l'azione dell'esecutivo. Voto palese per appello nominale: chi dissente abbia il coraggio di farlo apertamente, davanti a capi ed elettori. A mala pena meta dei deputati, però, è favorevole. Soltanto socialisti e laici (più cauto il prl) sembrano schierati con chi vuol ridurre le occasioni di votare protetti dall'anonimato. Pel e formazioni minori giudicano vàlide le attuali procedure. I de tergiversano: non vogliono regalare a Craxi un'armatura che lo protegga dagli strali dei franchi tiratori. Ma ormai frequenza e gravita delle imboscate sono tali che non si può più parlare di incidenti di percorso. L'ultima è di mercoledì scorso, quando i soliti 40 voti clandestini, con la complicità di numerose assenze, hanno permesso all'opposizione d'aprire nelle casse dello Stato un buco di 720 miliardi, bocciando un decreto sul prezzo della benzina e modificandone un altro sugli oneri sociali. Il contestato pacchetto fiscale Visentinl è passato il 17 febbraio solo grazie all'astensione di pel e sinistra indipendente; e ha subito, comunque, 35-40 «no» di oppositori sotterranei che durante tutto l'iter hanno teso Insidie, forse fedeli alle direttive della lobby dei commercianti. A gennaio, sonora bocciatura del decreto sulla fame nel mondo (anche per protesta contro l'abuso di decreti-legge da parte del governo). Il gruppo di «nemici inafferrabili* pare ammontasse a cento (una ventina i socialisti). Il 29 novembre '84 è la volta del primo decreto sulle tv private, il cosiddetto decretoBerlusconi. Ma già a metà mese Craxi aveva vissuto una settimana di passione: evitata d'un soffio la sconfitta nel dibattito sul caso-Cirillo (5 voti), la maggioranza era andata «sotto» sul decreto che prorogava gli sfratti e sul bilancio '85, con i franchi tiratori padroni del campo. Anche la guerra sul decreto che ha tagliato la scala mobile ha registrato defezioni fra I partiti di governo: più di 30, ad esemplo, nella votazione alla Camera del 23 maggio '84, frutto d'una miscela di tradimenti e vendette. D'altra parte, questa coati' zlone governativa non aveva fatto in tempo a decollare che subito era stata costretta ad annotare una data nera: II 13 ottobre '83, quando 30 deputati «traditori» approfittarono delle assenze nel banchi della maggioranza (153) per far saltare 11 decreto sul condono edilizio. Un'ora dopo ritentarono il colpo con 11 decreto previdenziale e sanità rio, fallendo per soli 4 voti. E come non ricordare 11 braccio di ferro sulla candì' datura socialista di Federico Mancini alla Corte Costituzionale, quando 1 soliti ignoti gli sbarrarono per ben sette volte la strada? «E'più facile che le Camere si sciolgano piuttosto che il psl ceda sul suo candidato*, affermò Ora xI. Ma dovette arrendersi. Roberto Sellato c Fatta l'Italia si cominciò a disfare I governi. Negli stadi la folla applaude chi legna «goal», non chi la melina per II campo. Coti In Parlamento solo I grandi oppositori raccolsero gli «evviva»: veri uragani quando riuscirono • rovesciare I governi. Al ministri e al loro oppositori andarono solo Insonnoliti «bravo!»: premio per noiosi discorsi che spesso duravano peralno due giorni. Per passare alla storia bisognava dunque opporsi. Magari contro se stessi: votando, nel segreto dell'urna, contro II governo che pur si dichiarava di sostenere. Del resto, chi ministro non era, poteva sperar di divenirlo solo cambiando continuamente II gioco, logorando chi detenesse II potere. Nel cinquantanni dall'Unita al fascismo (1861-1922), frange a parte, la Camera si divise In due sole parti: «destra» e «sinistra»: A colloquio co ma I governi furono ben 54. Nello stesso perìodo — 204 membri nel 1648, 387 nel 1860, 443 nel 'CI e 493 nel '66 — la Camera contò 508 membri. In mono secolo II suo ricambio fu però modesto. In 25 legislature, cioè con altrettante elezioni generali, gl'Italiani In medaglietta parlamentare risultarono solo SI 95, mentre rimasero 2261 quelli avvolti nel laticlavio senatoriale. Un'oligarchia, Insomma, chiusa • litigiosa, dominata da notabili che tennero banco per trenta-quarant'annl a testa: DepreUs, Nlcotere, Zanardelll, Crispi, Giolitti, Sonnino, Copplno, Bonghi. Fra I più coriacei, l'alessandrino Giuseppe Saracco, entrato In Parlamento nel 1846, divenne presidente del Consiglio clnquantadue anni dopo, nel 1900. Con pigilo giovanile, fu lui a far sciogliere la Camera del Lavoro di Genova nel n celebri firme de 1901. Quel governi non reggevano sulla coesione Ideologica (IIberaldemocratlcl contro reazionari, fronte laico contro clericali), ne su programmi di vasto respiro, ma su continui estenuanti patteggiamenti tra I presidenti, la muta del ministri (portavoce d'Interessi regionali) e I caplparanza parlamentari che barattavano alla spicciolata Il voto contro II finanziamento di opere pubbliche nel più sperduti collegi elettorali d'Italia. Cosi si fecero etrade, ferrovie, scuole. O, In mancanza, si disfecero I governi. Poiché non v'eran partiti rìgidi e ciascun deputato diceva di rappresentare la Nazione, talvolta I parlamentari fecero mettere a verbale come avrebbero votato la seduta precedente se fossero stati presenti. «Oh, gran virtù del cavalieri antlqull., verrebbe fatto d'esclamare; se non fosse che quegli lla caricatura stessi deputati nel segreto dell'urna votarono spesso tutt'al contrarlo di quant'avevan promesso a caplparanza, ministri, presidenti. Perciò le evolte politiche In Italia giunsero da Imprevisti colpi di mano. Il 28 marzo 1676 II bolognese Marco Mlnghettl fu silurato proprio mentre annunziava d'aver finalmente rimesso In pari II bilancio dello Stato. A liquidarlo fu la mitragliata di palle nere del suol •amici» di destra, Ispirati dal piemontese Quintino Sella. Fu la «rivoluzione parlamentare». Al potere andò la sinistra. Ma poiché chi d'Intrigo colpisce di palle nere perisce, la musica rimase quella: dieci diversi governi In soli dieci anni. Messo In minoranza a sorpresa dal Senato, Il presidente Depreda lasciò scivolare lungo la barba mosalca II fatidico detto: «Il Senato non la crisi». E rimase al suo posto. Con quel precedente, quando II suo primo governo — fortissimo sulla carta — passò per due soli voti, Il gigantesco Palamidone, Giovanni Giolitti, bofonchiò: «Uno di troppo». Sciolse la Camera, spedi In Senato un'Infornata di fedelissimi, sguinzagliò I prefetti per assicurarsi centinaia di inventori di Nilus — f /ranchi tiratori die tante notti insonni hanno procurato al povero Bettino e ai suoi predecessori, ci hanno più volte fornito gli spunti per le vignette giornaliere di satira. Più il quadro politico è movimentato e meno noi dobbiamo faticare: fra Craxi, De Michelis, Pertini (altro buon fattore movimentante) e le svolte quasi settimanali del pei, il lavoro non manca*. Proprio per questo il franco tiratore va difeso a tutti i costi. «£' una specie che rischia l'estinzione nel caso si abolisse il volo segreto: una specie da proteggere. Di questo meraviglioso esemplare di fauna parlamentare che vive nel sottobosco politico, dal polpastrello sviluppatissimo e nervoso, allenato a balzare su ogni pulsante indifeso — dicono gli Origone — si sta già occupando il W. W. F. che è l'Unione disegnatori poetici. Il franco tiratore va assolutamente salvaguardato, pena l'appiattimento della vita politica». Clericetti; *Sono d'accor¬ rico e ministro - ■ — ■ «ascari», come I deputati «yesmen» furon detti con termine coloniale. Ma non bastò. Chi contava au una maggioranza nominale del 70-75% del deputati aveva II dovere morale di gettare la spugna quando scendeva al 55% del consensi. Perciò Giolitti el dimise senz'andar mal In minoranza: nel 1605, nel 1909, nel 1914 e, quel ch'è peggio, nel 1921, quando passò la mano a Sortomi e Facto, battistrada di Mussolini. Incombendo II rischio che l'Italia Intervenisse nella prima guerra mondiale al verificò la più clamorosa sortita di franchi tiratori: ma fuori dell'aula. Furono I trecento biglietti da visita lasciati da deputati e senatori nell'atrio di casa Giolitti, sceso a Rome per rovesciare Salandra. Quella maggioranza di biglietti da visita era però extraparlamentare. La risposta venne dalla piazza, lanciata da D'Annunzio contro II «vecchio boia labbrone». Dimentichi del propri biglietti deputati e senatori s'affrettarono a votare I pieni poteri chiesti da Salandra. Da quel momento I tiratori divennero sempre più «franchi», sino al bracconieri In marcia su Roma a line ottobre del '22. Il Par- do. Anche se non bisogna esagerare. Ricordo che nel programma radiofonico al quale collaboro. L'aria che tira (in onda su radio 2 alle 12,45 ndr.) uno degli sketch diceva: alle prossime elezioni amministrative avremo il partito dei cacciatori e dei pescatori. Ci auguriamo che il successo non sia tale da convincere i cacciatori a presentarsi anche alle elezioni politiche: qualunque governo rischierebbe di trovarsi subito impallinato*. Anche Passepartout ricorda una vignetta disegnata durante i governi Spadolini: «7/ presidente del consiglio è assediato in una cabina telefonica: intorno a lui persone armate e fucili puntati. Spadolini atterrito grida al telefono: pronto, voce amica? Vorrei una controfigura...*. E Giuliano: «Pertini vestito da pistolero dice: Bettino mi ha assoldato per difenderlo dai franchi tiratori. Da quando è morto John Wayne, sono rimasto l'ultimo pistolèro*. '■■>■ " Mauro Anselmo Abolire la vot lamento ne prese atto accettando che la presidenza del Consiglio andasse al capo d'un partito che ' contava 36 deputati su 508: Mussolini. Andato a scuola da Giolitti — com'egli stesso disse Ironicamente alla Camera — per poter dormire sonni tranquilli, nel 1924 Il «duce» fece approvare una riforma che assegnava 2/3 del seggi a chi raccogliesse II 25% del voti. Fu II «listone»: che di voti ne prese però circa 2/3, estorti In parte con olio di ricino Nel 1929 I deputati furono ridotti a 400. Poi al votò su una lista preconfezionata: prendere o lasciare. E gl'Italiani presero. Il governo non risultò però più compatto di prima. Malgrado la leggenda dipinga II fascismo come regime tutto d'un pezzo, Ira II 1922 e II 1943 Mussolini cambiò 117 volte I titolari del 15 ministeri e ricorse a 164 sottosegretari diversi: come al tempi di Depretls e Giolitti, Insomma. Ma poiché II ricambio era tutto regolato dall'alto, per voltar pagina gli oppositori dovettero ricorrere a un voto eccezionale. Fu quanto accadde la sera del 25 luglio 1943. V'era dell'eroismo nell'affronlare II duce a viso aperto, abituato e vent'anni di schiene curve. Perciò, ben sapendo ciò che rischiava, alla seduta del Gran Consiglio, Dino Grandi — estensore dell'ordine del giorno che sanzionò la caduta del fascismo — andò dopo essersi confessato, comunicalo e con In lasca due bombe a mano. Durante la discussione ne passò una a Cesare Maria De Vecchi di Val Clsmon: non un genio politico, ma un buon soldato. Considerandoli nlent'altro che dispettosi franchi tiratori — forte del parere d'un palo di costituzionalisti — l'Indomani Mussolini si recò a spiegare a Vittorio Emanuele III che non era successo nulla. E fu fi che venne arrestato. Dopo due anni di guerra civile e Il «referendum», nacque la Repubblica, con libere elezioni, partiti a finanziamento pubblico, garanzie d'ogni genere, sicché si fu certi che l'opposizione si sarebbe manifestata solo e sempre a viso aperto, non mancando al dissenzienti piazze, giornali, radio, televisione e aule parlamentari per spiegarsi a piena voce. Invece rimase — irresistibile e proprio nella sede più alta: Il Parlamento — quell'antica tentazione della palla nera a lungo strofinata In saccoccia nell'attesa del voto, con l'occhiò'languido volto al capoparanza, fedifraga promessa d'assoluta fedeltà. Aldo A. Mola azione segreta?
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