Marat-Sade, il Collettivo celebra la Rivoluzione fallita
Marat-Sade, il Collettivo celebra la Rivoluzione fallita Suggestivo allestimento di Weiss con la Compagnia di Parma Marat-Sade, il Collettivo celebra la Rivoluzione fallita DAL NOSTRO INVIATO PARMA — Un gelido perimetro di marmo bianco, che rinserra idealmente un bagno manicomiale, stillo sfondo quattro arcate di chiesa, anch'esse bianche e spettrali, e, sopra, come sulla tribuna dell'organo, un'orchestra da camera che accorda, prova, riprende, esegue, ripete, con altrettanto manicomiale dedizione, passaggi o interi movimenti delle Quattro stagioni di Antonio Vivaldi. Siamo, seduti sulle gradinate della Sala Bignardi, ospiti della Compagnia del Collettivo, alla prima di un nuovo allestimento (il terso per l'Italia, dopo quelli di Raffaele Matello (1967) e di Bruno arino (197S) del Marat-Sade di Peter Weiss, regia di Walter Le Moli, scene e costumi di Gigi Dall'Aglio e Bruno Stori. Eccolo là Jean-Paul Marat nella vasca-scarpa, anch'essa di marmo, la benda sulla fronte madida, il corpo piagato dall'inarrestabile prurito, proprio come nel quadro di David; ed ecco su una poltrona, vecchio, bianco di capelli, il Divino Marchese, che è il regista della rappresentazione della persecuzione e dell'assassinio del grande rivoluzionario da parte dei ricoverati nel manicomio di Charcnton. Ed eccoli l ricoverati, miti vecchie e vecchi seduti sulla marmorea bordura, e in mezzo a loro il direttore Coulmler, più in là il banditore, severo e tronfio nella sua marsina violacea, e, dietro quelle ideali transenne, gentiluomini e geltildonne giovanissime in bianchi chili di raso in perfetto stile Impero. Il colpo d'occhio è bellissimo, d'una severità sacrale: giacché qui si celebra un rito, il rito del fallimento della Rivoluzione. Ma la suggestione si fa piti intensa via via che si penetrano le linee della rilet¬ tura registica di questo grande 'Classico' teatrale del secondo dopoguerra (Peter Weiss, morto tre anni fa sessantaselenne, lo scrisse nell'ormai lontano 1963). Il giovane Le Moli ce lo restituisce come un grande oratorio, in cui la musica vivaidiana fa da straziante, crudele contrappunto alle voci degli attori, che parlano, con composta classicità, in toni di un melodrammismo contenuto e casto, vorrei dire glucktano, attraverso dodici microfoni ad asta che scendono dall'alto, e sono di continuo 'fissati' nelle pose e net gesti, solenni e ieratici, da un'imponente batteria di fari. Il dibattito tra Marat e Sade — proteso l'uno, anche se fiaccato nel corpo e nello spirita, al miraggio di una palingenesi totale dell'uomo; persuaso l'altro che neppure la rivolta individuale, neppure la liberazione dalle nostre 'Prigioni interne' muterebbero nulla — riacquista una sua urgenza, è, di nuovo, nostro contemporaneo, a dispetto del distacco che ci separa dalle esperienze del teatro epico postbrechtiano. Con uno sprezzo del pericolo davvero encomiabile. Le Moli, che perseguiva questo allestimento da varlt anni, ha scommesso proprio su questa ritrovata attualità dell'opera: e i versi di Weiss, nell'ancora magnifica traduzione di Ippolito Pizzetti, gli danno perfettamente regione: recitati così. con questa lucida, ma ad un tempo partecipe, distaneiazione, acquistano risonanze shakespeariane: «Adesso vedo dove conduce questa rivoluzione: ad un lento disfarsi dell'Individuo, ad un lento dissolversi nell'eguaglianza Gli attori sono d'una concentrazione ammirevole: Roberto Abbati fa un Marat sgomento eppure ancora pugnace, Giancarlo Ilari è un Sade di abissale stanchezza e saldo sconforto, Silvano Pantesco un banditore di elegante asprezza. Cito questo terzetto, ma aggiungo che questo è uno spettacolo corale, che profitta della dedizione di tutti: dal sette solisti dell'Accademia Filarmonica Renzo Martini (violino solista Fabio Biondi), che per cinquanta sere consecutive non si staccheranno dai loro «exerclces en plelne muslque» per due ore filate, alle giovani comparse compostissime, ai pazienti dell'ospizio, dieci pensionati parmigiani scelti su centocinquanta, che non sbagliano neppure una massetto. Guido Davico Bonino ti» scena di «Marat-Sade»: uno spettacolo corale basato sulla dedizione di tutti gli attori ti» scena di «Marat-Sade»: uno spettacolo corale basato sulla dedizione di tutti gli attori
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