Thrilling per Lucia di Renato Barilli

Thrilling per Lucia MANZONI E IL ROMANZO NERO Thrilling per Lucia 11 secondo centenario dalla nasuta del Manzoni, che a dir il vero non è ancora esploso in forme mastodontiche, secondo la consuetudine un po' consumistica dei nostri tempi, dovrebbe proporsi, tra i vari obiettivi critici, di togliere la censura applicata dal nostro ambiente culturale nei confronti delle radici che i /'rumati sposi hanno nel romance inglese di gusto gotico. Tutti sanno che queste radici ci sono, ma si preferisce passarle sotto silenzio, come se l'immagine del grande lombardo ne potesse scapitare; tutt'al più, ci si ferma ad ammettere qualche derivazione dal romanzo storico dello Scott, decisamente più innocente e candido. Fu invece un merito importante del Manzoni l'aver compreso che le leggi del «genere» romanzo lo obbligavano ad attingere copiosamente a quel mondo di intrighi improbabili ed eccessivi, di vicende mozzafiato, di peripezie avventurose, ma che nello stesso tempo il nuovo secolo richicsicaftuna svolta.:jkeii».,:$i,<tratr tava di «normalizzare» quella rmViciia (aoticar'tii avviarla ;» ben altri compiti, non più di intrattenimento, di titillamento del thrilling, del suspense, ma di analisi sociologica, morale, psicologica, ben circostanziata e precisa, sui modi di vivere contemporanei (anche se questi, per ragioni di prudenza, venivano saggiati su una fetta di storia posta due secoli prima). Insomma, Manzoni precede di qualche anno l'impresa analoga che verrà condotta da Bai zac. Con la differenza che il narratore della Comédie humaine lascerà scoperti e dissociati i due momenti, quello dell'omaggio al romance e alle storie di gusto «nero», settecentesco, e l'altro del realismo adulto, lad 'ove nel Manzoni queste fasi, pur così diverse, per non dire opposte, convivono a fianco a fianco, si innescano a vicenda. Il romance che forse ha ispirato di più il nostro era stato scritto, una ventina di anni prima del Verino e Lucia (che sono del 1821-2}), da Ann Radcliffc, la maestra di quel filone in Inghilterra. Il titolo in lingua originale corrispondeva a L'italiano, ovvero al Confessionale dei penitenti neri, ma è assai significativo il fatto che l'opera fosse stata tradotta, a Pisa, nel 1808, da tale Giovanni Salvatore de Courcil, con un titolo in cui già compare il motivo della coppia. Eletta e Vivaldi. Un primo spunto che il Manzoni potè ricavare dalla Raddiffc (motivo in sé, bisogna ammetterlo, abbastanza generico) era quello della coppia di fidanzati perseguitati. In quel caso, però, non c'era di mezzo la violenza esterna di qualche prepotente, dato che il giovane Vincenzo Vivaldi apparteneva alla buona nobiltà napoletana, e doveva temere semmai l'orgoglio del padre e della madre, che non approvavano la mesaillance del rampollo. Infatti lo stato di-fortuna di Elèiia Rosalba appariva dimesso: orfana, allevata da una zia di cognome Bianchi (ma l'immancabile agnizione, le avrebbe restituito, sul finire della storia, nobili natali, così da legittimare il matrimonio). Altri motivi cui il Manzoni non dovette rimanere insensibile: i genitori di Vivaldi, visto che il figlio persiste in quel suo amore da loro ritenuto degradante, fanno rapire Elena, e che viene chiusa in convento; c il viaggio che la sventurata compie, in un paesaggio italiano di maniera, ricco di vette e di boschi che autorizzano l'esperienza del sublime, ci restituisce qualche traccia del viaggio di Lucia alla volta del Castello dell'Innominato. Mentre la superiora delle monache che tiene prigioniera F-Icna, tentando oltretutto di costringerla ai voti, non può non far pensare a un primo abbozzo di Gertrude, intcssuto, beninteso, dei lati romanzeschi della storia, privo affatto, invece, della linfa introspettiva e della «commedia dei costumi» che renderà grandi le corrispondenti pagine manzoniane. Inoltre la madre del Vivaldi, ncll'architcttarc la congiura al danni della fidanzata del figlio, è potentemente aiutata da un'anima nera, l'abate Schedoni, suo confessore, personaggio dal passato che si annuncia torbido e colmo di enigmi. Come non pensare al lato «nero» dell'esistenza di Fra Cristoforo, o dell'Innominato? E' Schedoni che progetta ivi''» rapimento di Flcna, e quindi ancora, quando ' deve ronstTitarc cóme il provveda mento "resti ancora troppo blando, la fa portare in una sua casupola sulle rive del mare, intendendo sopprimerla con l'aiuto di un sicario. Ma nel corso di una visita notturna che lo conduce in presenza della giovane, scatta il meccanismo dell'agnizione. Infatti Schedoni, che al secolo recava il nome più altisonante di conte Ferrando D'i Bruno, scopre in lei un medaglione, dal quale può arguire di esseredi fronte, addirittura, a una sua figlia (poi saprjmo che il riconoscimento non è proprio esatto, e che i vincoli di parentela risultano assai più in¬ tricati, e mescolati ad altri clementi di orrore allo stato puro). Resta comunque il lungo tormento che Schedoni prova, alla vista della presunta figlia, e come al materializzarsi delle proprie nefandezze, che una volta tanto lo colpiscono nel suo sangue e nella sua carne. Segue quindi un pentimento che ha in sé alcuni tratti di grandezza d'animo, e che ancora una volta non può non essere associato alla crisi morale dell'Innominato. Anche se, di nuovo, dovremo constatare l'abisso che corre tra lisoluzioni «romanzesche», tutte cstroflcssc nelle azioni, nei colpi di scena, cui ricorre la Raddiffc, c invece le mature capacità di analisi psicologica di cui il Manzoni appare maestro. Infine, pur tra lutti e lacrime infinite, entrambe le storie hanno in comune anche il lieto fine. F. qui, se si vuole, un ennesimo parallelismo. Infatti nel romanzo del Manzoni la parola finale spetta ai protagonisti, Renzo e Lucia, che traggono la morale della storia, compendiabile nei due principi: saggezza di comportamento e fiducia nella Provvidenza. F' comunque un finale redatto sui toni piani e colloquiali, intriso appunto di sorridente saggezza popolare, di ritrovato equilibri, di rafforzato buon senso. Nell'opera della Raddiffc un compito analogo viene svolto non già dai due protagonisti, che sono soltanto docili marionette nelle mani della scrittrice, ma da un personaggio minore eppure più umano. Paolo, il servitore del giovin signore, il quale appunto, dopo aver sopportato traversie senza fine al seguito di Vivaldi, esprime i sensi della ritrovata serenità c traccia un arguto bilancio di quanto ha appreso dalla vita. Nel complesso, // confessionale dei penitenti neri (di cui esiste una traduzione abbastanza recente, del 1970, presso Sugar) pu« aspirare al fuo- prrrrVaria, Tiei conFrcmw wl re* manzo manzoniano. Si tratta di un «precedente» che riguarda solo aspetti di costruzione esterna, ma che certo non può essere ignorato, tanto più che esso consente di misurare alla perfezione la radicale conversione di strutture, la vera e propria «riscrittura» da cima a fondo di cui il Manzoni fu capace; al punto tale da occultare quasi del tutto, sotto la sapienza delle analisi psicologiche e il rigore delle indagini socio-economiche, l'alto grado di improbabilità proprio di motivi provenienti dalla più smaccata tradizione del romanzesco. Renato Barilli Fra Cristoforo e don Rodrigo in una illustra/ione di Gonin

Luoghi citati: Inghilterra, Pisa