Altman assolve Nixon il volgare «Era il sistema»
Altman assolve Nixon il volgare «Era il sistema» Al FilmFest «Secret Honor» Altman assolve Nixon il volgare «Era il sistema» DAL NOSTRO INVIATO BERLINO — Altman assolve Nixon, il più disprezzato dei presidenti americani contemporanei, l'anima nera dello scandalo Watergate? Pare almeno, nella singolare revisione del suo film Secret Honor, presentato al Forum del FilmFest, guardarlo con umana simpatia, non considerarlo più spregevole o colpevole di altri, ed essere d'accordo quando Nixon grida: do sono l'America. Io sono il sistema. Punto e basta». A 60 anni, Robert Altman di Nashville ha abbandonato il cinema commerciale. Non per sua volontà: non trova nessuno che lo finanzi. Adesso investe il suo molto talento e i pochi soldi in un genere non più praticato da nessun altro al mondo: il teatro filmato. In questo caso ha filmato con l'apporto dell'Università del Michigan uno spettacolo di Freed e Stone messo in scena dall'Actor's Theatre di Los Angeles e interpretato da Philip Baker Hall: un attore che a Nixon non somiglia per niente, che non ha la stessa voce ni lo stesso accento, ma che in un lungo monologo ne recita benissimo la volgare vitalità e una disperazione da vittima di enorme ingiustizia. Nelle ore buie della fine della sua presidenza, Nixon sta solo in un ufficio. Ha come unico interlocutore il microfono di un registratore, cui detta un'arringa in propria difesa. Per un'ora e mezzo grida, balbetta, ingiuria, si inceppa, sputa, «pernacchia, piange, grugnisce, ripercorre la propria vita e la propria carriera politica, cita i propri discorsi e se non li ricorda consulta la relativa edizione rilegata, ripete «merda» ogni tre parole. Parla con i ritratti appesi alle pareti: a Lincoln dice «io volevo essere come te»; insolentisce Eisenhower, «ipocrita!»; contro Kennedy impreca «maledetti Kennedy, signorini maledetti», e contro Kissinger «buco di culo, figlio di puttana, a te hanno dato il premio Nobel, di me hanno detto che rubavo l'argenteria della Casa Bianca». Parla con le fotografie di sua madre e di sua moglie, beve, rigira tra le mani una pistola a tamburo, inveisce «tutta colpa del Comitato dei Cento, e di me che gli ho venduto l'anima». Sprofonda sempre più nella sua paranoia: poi non ha più voce, emette soltanto suoni inarticolati. La maniera è quella del teatro americano degli Anni Cinquanta, dei drammi alla Tennessee Williams, gridati e tempestosi, in cui la colpa di tutto è sempre l'origine sociale (do sono un piccolo borghese, va bene?»), l'infanzia disgraziata e naturalmente la mamma possessiva; lo stile cinematografico è quello patetico e ironico di Jimmy Dean e anche il direttore della fotografia è lo stesso, Pierre Mignot. Altman definisce Secret Honor una «ficticnal meditation», una riflessione narrativa, non esattamente storica; dice di vedere in Nixon «un simbolo di energia criminale e della corruzione dei politici»; dice che gli interessava «capire meglio quest'uomo che è diventato il capro espiatorio di un'intera nazione». Effetto speciale: il pubblico berlinese, soprattutto ragazzi disposti a veder confermati i propri luoghi comuni, e ad assistere a una prevedibile satira politica, all'inizio' rideva'' contentissimo, sgangheratamente, più che per John Belushi; poco a poco si è azzittito, si e lasciato conquistare dalla tragedia di un uomo ridicolo; alla fine, da Nixon era senz'altro commosso. Lietta Toraabuonl ; FilmFest • Berlin
Luoghi citati: America, Lincoln, Los Angeles, Michigan, Nashville
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