Intrighi a Bisanzio

Intrighi a Bisanzio L&GENDADIF.&L. Intrighi a Bisanzio Tra i ]>ochi libri che si tengono volentieri in casa, che ancora suscitano, allineati in uno scaffale, piacevoli sentimenti di possesso, va inclusa la collana di scrittori greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla (Mondadori). In dieci anni, una trentina di traduzioni col testo a fronte e un aggiornatissimo apparato di note a cura dei massimi specialisti italiani c stranieri d'oggi. Dorsi sobriamente grigi con una punta di verde, mappe e illustrazioni dove servono, prezzi più che ragionevoli, considerata la «mano d'opera» che c'è in questi «prodotti» di alta tecnologia culturale, degni senz'altro di figurare sul sedile posteriore di una Bmw, di una Lancia, gettati con pubblicitaria negligenza tra un ombrello Burberry's e un valigiotto Ciucci. Ma i ricchi, e specialmente i nuovi ricchi, non sono ancora arrivati a questi must, si sa. Più in là della Scala, del premio Strega, dell'Art Deco, non vanno. Chi sono allora gli acquirenti di questi nobili volumi? La clientela e potenzialmente enorme, se si tiene conto di tutti gli italiani che in un modo o nell'altro si profumano l'alito con la parola «cultura». Insegnanti. Giornalisti. Operatori, animatori, manovratori, giullari c addetti d'ogni specie, presi in forza dallo Stato, dai Comuni, dalle Regioni, da innumerevoli enti e istituti che alla «cultura» direttamente si richiamano. Quanti saranno? La mente arretra sull'orlo dell'abisso. Un milione, come minimo. Un milione e mezzo. Tutta gente impegnata allo spasimo nella grande scalata culturale in corso da anni nel nostro paese: uomini e donne votati a portare l'Espressionismo tedesco nel Cilento, il cinema tibetano nella «bassa» padana. Nessuna indagine demoscopica si è mai occupata di appurare quanti e quali libri ci siano nelle biblioteche privale di costoro, ma è facile dedurre che gli scrittori greci e latini non rientrano nei loro pur ecletticissimi interessi. Se soltanto il 10% dei culturiferi nazionali li comprasse, i testi della Fondazione Valla sarebbero tutti dei best-seller, da Platone a Gregorio di Tours, da Eraclito a Pausania. Apprendiamo dai responsabili che le vendite sono invece molto più basse, vanno dalle seimila alle quindicimila copie, a seconda dei titoli. E non e poco, a quanto pare. Anzi, si può dire che l'intero «mercato» dei classici si stia infine muovendo, dopo un lungo periodo di paralisi. * * Un amico erudito sorride con quel sorriso tipico di chi maneggia familiarmente il tempo a trance di millenni. Ma i classici — ci fa osservare paziente — non sono mai stati «immobili», hanno subito durante la loro carriera infinite metamorfosi. Sepolti nelle macerie dell'impero romano, non furono per secoli altro che nomi appena ricordati. 1 cristiani li videro a lungo come perniciosi diffusori di paganesimo e mateiialismo, ne temettero perfino la rapinosa eleganza stilistica. La loro riesumazione, quando il peggio del Medioevo fu passato, suscitò meraviglia e sbaiordimento, un po' come avverrebbe per la scoperta di scheletri extraterrestri in cantina. Divennero allora pietre di paragone, modelli ineguagliabili e umilianti per i ' s poveri «moderni»; ammirati fino al delirio, imitati fino al ridicolo, passarono dai cenacoli dei dotti alle università e poi via via traboccarono nei licei e ginnasi, trasformandosi in sadici disseminatori di trappole e trabocchetti per generazioni scolari. Sopravvissuti a stento alla seconda guerra mondiale, parvero definitivamente emarginati dall'avvento dei consumi, delle comunicazioni e della scuola di massa, dal trionfo dell'inglese e dell'informatica. Che avevano più da dirci quei remoti autori, quelle pagine di scavo? Soltanto qualche canuta macchietta di professore, pochi preti e avvocati di provincia, si ostinavano a citarli, non di rado a sproposito, col risultato di farli sembrare peggio che antichi, «vecchi». Ma non era vero, e il nostro amico si frega compiaciuto le mani: quei polverosi e decrepiti busti si stanno rianimando, la gente si accorge che d! quei «maestri» non si può fare a meno, che il greco ci! latino sono lingue ben vive, che il.Apte, insegnamento rappresenta una base indispensabile per;.. Non lo seguiamo in questo suo fervore di restaurazione. Altri ci sembrano i motivi se i classici sono rientrati nel nostro campo visivo, se Giugurta ha ripreso a galoppare nel deserto numidico, Catullo a dilaniarsi d'amore, Agrippina a traversare impavida il campo degli ammutinati tenendo per mano il piccolo Caligola, i famelici mercenari di Senofonte a gettarsi sui favi di miele e morire d'indigestione. In questo genere di avvicendamenti, non è tanto che si «torni indietro», ma piuttosto che a un certo punto uno si rende conto di non essere mai «andato avanti». E dell'«andare avanti» la nostra cultura, soprattutto degli ultimi anni, s'era fatta poco meno che una religione: eccitanti sorpassi, gratificanti accelerazioni, ampie corsie marxiste, tecnologiche, scientifiche, progressiste, liberatorie, che tagliavano razionalmente la Storia di casello in casello. Laggiù all'orizzonte si profilavano confusi ruderi, statiche rovine del passato; ma lanciati in velocissima corsa noi appena le vedevamo, l'occhio fisso alla nostra invitante segnaletica, Uguaglianza km 87, Benessere km 22, Lavori in corso per la Felicità, Paradiso Terrestre Uscita Nord. Svincoli imprevisti (ma prevedibili) ci hanno infine ri portato nella vecchia, nella sterminata palude di sempre, dove non è più possibile contare su frecce e direzioni, nitidi cartelli e confortanti stazioni di servizio. Una curva, e siamo nel silenzio della Tebaide. Un ponte, c ci ritroviamo tra i tumuli di Cartagine. Tutto confina con tutto, in questo magico aleph di civiltà, popoli, avi famosi; ed ecco la nuova metamorfosi dei classi ci, che a un tratto ci appaiono affascinanti non perché lontani, ma perché vicinissimi, addirittura fraterni. Ci lega a quelle tramontate vicende il sentimento (detto oggi neoromantico, ma il semplice buon senso non aveva mai smesso di coltivarlo) che anche la nostra civiltà è caduca, mortale, che per vie nucleari, per incurie ecologiche, per eccessi riproduttivi, anche noi saremo un giorno preda delle ortiche e degli scorpioni biblici, c non senza una nostra grandiosità, dopotutto. C'è quasi, anzi, una curiosità anticipatoria, una sorta di gusto fantascientifico, nello sfogliare le testimonianze di duemila o mille anni fa. Più sensazionale di qualsiasi impero stellare ci apparirà allora quello bizantino nei due ultimi volumi pubblicati dalia Fondazione Valla. L'autore, Michele Psello, vissuto dal 1018 al 1081, fu filosofo, erudito, oratore, uomo di corte e di potere. Ma fu soprattutto uno scrittore di straordinario talento, un cronista mirabile d'intrighi di palazzo, battaglie in terra e in mare, fastose cerimonie, funeste invasioni, epidemie, sommosse, assedii, attentati, turpi o deliranti amori. Servì per vent'anni sotto una dozzina di imperatori, e dato l'ambientino da lui stesso descritto «a caldo», non si può non ammirare la sua capacità di salvare la pelle, e gli occhi, nelle più affilate circostanze. Ambiziosissimo, astutissimo, molto intelligente, lucido, cinico, snob, lo vediamo sgusciare tra le quinte del trono, presso i letti di sovrani e sovrane in calore e in agonia, nelle tende di generali golpisti, tra la folla tumultuosa dell'Ippodromo, in mezzo alle frecce di sempre nuovi nemici barbari o locali. L'accecamento e l'esilio sono la conseguenza normale della sconfitta politica (Psello ci mostra quel supplizio in sequenze di atroce evidenza) ma lui riesce sempre a fiutare il vento un attimo prima degli altri e a sparire dalla circolazione, cambiare protettore, chiudersi in convento e ripresentarsi più indispensabile che mai al nuovo regnante. ★ * Ministro, consigliere, eminenza grigia, stratego, ambasciatore, precettore di principini, è sempre in prima fila per render conto delle follie bizantine: imperatrici dementi e scialacquatrici, eunuchi potentissimi ed esecrati, un barbone balbuziente che diventa, prò- un monarca, un altro monarca assassinato nel bagno, templi e palazzi e meravigliosi giardini che sorgono in pochi giorni per capriccio e vengono capricciosamente demoliti, mentre su rutto aleggia la sensazione di un dissanguamento continuo del grande, orgoglioso impero, l'ombra di una nevrotica, fatale labilità. Si può trovare un certo sollievo nella constatazione che di fatto Bisanzio durò poi ancora per qualche secolo. G si può meravigliare che questo capolavoro non fosse mai stato tradotto in italiano. Si può sospettare che soltanto oggi ci sia un pubblico, speriamo il più vasto possibile, per Michele Psello, nostro evidente contemporaneo. Carlo Frutterò Franco Lucentini .„ -I /•-„„,:,■ a: prio per ques» il favorito d| Teodora di Bisanzio

Persone citate: Carlo Frutterò, Franco Lucentini, Giugurta, Michele Psello, Paradiso Terrestre Uscita, Platone