Il gran coccodrillo

Il gran coccodrillo VICTOR HUGO RIVISITATO A PARIGI Il gran coccodrillo Parigi, Place des Vosges. Un quadrato di vecchie case secentesche ad arcate basse, con al centro un giardino ove l'oro delle foglie autunnali si dissolveva al vento pungente di novembre: cosi essa ci apparve in una visita che vi facemmo anni fa, per consiglio di un amico storico e buongustaio: «Se ami Victor Hugo, c'è là la sua casa, il suo museo; e c'è anche un buon ristorante...». Amo oggi Victor Hugo? In gioventù ci sarebbe parso superfluo e quasi irriverente quel «se», tanto fu il nume tutelare della nostra adolescenza, certo il primo grande scrittore straniero da noi conosciuto non solo nel paio di romanzi che bene o male tutti ancora conoscono, ma in assai più larga parte dell'opera sonora ed immensa. Poesia, drammi, meditazioni, oracoli, polemiche, invettive; e su tutto torreggiarne l'immagine michelangiolesca del Poeta-Vate, «chinata nel dolore ■ la profetica testa sulla man destra», come la cantò il nostro Carducci, riflettente in sé la doglia mondiale e intento a esprimerla in pagine imperiture. Ahimè, come son lontani quegli entusiasmi! l.a figura michelangiolesca ha avuto il tempo di mutarsi via via ai nostri occhi in una enfatica sagoma barocca, altri dei e idoli ne han preso il posto nel nostro cuore (c'è stato un momento in cui per il sottile volume dei Tropica di Hcrcdia avremmo data tutta intera l'opera victorughiana), e il poeta dei nostri verdi anni ci è accaduto talvolta di apostrofarlo, negli intimi soliloqui degli anni non più- verdi, col poco originale e reverenziale appel lativo di «vecchio trombone». Non credo che questa radi cale svalutazione sia un fatto meramente personale; ma piuttosto il 'sommario riflesso, in un profano, aiutato dall'esperienza, dall'affìnato gusto e dal maturato giudizio, di tutto un- -processo eli revisione critica cui è stata sottoposta l'opera 'hughiana nel nostro'secolo, dacché abbiamo appreso a meglio distinguere l'oratoria dalla poesia. Ma questo processo, è appena necessario aggiungere, non ha certo cancellato, né mai avrebbe potuto, dal libro della poesia il nome del vecchio Vittore: squassata dal vento della più iconoclastica critica nei tempi e gusti mutati, l'antica quercia ha perduto rami e fronde, non si leva più così maestosa al ciclo come la salutò il nostro poeta, ma non perciò ha potuto essere sradicata. Chi ha scritto Booz endormi e anche solo una dozzina di liriche simili nei suoi troppi volumi di versi, e le pagine su Waterloo nei Miserabili e certe pagine di Quatrevingt-treize (ricordo qui almeno ciò che in me è soprawissuto a ogni iconoclastia) resiste con un suo nucleo vitale al rodio delle generazioni e dei secoli. Quindi, onoriamo ancora e, sì, amiamo Victor Hugo, anche se non più del cieco amore dei quindici anni; ed andiamo, come andammo, a visitare la sua casa e il suo musco. Varcata ia soglia, eccolo lì «lt grand crocodi/e», come lo chiamava Flaubert, che ci guarda dal pianerottolo delle scale in uno dei suoi più tipici ritratti, la bianca testa appoggiata alla mano, grave del dolore del mondo. Ma non fu sempre così, naturalmente come ce lo effigia l'immagine ultima e diciamo canonica di lui, idolo del radicalismo < umanitarismo fin de siede. * * Beco il fresco volto giovani le dell'autore di Hernani e delle Orientala, dal mento aguzzo e dagli occhi penetranti; ecco il viso arrotondato e la lunga chioma tribunizia della pugnace maturità; ed ecco, attorno a lui e ai suoi disegni e acquarelli, coloro che gli furono cari per tutta o parte della sua vita: il padre, generale napoleonico (ce hèros au sourire si doux, anche se marito c padre poco esemplare), la madre, la fidanzata. Il visitatore che sappia un po' della biografia reale, oltre quella ufficiale, del poeta, si sofferma più a lungo davanti al ritratto del Boulanger, con l'altera bellezza di madame Adele Hugo nel fiore degli anni, per cui non invano perse la testa il Sainte-Beuve. Quel la bellezza passò, quell'amore passò, e una fotografia assai più tarda ce la mostra invecchiata ancora al fianco del suo Victor, anch'egli e più durevolmente infedele, circondati entrambi dal gruppo dei figli: ma una, Léopoldine, già non è più tra loro, travolta da un tragico destino all'indomani delle nozze nei gorghi della Senna. L'immagine dell'altra donna, Julictte Drou'ct, che prese e serbò fino alia morte il primo posto nel cuore di Hugo, si affaccia appena, discretamente, in un angolo di questo museo sacro alla rispettabilità familiare del Vate: il quale poi, sia detto sottovoce, ancor in avanzata vecchiaia pare inseguisse le cameriere per le stanze di casa. Ma perché, benedetto Iddio, queste ombre e miserie umane debbono pesare nel nostro ricordo più della luce di cui è pur ricca quella vita, dalla sincera purezza e ardore delle Ultra à la fiancie alla nobiltà delle battaglie letterarie e politiche, al coraggio dell'esilio e della rifiutata amnistia, AllàHcde.^wmtcmitA fino alla gnJBWlKSmc& ; 5 Anche nella sua lunga relazione con la Drouet, è facile a un moralista inacidito scorger solo la ricambiata infedeltà coniugale, e dimenticare che essa non fu solo un legame dei sensi ma dell'anima, che ne fu in lui confortata e spronata, e avviata a immortali speranze. Anziché a cameriere inseguite, pensiamo al testamento. spirituale del poeta: «Sto per chiu¬ dere gli occhi terreni, ma gli occhi dello spirito rimarranno aperti, più grandi che mai. Respingo la preghiera di tutte le chiese, domando una preghiera a tutte le anime»; e, consenzienti o no, inchiniamoci a quest'ultima antitesi di colui che fu il re dell'antitesi, ma che sulle soglie della morte non pensò certo a fare della retorica. Il suo massimo ideale fu la lotta contro il dolore umano, l'ingiustizia, la miseria, quale appar formulato nelle celebri righe di prefazione ai Miserabili, e toglie per sempre la voglia di sorridere davanti alle artistiche debolezze di quel gran libro disuguale. La somma dell'umano dolore (grazie anche a certe radicali terapie moderne) non è certo diminuita da quando sembrava simbolicamente sopportarla il bianco capo del vecchio poeta fine Ottocento. E bisogna aver la sincerità, o il coraggio, di riconoscere che gli ideali di Hugo possono, anzi debbono essere ancora i nostti, anche se noi sentiamo il bisogno di esprimerli senza il rombo dell'enfasi e l'acrobazia delle im-magini 0 Sì, fin VÌ0lCflj^& genere di tradii tranno essere non inutili, e finché vi sarà amor di poesia il nome di lui, pur ridotto a più giuste proporzioni, sarà ricordato e onorato; anche se il solito spiritello maligno ci soffia sempre nelle orecchie la risposta, credo, di Anatole Francc a chi gli chiedeva chi fosse il maggior poeta francese: «Ile'/as, c'est Victor Hugo.,.». Francesco Gabrieli p&f J Victor Hugo in una caricatura di Daumier

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