Affrica/ un assedio chiamato fame di Mimmo Candito

Affrica/ un assedio chiamato fame Il deserto avanza, le colture per l'export sfrattano quelle di sussistenza, i debiti crescono; la carestia si fa destino Affrica/ un assedio chiamato fame Con l'Etiopia muoiono Ciad, Mozambico, Somalia, Sudan, Niger, Mali, Burkina Fasso -1 Paesi del Sahel, però, hanno investito nell'agricoltura meno di un quarto degli aiuti Fao - L'urbanizzazione è davvero inarrestabile? - Gli interventi delle nazioni ricche giovano spesso più a loro che ai beneficiati - Ipotesi di un nuovo piano Marshall DAL NOSTRO INVIATO ADDIS ABEBA — L'Etiopia sta morendo per fame, come raccontano le cronache da quest'altopiano disperato. Ma poi a morire è tutto un Continente, il Ciad, il Mozambico, la Somalia. 11 Sudan, il Nigcr, il Mail, Il Buriana Fasso. Centocinquanta milioni d'uomini qui ogni giorno mangiano meno di quanto sia necessario per sopravvivere, 35 milioni versano in pericolo imminente di vita. Ora s'aspetta solo che la siccità e la fame portino nuove rivolte, nuovi colpi di Stato, nuovi assassinii politici. L'Africa sembra staccarsi lentamente dal nostro mondo moderno, precipitando nel passato buio d'una storia irrecuperabile. E' la sola area al mondo dove negli ultimi 20 anni la produzione agricola abbia avuto un incremento (1.9 per cento) inferiore al tasso d'incremento demografico (3 per cento). Lo scorso anno, il più duro dell'ultimo decennio, la produzione alimentare del continente non ha raggiunto nemmeno i 100 chili a testa, mentre il bisogno individuale supera 1 145 chili. Nell'80 gli africani erano 470 milioni, oggi sono 535, nel Duemila saranno 850 milioni. I Paesi che hanno bisogno di ..aiuto immediato' sono 21, censiti dalla Fao come «ni /(mite della catastrofe-. Ventuno Stati sono quasi la metà del Paesi dell'intero continente, la catastrofe c'è già. Il loro bisogno di aiuto per 11 1985 raggiunge i 7 milioni di tonnellate di cibo e alimenti, che è il doppio di quanto (3,3 milioni) l'Africa abbia chiesto al mondo nell'84. Dice Adebayo Adedejl, segretario della Commissione economica dell'Onu: «O st interviene subito, e massicciamente, o il mondo sarà testimone d'una sciagura che non ha precedenti nella storia dell'umanità-. Le radici di questa catastrofe affondano dentro la terra del continente, perché metà delle nazioni africane sono in aree aride o desertiche. Il Sahara si allarga verso il Sud divorando la terra, una distruzione su larga scala di alberi e arbusti accompagna la domanda crescente di legna per ardere e di nuovi terreni da coltivare. Patti Waldmelr racconta che quando il Sultano di Ueddé era in guerra col suo potente vicino, il Capo Ba- guirmi, ci vollero 8 mila schiavi per aprire un passaggio nella fitta foresta che separava i due regni. Era il Ciad orientale, all'inizio del secolo scorso. Oggi quella regione è una landa di sabbia silenziosa, tagliata dal vento. Alberi non ce ne sono per centinaia e centinaia di chilometri. Il Sahel diventa deserto, cede al Sahara milioni di acri ogni anno. Questo ecosistema è fragile, costantemente al punto di frattura. E una volta l'anno, Immancabile, in qualche parte di questo sterminato territorio arriva la siccità. Dice Adedeji: -Ma questa è la più disgraziata degli ultimi SO annU. Ed è poi la stessa siccità che aveva colpito l'intera fascia del Sahel, da Dakar a Oibutl, all'Inizio degli Anni Settanta. .Sui pfornaif non se n'è più parlato, ma la gente ha continuato a morire ogni giorno-. La sola novità è che la geografia della siccità sta mutando: alla lunga fascia della fame e della morte che stringeva l'Africa da Est a Ovest, al di sotto del Tropico del Cancro e fino al 10° parallelo, ora si aggiunge una linea di penetrazione che muove dal Sud dell'Africa australe fino al Mar Rosso. Affamati di moneta forte con cui pagare manufatti, beni di consumo, tecnologia, gli africani sono stati sollecitati e incoraggiati ad estendere le colture destinate all'export (l'arachide, il cotone, il caffé, il tabacco). Le terre migliori, le più fertili, sono state occupate progressivamente da queste piantagioni, spostando le colture alimentari di base — cioè il miglio e il sorgo — verso terre meno ricche, ad alto potenziale di rischio. Basta una stagione di siccità, e l'intero precario equilibrio viene messo in crisi. Il bestiame, che non può spostarsi per più di 20 chilometri dal pozzi, distrugge ogni pascolo; poi muore per fame. Il raccolto è perduto, la terra si pela e diventa deserto. Per ogni ettaro di terreno che l'irrigazione strappa al deserto con un costo di 20 mila dollari, ogni anno c'è un altro ettaro che viene ceduto progressivamente al Sahara, abbandonato per supersfruttamento o per morte del suolo. La fame non ha potuto più essere contenuta, ora che l'equilibrio della natura è stato violato. Né i contadini «hanno più Interesse a conservare scorte di derrate alimentari, do|)0 che l governi hanno Imposto prezzi controllati e scarsamente remunerativi. Il rapporto tra città e campagna è stato Infatti rovesciato: nel '60 viveva in città ancora solo un africano su 10, ora è uno su 5. Tra 10 anni sarà uno su 2. Oggi ci sono 28 città con più d'un milione di abitanti, nel '60 erano soltanto 3. L'urbanizzazione spinta ha trasferito alla città la centralità sociale. E poiché le amministrazioni sono inte- ressate soprattutto a tenere calma e controllata la popolazione urbana, 1 prezzi bassi delle derrate agricole evitano le turbolenze sociali e permettono salari a livelli minimi. L'obiettivo era anche quello d'una prima accumulazione capitalistica, come base di formazione del settore industriale. Ma 11 modello di sviluppo privilegiato ha scimmiottato le economie del Paesi a industrlallzazlone avanzata, sprecando risorse nel pozzi insaziabili della improduttività. Al punto da coinvolgere la stessa politica degli aiuti: dei 7,5 miliardi di dollari assegnati ai Paesi del Sahel in questi cinque anni, all'agricoltura è stato destinato meno di un quarto (1,7 miliardi). Senza ironia un rapporto della Fao scriveva: «Per una soluzione permanente del problema della Fao in Africa, il requisito fondamentale è una forte volontà politica di canalizzare verso l'agricoltura un maggiore volume di risorse-. Il risultato di questo degrado è che, a fronte di un aumento delle richieste d'aiuto e di sostegno, diminuisce invece il flusso dei capitali destinati all'Africa subsahariana: dagli 11 miliardi di dollari del bienno 1980-82 si passa al 5 miliardi previsti per 11 blennio 1985-87, con una riduzione del 60 per cento. E gli investimenti privati sono calati dai 3,4 miliardi di dollari del 1980 al miliardo e poco più del 1984. L'Africa muore di fame, diventa deserto, s'impoverisce. L'impennata del dollaro ha cancellato ogni progetto legato ai ricavi delle esportazioni, ormai il 60 per cento della divisa ottenuta con la vendita di cotone, arachidi, caffé, cacao, se ne va a pagare gli interessi del debiti. In¬ teressi che da 4,1 miliardi di dollari dell'61 sono saliti a 11,6 per 11 1985. Questo significa che solo il 40 per cento delle risorse ricavate dal mercato internazionale può essere speso per i bisogni di ciascun Paese: e all'agricoltura finirà una quota certamente irrisoria. Il presidente del Nlger, Seyni Kountché, a nome di tutti i Paesi traversati dalla pestilenza terribile della siccità, ha chiesto «un Piano Marshall per il Sahel-. Dice: ^L'Africa è ancora alla ricerca di un modello di sviluppo-. Aggiunge anche che non sono più accettabili «le estra¬ potagioni che tentavano per la loro apparente facilità-. L'Africa non vuole esser più terreno di caccia per le avventure dei progetti industriali giganteschi, che alla fine rendevano più ai Paesi finanziatori che agli africani. -Basta con le cattedrali inutili, bisogna puntare ai piccoli programmi, le piccole dighe, i piccoli invasi-. Edgar Pisani, commissario Cee allo sviluppo, denuncia quanto quell'aiuto che disegnava una fantastica trasformazione dell'Africa non sia stato mal disinteressato: -Per ogni Ecu di aiuti speso per questa gente, l'Europa ha venduto 10 Ecu di beni e di servizi. Per quello stesso Ecu il doppione ne vende 20, gli Stati Uniti 22, e i Paesi dell'Est 75-. Aggiunge Edouard Sauma, direttore generale della Fao: -Sono i Paesi che forniscono aluti, sono essi a incoraggiare, e in pratica a forzare, gli assistiti verso scelte che corrispondono soprattutto agl'interessi commerciali dei donatori-. Le responsabilità della morte di un continente sono larghe, 1 complici hanno mani bianche e mani nere. I Scrive Hilary Ng'weno, direttore della Weekly Review di Nairobi: -La siccità è solo una parte della storia della crisi dell'Africa. La distruzione che essa si porta dietro avrebbe potuto essere ben mitigata se i leader africani avessero' servito i loro Paesi, invece di dedicarsi alle lotte di potere personale-. Può essere salvata quest'Africa? Un Piano Marshall pare utopia, quando si tien conto delle logiche che guidano le scelte del Paesi indù-' striallzzati: l'Usald per esempio, cioè l'ente americano per lo sviluppo, respinge ogni progetto d'intervento che comporti impegni di spesa inferiori al 100 mila dollari (200 milioni di lire). Nei prossimi giorni la Fao convocherà i Paesi ricchi. -Occorre un rovesciamento di mentalità e di scelte-, dice Sauma. Ma il tempo delle illusioni pare anche consumato, visto da qui, da quest'altopiano ventoso affollato di povera gente che muore per fame ogni giorno. Ogni minuto. Mimmo Candito Produzione alimentare procapite 115 110105 100 95 America Latina „ MEDIA 19G1-05 « 100 \ .••,-»". Asia .••/•-' Produzione procapite di grano (kg) 80 ' '82 '84 Fonte Banca Monacale Aree maggiormente colpite dalla siccità

Persone citate: Edgar Pisani