Esplorare FErmitage

Esplorare FErmitage AVVIATO UN CATALOGO IN 16 VOLUMI Esplorare FErmitage Nel 1918, mentre a Pietrogrado infuriavano confische ed esecuzioni sommarie, la Contessa Kleinmichel, prevedendo ciò che le sarebbe prima o poi capitato, fece sprangare e inchiodare tutte Je finestre e uscite del proprio palazzo, affiggendo all'ingresso principale un cartello che, pressappoco, diceva: «Proprietà del Soviet di Pietrogrado • Vietato l'ingresso - Gli abitanti di questo edificio sono stati già arrestati e si trovano rinchiusi nella Fortezza di Petropavlovsh. Nel frattempo, la Contessa, aiutata: dal personale di servizio che le era rimasto fedele, provvedeva ad imballare quadri, arazzi, tappeti e argenteria; finito il lavoro essa riusciva a fuggire in Finlandia, seguita poi dalle nume-, rose casse e da quanti l'avevano aiutata. Quasi nel medesimo tempo, le autorità sovietiche vennero a sapete che qualcuno stava trafugando dipinti italiani molto importanti della Galleria dei Duchi di Leuchtenberg e già confiscati. Quando venne individuato il responsabile, questi era riuscito a far emigrare, tra l'altro, la Santa Caterina di Lorenzo Lotto e il tondo della Natività di Piero di Cosimo (ambedue oggi nella National Gallery di Washington); processato subito,1 gli vennero inflitti quindici anni di carcere duro. Questi due episodi (ai quali se ne potrebbero aggiungere altri) provano che non tutte le grandi .raccolte d'arte della capitale dell'Impero zarista e non tutti i capolavori passarono nelle m2>ii dello Stato Sovietico; del resto, non ci fu mai un decreto di nazionalizzazione di tutte le collezioni artistiche, che vennero confiscate solo quando appartenevano ai membri della famiglia imperiale, o ai vertici dell'aristocrazia (gli Stroganoff, gli Yusupov) o a coloro che avevano occupato posti governativi importanti, dimostrando a parole c a fatti un'ideologia nettamente retriva e reazionaria. Ancora oggi è possibile vedere, specie a Mosca, collezioni anche di rilievo; c'è semmai da dire che (a differenza del 1905 quando la rivolta, specie nelle campagne c nei centri minori, provocò gravi perdite di opere d'arte) nel 1917-1918 nulla andò distrutto, anche per le provvidenze messe in opera dai Sovieti grazie ai consigli e all'intervento personale di quel grande personaggio che fu il Commissario del popolo per l'Istruzione, Anatolij Lunaciarski. Verso il 1922, il numero delle opere d'arte espropriate era enorme; per decenni la consistenza di quel che era nascosto nei depositi dei musei statali è rimasta un mistero, anche perché molti pezzi furono destinati a istituzioni secondarie o ai centri di provincia, e alle capitali delle varie Repubbliche dell'Unione. Cosi a Leningrado alcuni dipinti passarono a un Museo Etnografico dei Popoli dell'Urss, altri a un Museo della Vita Domestica e Sociale; io stesso, nel I960, rammento di avet visto una importante tavola con i Tre Arcangeli (che allora mi parve del fiorentino Domenico Puligo) in quel divertentissimo e bizzarro Museo dell'A teismo (ribattezzato con un nome meno provocatorio) al lestito nella Cattedrale della Madonna di Kazan. Oggi, finalmente, il patri monio pittorico del massimo museo dell'Unione Sovietica, l'Ermitage, viene reso noto, grazie all'iniziativa dell'editore fiorentino Giunti-Martello in collaborazione con la Iskusstvo di Mosca. Il gigantesco catalogo è previsto in 16 volumi, di cui il primo, curato da Valentina N. Berezina, è dedicato ai dipinti francesi dell'Ottocento, precisamente della prima meta, sino al 1870 circa. Splendidamente stampato (e scritto in inglese, il titolo esatto essendone French Painting, Early and Mid-Nineteentb Century), il magnifico volume elenca ben 464 opere dovute a più di 200 pittori; 217 di esse non erano mai state illustrate e nemmeno fotografate. Di grande importanza è poi, in appendice, la riproduzione ingrandita delle firme degli artisti compresi in questa che, fuori della Francia, è la più ricca raccolta di quadri dei periodo in esame. Non c'è quindi alcun dubbio che si ttatta di un'iniziativa di livello scientifico assai alto, che per buona fortuna ha trovato una realizzazione di pari qualità. Diverso è invece il discorso che sollecita l'esame delle opere catalogate, nelle quali i numeri davvero importanti si contano sulle dita. Spiccano, sopra tutti, il Saffo e Paone del David, e il superbo Ritratto del Conte Nicolò Guryev di Ingres; accanto a questi due capolavori non mancano cose di grande rilievo, come il Ritratto di Giuseppina Beat/barnais del Barone Gerard del 1801, già alla Malmaison, e poi toccato in eredità a Eugenio Bcauharnais, Duca di Leuchtenberg. Ma, per ciò che riguarda gli artisti che la storiografia odierna ha collocato sulla cresta dell'onda, la ricognizione è piuttosto deludente. I Corot sono del tempo tardo e di accademico romanticismo, i due Delacroix sono del tutto secondari, come poco significativo (e non di tema sociale) è il Courbet, mentre di levatura abituale risultano i due Millet. Un siffatto, povero bilancio è, come dicevo, quello che scaturisce dai criteri oggi adottati e imposti dalla storiografia artistica che passa per la più attuale, ma che in realtà e viziata da un manicheismo frettoloso e saccente. E davvero se a un'analisi finto-progressista e limitativa del primo Ottocento francese si sostituisce una visione più aderente alla realtà storica e più aperta, allora questo volume diventa lo specchio fedele di quelli che erano i aiteri di valutazione dell'arte francese da parte dell'aristocrazia e dell'afta classe media russa; aiteri, sia detto, non molto dissimili da quelli che tenevano il campo nella stessa Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, e, in genere, ovunque la produzione pittorica parigina era nota (l'Italia, a quei tempi, era sprofondata nel chiuso del provincialismo, consolandosi con la contemplazione, a mo' di ombelico, del proprio grande passato). Gli astri di quella valutazione entusiastica sono tutti rappresentati in abbondanza nell'Ermitage, da Horace Vernet (con undici dipinti tra cui lo splendido Autoritratto del 1835) al Granet (sei pezzi), a Théodore Rousseau (7), Ary Schacffer (7), Meissonier (6), Isabey (6), Geróme (5), sino ai 15 Winterhalter e ai 14 Diaz de la Pena, per non elencare tutti gli altri presenti con tele di grande spicco. p Non mancano poi le sorprese: citerò soltanto l'incredibile Mattatoio equino del Sellier, o il singolare, inatteso dipinto a soggetto religioso del Tissot. Ne mancano, con i quattro Joseph Bellange (protagonista del revival napoleonico sotto il Secondo Impero), i segni di quel morboso interesse verso il Bonaparte che per molti decenni fiori nei due Paesi che più lo avversarono, Inghilterra e Russia. Ma ci sarebbero da dire molte altre cose su questa eccezionale raccolta; mi limiterò a segnalare gli stupendi ritrai' ti di Winterhalter, Leon Bon^ nat, Carolus-Duran, JacquesEmile Bianche, tutte cose accademiche quanto si voglia, ma spesso di una straordinaria suggestione evocativa nei confronti dello scomparso ancien regime zarista. Fondamentale per lo studio del periodo catalogato, il volume onora l'editoria italiana e la sua intraprendenza; esso va considerato al seguito del tomo introduttivo, sulla storia dell'Ermitage e delle sue collezioni, già apparso presso il Giunti-Martello nel 1981, e sul quale ho già detto in questa medesima sede (La Stampa, 17 novembre 1982), deplorando l'infelice tentativo del prof. Giulio Carlo Argan di riscrivere la storia, minimizzando e deformando le gravi manomissioni che il grande Museo ebbe a subire in epoca stalinista, e che l'hanno privato di molti e insostituibili capolavori della pittura (non però nel periodo che il catalogo ora apparso include e riproduce). . Federico Zeri Ingres: «Ritratto del conte Nicolò Guryev» (particolare)