L'emigrato supermanager

L'emigrato supermanager USA, UN BEST SELLER LA BIOGRAFIA DI LEE IACOCCA L'emigrato supermanager L'attuale capo della Chrysler racconta come raggiunse i vertici della Ford e fu licenziato dal rampollo della dinastia - Ora si rifa nel suo libro: «E' uno scialacquatore» - Ma la miglior vendetta fu il prodigioso risanamento dell'industria rivale - La sua filosofia: «E' meglio essere un miliardario che uno snob intellettuale» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — C'è qualcosa di simbolico nell'enorme successo che •Lee» lacocca — il suo vero nome è Lido, lo cambiò perché agli americani sembrava impronunciabile — viene riscuotendo da un ventennio a questa parte negli Stati Uniti. Il capo della Chrysler, la tersa grande azienda dell'auto di Detroit, l'ex »enfant prodige» della Ford, è il primo manager a entrare nell'olimpo degli eroi nazionali. La sua ascesa non rappresenta un fatto individuale, è il segno di un cambio di generazione. Anche nella favolosa America sta finendo il tempo dei grandi imprenditori: a mano a mano che matura, ai Carnegie, ai Morgan, ai Rockcfcllcr, i leggendari padri della finanza e dell'industria, essa sostituisce -i sublimi gestori- delle multinazionali di cui ama dissertare l'economista Peter Drucker. Nessun presidente o amministratore delegato di una società ha mai goduto della stima e della fama di cui lacocca gode oggi tra gli americani. Forse, ciò è dovuto al ricordo della sua Ford Mustang, la svelta vettura del '64, la più amata dalla fine dalla guerra, e al suo miracoloso salvataggio della Chrysler, quando essa sfiorò la bancarotta nel 79. Forse è un effetto del suoi sketches televisivi, dove egli vanta la qualità delle sue auto, e invita i telespettatori «se ne trovano di meglio, a comprarle subito» — sketches che gli hanno dato una popolarità quasi hollywoodiana. Sta di certo che il pubblico statunitense lo vedrebbe volentieri alla Casa Bianca: secondo un sondaggio d'opinione dell'82, negli indici di simpatia e di fiducia «Lee» lacocca viene solo dopo Reagan. Non meraviglia quindi che lacocca - un'autobiografia, scritto in collaborazione con William Novak e pubblicato dalla Bantam, 352pagine, circa 20 dollari, 40 mila lire, figuri dà qualche settimana nell'elenco del best sellers. Il libro è la testimonianza della tipica ^success story» americana, con ingredienti degni di sceneggiati come Dinasty e Dallas, dalle umili origini nella co7>iunità italiana di Aìlentoum in Pennsylvania al rapporto di amore e odio con il monarca di Detroit, Henry Ford, per cui lacocca lavorò ben 32 anni prima di essere brutalmente licenziato. In esso, il primo supermanager della storia Usa racconta, non senza qualche reticenza, l'ascesa sugli altari, la caduta nella polvere, la resurrezione, e i propri pensieri. Nell'indice del libro, che qua e là ha un sapore di vendetta, c'è già tutto il personaggio. E' diviso in quattro parti, *Made in America» — brevissima —, La Ford», >La Chrysler» e 'Parlar chiaro». La più umana è quella introduttiva. Lido nasce da Nicola e Antonietta lacocca, freschi immigrati da San Marco presso Napoli, il 15 ottobre del 1924. Ha un'infanzia agiata: aperto un ristorante dal pomposo nome di Orpheum Wiener House, dove in realtà serve quasi esclusivamente -hot dog», «arsiccia, il padre accumula in fretta una fortuna. La distruggerà la grande crisi del '29-'30. Dai durissimi anni successiti, «tee» trarrà una morale semplice: «E' meglio essere .un miliardario che uno snob intellettuale». A Princeton Mentre il padre ricostruisce faticosamente il patrimonio familiare, Lido lacocca studia con accanimento. Si laurea in ingegneria a Lchlgh, l'ottima Università di Bethlcem. il centro dell'acciaio, e vince una borsa di studio per due anni di specializzazione a Princeton, dove Einstein insegna fisica. Come il babbo, ha la passione dei motori, ed è il primo ragazzo di Allentoum a guidare un'automobile — una Ford naturalmente, allora simbolo di modernizzazione. Riformato allo scoppio della guerra a causa di un attacco di febbre reumatica subito nell'adolescenza, riesce con l'aiuto della buona sorte a entrare ncll'agognata casa di Detroit. Dopo Un breve corso, viene assegnato all'ufficio vendite della Pennsylvania, e I là si sposa (la moglie Mary morirà il 15 maggio dell'S3 di leucemia: i proventi del libro sono destinati a una fondazione medica in suo onore). La scalata di 'Lee» lacocca ai vertici della Ford — è in quella circostanza che egli caìnbia nome — ha inizio lo stesso anno, il '56. Un brillante sistema di vendite a rate da lui escogitato attira l'attenzione del suo direttore generale, e futuro amministratore delegato: Robert McNamara, l'intelligenza più viva del mondo accademico e industriale di quel tempo, la 'testa d'uovo» che diverrà ministro della Difesa e artefice I delle nuove frontiere kennediane. Sotto la sua protezione prima e quella del dispotico Henry Ford poi, il giovane italo-americano di Allentoum, die ha l'occhio puntato sulla »scuola di Torino», collabora alla produzione della prima media cilindrata, la Falcon, e lancia trionfalmente la Mustang e la Cougar. Alla fine de! '70, è il capo della Ford. Nel libro, lacocca parla tanto bene di Robert McNarnara quanto male di Henry Ford. Il maturo rampollo della grande dinastia è affetto da mania di persecuzione, che sperpera i soldi della ditta, sì atteggia a genio di Wall Street e affetta l'eleganza dell'Europa. «Non voglio fare lo psichiatra — scrive il suo brac¬ y i o a n i o e aa a e cio destro — ma credo di sapere perché si sentisse sempre minacciato. Da ragazzo, suo padre aveva una fanatica paura del sequestri: Henry è cresciuto tra guardie del corpo e porte chiuse... scorgendo un congiurato in chiunque non fosse un familiare». La luna di miele tra l'imprenditore aristocratico e il nuovo manager venuto dal nulla dura cinque anni. Nei due successivi, Ford prepara la distruzione di lacocca, che lo sa, ma ri/iuta di dimettersi «per sete di potere e di denaro» (guadagna quasi 1 milione di dollari annui). La mafia // traumatico distacco avviene l'ottobre del 78. Henry Ford diffonderà la voce che Lee» era mafioso. Nell'autobiografia, lacocca lo smentisce, ma riferisce di una telefonata anonima. «Ha distrutto l'onore della vostra famiglia dice una foce italiana —. Una vostra parola, e gli spezzeremo le gambe e le braccia». // manager disoccupata declina l'offerta, pensa a un'altra vendetta: vuole fondare una superazienda automobilistica, la Global Motors, promuovendo un matrimonio tra una casa americana, una giapponese e una europea (perché non la Fiat?). Lo distoglie dal progetto l'offerta della Chrysler, ormai minacciata dal dissesto, che egli accetta a un terzo del suo solito stipendio. Il resto è cronaca: lacocca ottiene il massimo prestito governativo della storia, lo restituisce in anticipo, e in tre anni risana l'impresa, con l'inatteso aiuto dei sindacati. Il resoconto è avvincente. Ma nella prefazione, lacocca afferma di aver scritto il libro per insegnare ai giovani che cosa siano le Corporation^ americane e come vi si possa eccellere. Il ritratto che emerge delle prime è poco lusinghiero, e la sua formula per il successo è alquanto scarna. La Detroit di lacocca è come Dallas alla tv, con l'aggravante dello spreco e dell'incompetenza. Cè un dirigente che chiede 1 milione e 250 mila dollari per ammodernare il proprio ufficio — sono 2 miliardi e mezzo di lire. Gli intrighi di corridoio e gli errori di gestione si susseguono a valanga: saranno i modelli rifiutati dalla Ford per questioni di politica Interna a salvare la moribonda Chrysler. I rapporti non sono mai umani: sì calpestano dignità sentimenti e meriti. Le indicazioni fornite da 'Lee» lacocca per amministrare bene un impero industriale si riducono sostanzialmente a due. La prima regola è quella delle tre «P»; persone, prodotti, profitti. Per battere la concorrenza, l'azienda deve avere l'armonia interne, basarsi sulla qualità, e calcolare correttamente costi e prezzi. La seconda regola è quella della programmazione trimestrale: ogni 90 giorni, il management deve riesaminare i proprli obiettivi e trame un consuntivo. Su un punto lacocca insiste in maniera sorprendente: il manager che sacrifica al lavoro la famiglia non ha la stoffa del comando, non sapendo amministrare sé .non può amministrare altri. | «La mia carriera non regge 11 confronto — egli dice — con la felicità delia mia vita privata». Rimangono i pensieri/inali. Si capisce che a questo eroe americano non dispiacerebbe diventare presidente o, in mancanza dell'en plein, «war» di tutti i dicasteri dell'economia. Lido lacocca ha persino una ricetta per il rinnovamento industriale degli Stati Uniti: una tassa sulle importazioni di petrolio per contribuire alla riduzione del deficit del bilancio dello Stato, misure protezionistiche contro gli sleali giapponesi, l'eliminazione della scala mobile, che qui si chiama C.O.LA. »Cost of Living Allowance». E l'automobile? Per lacocca è uno stile di vita irrinunciabile, ma con un accorgimento: le cinture di sicurezza obbligatorie. Un giorno da questa autobiografia la tv potrà cavare uno sceneggiato: ma per scoprire l'uomo lacocca bisognerà aspettare un libro scritto dal di fuori. Ennio Carello /t. 4 ■ , < I ■ (ti W. m % ...» / >■ v f < "itti V51 Si. Louis. Ijee lacocca (a sin.) accompagna Rcagan nella visita al locale stabilimento della Chrysler