Cento storie della musica

Cento storie della musica COME ORIENTARSI NEI MEANDRI DELLA RICERCA Cento storie della musica Sembra ormai pacificamente accettato che le forze d'un uomo solo non bastino a redigere la storia della musica. La disciplina, nata nel Settecento coi due esempi di Charles Burncy e John Hawkins, si è talmente estesa e approfondita, che un solo studioso non si ritiene la possa più dominare, com'era invece riuscito nell'Ottocento al grande August Wilhelm Ambros, che nella storia della musica è quel che è De Sanctis per la storia della letteratura italiana. Tale destino sembrava prcannunciato nel gigantesco tentativo del dotto padre Martini, che la sua Storia della Musica aveva iniziato prima dei due inglesi, ma in tre volumi non riuscì a condurla che agli Egizi e ai Greci! Prevale perciò oggi il criterio della compilazione collettiva affidata a singoli specialisti, com'è avvenuto per la nuova Oxford History of Music, che col suo centinaio di autori pare il mantello di Arlecchino. Nonostante il valore di molti contributi, è impossibile discernerc un filo conduttore. La ricerca ha ucciso la Storia. L'orizzonte limitato di quelli che Croce chiamava «i raccattatori maniaci» non consente si affermi il senso di continuità dell' evoluzione musicale, essenziale — salvo errore — nella strutturazione di una storia. (L'inconveniente è brillantemente evitato nella Storia della Musica a cura della Società italiana di Musicologia, dove la trattazione dei vari periodi c distribuita in singoli volumi affidati ad un solo autore). * * E sì che oggi non sono aumentate a dismisura soltanto le notizie, ma anche le possibilità di ascolto e ciò consentirebbe condizioni privilegiate di lavoro quali il povero Ambros non poteva nemmeno immaginare. Lui era costretto •a: rendersi conto della maggior parte della musica attraverso faticose letture personali e decifrazioni di manoscritti, che escludevano il contatto col sound di una musica, condizione essenziale a garantire la freschezza d'impressioni personali dirette, sulle quali deve essere condotta una storia della musica che non voglia essere un cimitero o uno scatolone di notizie. In questo contatto col fatto musicale occorre allo storico una cattolicità che gli permetta di tutto comprendere, senza quelle frequenti castrazioni del gusto per cui a uno non piace Verdi, a un altro non piace Wagner, uno prova disgusto per Ciaicovski, un altro Brahms lo annoia. Se ne rendeva conto Diderot, che fece per molti anni il critico d'arte recensendo i Salons per la Correspondance littiraire di Grimm (il protettore del piccolo Mozart a Parigi). «Sapete, amico mio, cosa ci vorrebbe per descrivere un salon come piace a me e come piace a voi? Ogni sorta di gusto, un cuore sensibile a tutti gli incanti, un'anima capace di un'infinità d'entusiasmi diversi, una varietà di stile che corrispondesse alla varietà dei pennelli: poter essere grande o voluttuoso con Desbays, semplice e vero con Chardin, delicato con Vien, patetico con Greuze, produrre tutte le illusioni possibili con Vernet». Chi si proponga di raccontare la storia della musica s' imbatte subito nel solito dilemma: storia per monografie o storia generale? generi e forme o autori? Nella storia della musica generi e forme hanno, con buona pace di Croce, un'importanza, una concretezza che la storia dell' arte, per sua fortuna, non conosce. Chi si preoccuperebbe di distinguere la storia della natura morta da quella del nudo, del ritratto o del paesaggio? Oppure, badando agli aspetti tècnici, la storia dell' affresco da quella della pittura ad olio o dell'acquerello? Mentre nell'architettura, che alla musica per tanti versi s' accosta, non sarebbe poi tanto infondato tenere distinta la storia delle chiese da quella dei teatri, dei castelli, delle stazioni ferroviarie e delle fabbriche. La storia di stili e forme funziona benissimo finché si tratti di autori «minori», possibilmente circoscritti nella pratica di un solo genere d' arte. La storia del melodramma o quella dei violinisti del Settecento procede d'incanto. 1 guai cominciano quando due o più storie s'incontrano nel medesimo artista. Può succedere allora l'assurdità che si riscontra nei vetusti programmi ministeriali per 1' insegnamento della storia della musica nei Conservatori, dove essendo pertinacemente distinte musica vocale e musica strumentale, si dovrebbe condurre l'alunno nella storia dell'opera fino a Debussy, o magari a Strawinsky e a Bcrg, e poi rituffarlo indietro di tre secoli a Frescobaldi e agli inizi della musica strumentale. Le cose si complicano quando ci si imbatte nei sommi, magari gente che le forme e gli stili del suo tempo li ha praticati tutti, come Mozart, c perciò in una storia per forme e per generi richiede un posto in ogni capitolo, risultando così dilacerato in varie sedi, come accade nella citata Oxford History of Music. Personaggi ingombranti come Beethoven e Bach sfondano con la loro personalità gigantesca la trama ben tessuta della storia dei generi e delle forme. Quando e dove interrompere il criterio della storia generale per premere il pedale della storia monografica? La sola risposta è che non c'è risposta. Non c'è regola universale. Ogni storico si comporta come crede, come gli suggeriscono le sue cognizioni e inclinazioni, ove si ammetta che nel lavoro dello storico debba trovar posto un fatto/e di vera e propria ispirazione. L'importante, e il difficile, è che nel fuoco delle gf grandi personalità attistiche vengano a confluire, come in un gomitolo, tutti i fili della storia di generi e stili, di solito quietamente dipanati nella trafila dei personaggi minori. Un ulteriore problema è quello della periodizzazionc, così grossolanamente ignorato nei citati programmi ministeriali. Ma la periodizzazionc va fatta all'interno della musica, cogliendo le cesure intrinseche del suo perenne fluire. Invece giunge ora in buona traduzione italiana una Storia della musica dal Medioevo ai giorni nostri a cura di Friedrich Blumc, nella benemerita collana Musica e Storia diretta da Piero Buscaroli e Paolo Isotta per Mondadori (pag. 80}, lire 45.000), dove i problemi della periodizzazione risultano addirittura esulcerati, anche a causa della disinvolta semplificazione usata nel titolo italiano. Quello originale, di tedesca e onesta pignoleria, suonava: Epoche della Storia della Musica in singole trattazioni con una prefazione di Friedrich Blume. Si tratta infatti delle «voci» complessive della grande enciclopedia MGG (Die Musik in Geschichte und Gegenwart) fondata e diretta appunto dal Blume (1893-1975). * * Per ragioni un po' misteriose la Storia in questione salta tutto il primo millennio cristiano col canto gregoriano, ambrosiano e bizantino. Si comincia con due capitoli, Ars antiqua e Ars nova, dovuti al grandissimo Hugo Bcsseler (1900-1969), autore di studi fondamentali sulla musica del Medioevo e del Rinascimento, editore magistrale dell'opera omnia di Guillaume Dufay. Ars antiqua e Ars nova sono indicazioni specifica¬ mente musicali. Indicano rispettivamente il primo coagularsi, nei secoli XII e XIII, delle melodie gregoriane in rozze forme di contrappunto, e il loro susseguente fiorire in un'acerba primavera nel Trecento. Qui sopra non ci piove, e l'esposizione procede a meraviglia. Ma quando Hans Albrccht (1902-1961) attacca con U Umanesimo e soprattutto quando il Blumc inforca il cavallo pazzo del Barocco, del Classico e del Romanticismo, allora l'indebita sostituzione della periodizzazionc cronologica con criteri culturali e stilistici dedotti da altre arti produce un così spaventoso intasamento d'equivoci e di pseudoconcetti, che lo stesso curatore e promotore dell'edizione italiana, Paolo Isotta, deve intervenire con una delle sue famose messe a punto che lo rendono temibilissimo fra gli editori di testi altrui. «Mentre nelle arti figurative e in letteratura il punto di riferimento è l'Antico (l'antichità " classica", appunto), visto come ideale creativo e metro di perfezione, in musica lo "stile classico" (culminante nell'opera di Haydn, Mozart e Beethoven) non si volge ad alcun passato al cui esempio tenti di ridar vita, ma è esso stesso esempio, norma creatrice e metro di perfezione». Perfetto, ma la stessa censura si dovrebbe adottare verso lo stolido abuso di altri termini estranei alla musica, come barocco invece di «stile concertante» (contrapposto al susseguente stile sonatistico o sinfonico, che sarebbe il suddetto "classico"), o di Generalbass-Zeitalter, come lo chiamava pertinentemente il gtande Hugo Ritmami. — Troppa grazia, Sant'Antonio! — vien fatto d'esclamare a chi lungo tutta la vita si è battuto, sulla scia d'un grande maestro pragmatico come Guido M. Gatti, per ricondurre la musica entro la circolazione universale della cultura. Si voleva semplicemente metterla in contatto con le vicende contemporanee del pensiero e dello stile nelle altre arti, non che ne venisse assoggettata e stravolta. Ferma restando la necessità d'una trattazione interna dei fenomeni musicali che si producono nelle singole epoche, compito del resto che il Blume svolge da gran maestro non appena smette di delirare nei contorcimenti di «classico-romantico», «primo classico», «classico pieno», «primo romanticismo», «tardo romanticismo», e imprende invece la descrizione di ciò che avviene nell'armonia, nella melodia, nel ritmo, nello strumentale, nelle strutture, insomma, nella matetia stessa della musica, inconfrontabile, se non per dilettantesche metafore descrittive, con le altre arti. Massimo Mila Ludwig vun Beethoven in una caricatura di lavine (Copyright. N.Y. Revlew ol Bonks. Oi>era Mundi e per l'Italia -La Stampa*!

Luoghi citati: Italia, Oxford, Parigi