Francoforte, pianeta affari di Mario Ciriello
Francoforte, pianeta affari UN NUOVO VOLTO E UN NUOVO RUOLO PER LA MANHATTAN TEDESCA Francoforte, pianeta affari Quella che Goethe chiamò la «capitale segreta» della Germania, culla dell'impero dei Rothschild, non è dinamica come Londra e New York, ma resta l'anima finanziaria del Paese - Ora investe capitali imponenti per guarire gli sfregi d'una ricostruzione selvaggia, dopo le distruzioni della guerra - Nel 1990 avrà trenta musei, più d'ogni altra città della Repubblica federale DAL NOSTRO INVIATO FRANCOFORTE — In queste gelide, ma cristalline, serate di gennaio, il Rómerberg è veramente un palcoscenico. Le case del XV e XVI secolo, con i loro tetti a punta e le facciate policrome, fanno cerchio, vezzose, attorno al selciato dell'antica piazza, come in un'opera di Zeffirelli. E' il cuore storico di Francoforte, un cuore che è il simbolo dei tentativi di riannodare la città al suo passato. Un passato che, come tanti altri tesori germanici, scomparve nell'uragano nazista, nella catastrofe militare. Francoforte è, oggi, ricca e dinamica, è il centro finanziario della Repubblica Federale: ma vuole essere qualcosa di più. Francoforte era bella. Il suo figlio più illustre, Johann Wolfgang Von Goethe, che sempre l'amò e sempre vi tornò, la chiamava la «capitale segreta» di una Germania allora frammentata. Ma il suo volto fu distrutto dai bombardamenti alleati, e con il volto, parte dello spirito. Nel disastro, fu però fortunata, certo più di altre città. Non divenne la capitale della Germania democratica soltanto perché il cancelliere Adenauer riusci a far prevalere, nella scelta, il suo adorato ■villaggio», Bonn: tuttavia, la nuova geografia della nazione divisa le offrì un nuovo ruolo. Quello che aveva avuto Berlino, adesso isolata. Il ruolo di City, all'inglese. Francoforte era già stata al proscenio del mondo finanziario, per quasi quattro secoli. Bastano due nomi: Bethmann e Rothschild. Fu nella vecchia Judengasse, nel ghetto, che Meyer Amscheì Rothschild creò, nel Settecento, quell'attività e quella famiglia che, come ha scritto un biografo, «foggiarono uno degli imperi più duraturi della storia». Fu dalla Judengasse che partirono per tutta Europa i suoi cinque straordinari figli, «die funf Frankfurter». (Oggi, tra nazismo e bombe, non c'è rimasto nulla di questa dinastia. Soltanto un parco Rothschild e pochi documenti, ingialliti, negli archivi). Ma, con l'unificazione della Germania, il primato di Berlino divenne irresistibile: e tale rimase, fino al '45, fino all'hanno zero-. Poi, come per un fenomeno naturale, le banche cominciarono a grai>itare verso Francoforte, e con le banche numerosi pianeti di quella die potremmo definire la costellazione degli affari. Presto, già negli Anni Cinquanta, Francoforte, divenuta frattanto il principale nodo di comunicazioni, ferroviarie e aeree della Repubblica Federale, ospitava i più importanti mercati tedeschi dei capitali. Da allora, da quei giorni lontani, la crescita è stata continua, sulla cresta di un inarco assurto al rango di seconda moneta internazionale di riserva, dopo il dollaro. In questa Germania, tutta decentrata, senza più un'unica metropoli dominante, il denaro, the big money, è a Francoforte. Grattacieli E Io si vede. Ha ragione chi, con un gioco di parole, trasforma il nome della città da Frankfurt am Mairi, Francoforte sul Meno, in Mainhottan. Audaci grattacieli modellano il nuovo volto della metropoli: e sono i grattacieli delle banche, ultimi, appena completati, quelli della Deutsche Bank, il massimo istituto tedesco, due torri altere ed eleganti. Ne hanno percorsa di strada, queste banche. Soltanto nel '57, le tre Grossbanken — Deutsche. Dresdner e Commcrzbank — riuscirono a pareggiare i propri bilanci. E soltanto nel '67, queste banche, che per due volte in un secolo avevano perso tutti i loro beni all'estero, si riaffacciarono oltre il Reno. Fu la Dresdner Bank a compiere il primo esitante passo. Con una filiale. In Lussemburgo. Oggi, ricche e robuste, le boriche attendono il futuro senza troppe ansie. I tempestosi eventi degli ultimi anni (recessione, debiti esteri, il crack della Hcrstatt, gli errati investimenti di molti istituti, ecc.) hanno inflitto al sistema tensioni acutissime, ma ne hanno accresciuto l'esperienza e la saggezza. Tanto che all'estero, accoppiando tali doti alla gagliardia del marco, si esagera, troppo spesso, l'importama di Francoforte sulla scena internazionale. Ed è un punto su cui occorre sostare. Come si continua a l'edere nella Germania, la terza economia mondiale, una potenziale 'locomotiva- per l'Europa, ruolo superato, in quanto tale forza dipende adesso in misura eccezionale dalle esportazioni, così si attribuiscono a Francoforte poteri che non può avere. «Non è Londra, non è New York, non è Singapore-, spiega un banchiere, con lunga dimestichezza di questa e altre piazze «né può esserlo. La Germania concede la massima liberta in campo finanziarlo, ma serba certi controlli sui prestiti dati all'estero. In marchi, ovvia¬ mente. Tutti questi prestiti devono essere autorizzati da un comitato delle autorità monetarie». Perché? Si vuole mantenere un controllo sulla liquidità interna. Si teme tutto ciò (come l'Ecu) die, in teoria, secondo i tedeschi, può essere «portatore di inflazione». Si teme il rischio. E' l'opposto della City di Londra, che resta il menato più internazionale. Quindi, aggiunge il nostru interlocutore, «Francoforte e un mercato principalmente per le iniziative commerciali interne». Non l'i attingono tanto gli stranieri, quanto i tedeschi. Molti hanno scritto che, per comprendere questa Germania post-'45, bisogna sempre ricordare il suo terrore dell'inflazione, la sua brama di sicurezza, di solidità, di linearità. «I capitali qui sono abbondanti, ma sempre cauti. Ogni marco è importante per il tedesco.. l'i sono, così, tutte le premesse per un 'economia sana e muscolosa, ma non per un emporio finanziario mondiale, c neppure europeo. La prudenza e tanto maggiore in quanto non sono mancate le batoste. Le banche, che sono qui •universali-, ovvero possono fare tutto e offrire qualsiasi servizio. hanno peccato di avventatezza, in passato. La Bankhaus Hcrstatt abbracciò con troppo slancio le operazioni in valuta estera: e crollò, creando una vastissima crisi di liquidità. Speculazioni non dissimili sono costate alla grande Westdeutsclie' Lundesbank centinaia dì milioni di marchi, mentre speculazioni in proprietà immobiliari hanno inflitto alla Hessischc Landesbank perdite ancora più imponenti. Previsioni sbagliate, nella concessione di crediti, hanno scottato anche banche superprovette, quali le Grossbanken Commerzbank e Dresdner. E tutti conoscono le ansie accese dai prestiti alla Polonia. Chi spreca? Purtroppo, nella sua crescita vigorosa, nella sua rinascita. Francoforte non è riuscita a ritrovare tutta la sua personalità. La sua venustà fu infranta dalle bombe alleate, ma la ricostruzione non fu meno impietosa. Ciò che non avevano distrutto gli aerei, distrussero architetti e imprenditori. La fenice è brutta. Il suo caso non e certo unico in Germania, ma è forse il più vistoso. Anche le bruttezze variano. talune ispirano affetto, persino simpatia: ma Francoforte è proprio senz'anima. La salva solo la presenza del grande fiume, il Meno. Ironici, gli abitanti chiamano la loro città Krankfurt, o Furt malata. Una malattia non soltanto estetica, poiché nessuno può ignorare l'effetto dell'ambiente sullo spirito. Francoforte è però fortunata. Ha un sindaco — Walter Wallmann, 51 anni, democristiano — convinto die i deveri di un'amministrazione municipale «vadano oltre i benefici sociali, i trasporti e gli asili per gli anziani». Un governo locale «ha anche l'obbligo d'instillare atmosfera in una città.». Le ultime esitazioni di Wallmann scomparvero dopo una visita a Varsavia: «Domandai ai leaders perché avessero deciso di ricostruire la vecchia Varsavia. Mi guardarono stupefatti. Come se avessi detto un'eresia. A loro giudizio, era più che logico che si preservasse la continuità storica di un abitato. Visualizzare il passato è il modo migliore per trasmettere a una popolazione il retaggio storico della sua citta». E così, tre anni orsono. le dita dei chirurghi si posarono sul volto di Francoforte. Da allora, molto, moltissimo è stato fatto. Si è rinnovato il Teatro dell'Opera: si sono restaurate sette delle antiche case nel Ròmerberg, la deliziosa piazza, dominata da Zum Rómer, il palazzo cinquecentesco che ospita il Comune: si sono inaugurati giardini e parchi; si è convertito il centro in area pedonale; e si è avviata la costruzione di dodici nuovi musei. Quattro sono pronti, fra i quali uno di storia ebraica: nel 1990, quando tutti e dodici saranno finiti. Francoforte avrà 30 musei, più di ogni altra città tedesca. Francoforte non è certo più bella: ci vuole ben altro per riparare trentacinque anni di sfregi. C'è anzi chi considera inutili tutte queste spese, voluminose e crescenti (l'investimento totale non dovrebbe essere inferiore ai 10 mila miliardi di lire), c'è chi protesta: «Perché questo spreco per togliere soltanto qualche ruga, per una modesta cosmesi?». Afa i più hanno accettato il disegno del sindaco Wallmann. Lo hanno accettato perché si rendono conto che banche, industrie, prosperità non bastano. Quelle poche pennellate di leggiadria, di eleganza sono le prime arcate di un ponte con il passato. Le prime vittorie contro un grigiore che pareva una condanna senza appello. Mario Ciriello Francoforte. Il Teatro dell'Opera, distrutto dai bombardamenti alleati e ricostruito quasi quarant'anni dopo la fine della guerra
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