Il sopruso dei nomi

Il sopruso dei nomi CITTA' E PAESI RIBATTEZZATI Il sopruso dei nomi Gli abitanti (27 famiglie in tutto) di Pidocchio, frazione di Casal Maggiore, in provincia di Cremona, hanno chiesto che il nome della località venga cambiato in quello di Osteria Nuova. Tale proposta è stata adottata da una delibera del Comune da cui la frazione dipende; resta ora da attendere che essa sia accolta e resa operante dal ministero dell'Interno. Auguriamoci che la faccenda si risolva in senso positivo; deve essere davvero fastidioso sentirsi chiamare pidocchiosi o essere oggetto di chissà quali e quanti scherzi verbali, tutti basati su quei fastidiosi parassiti. La proposta di mutare Pidocchio in Osteria Nuova va dunque appoggiata, dato che si tratta di uno dei rarissimi casi in cui il cambiamento di nome di una località, grande o piccola che sia, risponde a esigenze comprensibili. Non altrettanto si può dire di altri episodi analoghi, uno dei quali concerne una piccola località della costa abruzzese, in provincia di Teramo. Quest'ultima si chiamava, da tempi immemorabili, Rosburgo; ma nel 1914 il vetusto nome divenne insopportabile agli abitanti per i suoi connotati teutonici e, soprattutto, alla luce di ciò che era accaduto nell'Impero Russo. Ivi, la capitale Pietroburgo, non appena scoppiata la guerra con la Germania, era stata il teatro di violente dimostrazioni popolari, che oltre a saccheggiare la sede dell'ambasciata tedesca (gettando dalle finestre le preziose raccolte d'arte dell'ambasciatore, il Conte Friedrich von Pourtalès) avevano chiesto ad alta voce che la desinenza in burg venisse sostituita da quella, squisitamente slava, di grad, che significa città. Pietroburgo divenne così Pietrogrado, impressionando alcuni cervelli di Rosburgo, che proposero (in tutta serietà) di chiamare la loro cittadina Rosgrado. Fu solo nel 1927 che si addivenne ad,uri. cprnpromesso, con l'invenzione di Roseto; e la località si chiama oggi Roselo degli Abruzzi. * * Non c'è male per quella che è divenuta una piacevole spiaggia estiva; meno felice (e del tutto ingiustificata) è stata invece la tramutazione onomastica subita, non molti anni fa, da un paese della provincia di Rieti, che rispondeva al nome, pittoresco, sonoro, misterioso, di Borgocollefègato. Oggi il paese viene chiamato Borgorose; nome banale quanto altri mai, e che ha vanificato quella specialissima suspense che, avvicinandosi al luogo dal bizzarro appellativo, spingeva ogni volta a identificare il borgo, il colle e, in modo lancinante, il fegato (tutti interrogativi che restavano senza risposta). Comprensibile invece che Cometa sia divenuta Tarquinia (1922); anche in questo caso scherzi grossolani non dovevano mancare agli abitanti che, come gran parte degli Italiani, sono molto sensibili all'insinuazione di portare sul capo le due malfamate e aguzze formazioni di ossa e cheratina. Ma nel caso di Corncto Tarquinia viene il sospetto che abbia giocato anche quella ricerca genealogica in chiave romana e persino etrusca, quella spinta cioè retorica per cui Borgo San Donnino è divenuto Fidenza, cancellando cosi secoli e secoli di storia, cultura e arte. A tale proposito mi sono sempre chiesto come mai il nome di Lilibeo non sia stato riesumato per annullare quello, attuale, di Marsala; quest'ultima denominazione proviene da Marsa Ali, il Porto dì Ali (se non da Marsa Allah, il Porto di Allah) con cui la città venne ribattezzata quando gli Arabi ne fecero il punto di congiunzione tra Sicilia e Africa musulmana. Ma forse a impedire l'atto di retorica in chiave classica implicito nel ritorno al vecchio nome di Liibeo è stata un'altra varietà di retorica nostrana, quella risorgimentale, gtazie allo sbarco a Marsala nel 1860 di Giuseppe Garibaldi. Scherzi a parte, il ribattezzare una citta con un nuovo nome è sempre un fatto deplorevole, e non parliamo poi quando il processo viene messo in moto dal desiderio di onorare un cittadino del luogo, secondo un vero e proprio atto di violenza e di sopraffazione (come quello che impone alla stragrande maggioranza di far parte di una sorta di confraternita celebrativa, il cui ruolo è di evocare l'eponimo in ogni momento della vita quotidiana). Esempio sommamente deplorevole accadde nel 1931 quando Pausula (Macerata) divenne Corridonia, per onorare Filippo Corridoni, un sindacalista che da violentemente antimilitarista prima, passò poi all'interventismo (mori nel 1915 sul Carso), secondo una parabola trasformista che ricorda quella di un altro rivoluzionario finito nei ranghi, Benito Mussolini. Curiosamente, la piccola città non ha avuto pace onomastica da quasi un secolo, visto che sino alla metà dell'Ottocento si chiamava Monte d'Olmo. Che poi il ribattezzare un centro abitato risponda a principi di opprimente sopruso autoritario lo indicano gli esempi dell'età antica. L'imperatore Adriano nell'anno 132, dopo aver raso al suolo Gerusalemme (e fu una distruzione molto più accurata di quella di Tito) la ribattezzò Aelia Capitolina; da parte sua Co-" scantino il Grande' (inventóre di quel tipo di Stato che oggi viene definito totalitario) ingrandita e abbellita Bisanzio volle chiamarla Costantinopoli, la stessa che in russo viene appellata Zarograd, la città degli Zar (o dei Cesari). Ma è in Russia che la mania di cambiare i nomi ha fatto furore, con esiti spesso sconcertanti. Cominciarono con Pietrogrado, che dopo la morte di Lenin diventò, nel 1924, Leningrado; poi innumerevoli città, grandi e piccole, furono designate con appellativi che indicavano grandi rivoluzionari nati sul luogo o che ivi erano stati operosi. Così, nel 1932 l'antichissima Nini Novgorod divenne Gorkij, e nello stesso anno Tver fu tramutata in Kalinin,, quando già nel 1924 Ekaterinburg era diventata Sverdlovsk. Il caso più singolare è quello di Zarizin, nel 1925 promossa a Stalingrado, e infine, dopo il 1961, Volgograd (si sente però dire che c'è una forte spinta a ritornai al nome che glorificava Stalin). Nei Paesi del Socialismo reale (o di Democrazia popolare) il vezzo ha ripreso in pieno: dal 1953, nella Germania Democratica, Chemnitz è KarlMarx-Stadt, mentte nella Repubblica Federale Jugoslava, il centro montenegrino di Podgorizza è Titograd (ma in quest'ultimo caso c'è una qualche giustificazione, per il quasi totale annientamento del vecchio abitato tra il 1941 e il 1945/ Da noi, in Italia, a parte gli insensati interventi sul tipo di Corridonia e di Fidenza, siamo rimasti al livello di Pidocchio, ansiosa di diventare Osteria Nuova. Ma abbiamo un'altra forma di sopruso, che è quella di cambiare i nomi di piazze e strade. Si potrebbe scrivere un bel volume sulla corruzione della toponomastica (spesso ammirevole e spesso antica di secoli e secoli), costretta ad abbandonare designazioni tradizionali in prò dei Cavour, dei Garibaldi, dell'lndipendcnza e della Libertà (per non dire di certe consacrazioni a fatti della storia più recente): tutte permute e innovazioni di lodevole assunto, ma che si sarebbero potute evitare attribuendo quei nomi a quartieri di recente costruzione. * * E invece si è giunti a un vertice del comico, col cambiare, a Roma, il Piazzale Romolo e Remo in Piazzale Ugo Im Malfa; senza accorgersi che, davanti agli avanzi del Palazzo Imperiale di Augusto e successori, il garrulo leader del Partito Ripubblicano non viene esaltato né glorificato, bensì diminuito e, diciamolo pure, ridicolizzato. Il fatto è che le masse non sembrano nemmeno accorgersi di questa frenesia di retorica onomastica: in Russia, Leningrado è ancora chiamata familiarmente Peter, mentre a Roma tutti sanno dove sia piazza dell'Esedra, pochissimi la identificano con Piazza della Repubblica. Federico Zeri