Natura morta come grande spettacolo

Natura morta come grande spettacolo NAPOLI: UNA SFILATA DI CINQUANTA OPERE COMPLETA LA MOSTRA SUL '600 Natura morta come grande spettacolo NAPOLI — La grande rassegna del '600 si è completata in tutto il suo arco con l'apertura a Villa Pignatelli, fino al 14 aprile, della sfilata di una cinquantina di Nature morte, dai capostipiti Giacomo Rocco e Luca Forte, attivi nella prima metà del secolo, ad Andrea Belvedere, nato proprio a metà secolo e attivo come «fiorante» fra Napoli e Madrid fino al 1700, prima di diventare esponente del teatro comico napoletano «moralizzato». A differenza di altre nazioni, dai Paesi Bassi, cittadella della borghesia protestante gran consumatrice di «pittura minore», alla Spagna, che impronta la nuda magia simbolica della sua pittura d'oggetti all'austerità del costume cattolico, ai fasti francesi di Luigi XIV, la vocazione aulica del Barocco italiano ha in un certo senso storicamente «ghettizzato» questo grande fenomeno internazionale del '600, dopo gli altissimi esordi intorno al Caravaggio; il quale dichiarava che • tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiorì come di figure». Alla fine del '700, il fondatore della storia delle scuole pittoriche italiane, l'abate Lanzi, già constatava: tMolti erano allora pittori di fiori e di frutte per tutta Italia; ma osservo che i lor nomi son iti per la maggior parte in dimenticanza; o se si leggon ne' libri, se ne ignoran l'opera». Vi fu però una splendida eccezione, appunto Napoli, dove la committenza locale senza prevenzioni, e certo anche una più profonda consonanza fra l'amor locale per il più Ìntimo e denso succo della realtà e questo specifico genere di pittura, dà ragione del susseguirsi di generazioni di specialisti, come i Recco e i Ruoppolo, e non trova per nulla disdicevole, ad esempio, la collaborazione fra un Luca Giordano e un Giuseppe Recco, di cui sono imponente esempio le due tele in mostra, di collezione privata, con una Pescherìa e una Cucina, separate da un decennio (1668 e 167...). Nell'ultimo trentennio, gli studi, ma anche, al di là di essi, l'amore, soprattutto di Raffaello Causa e Ferdinando Bologna hanno portato ampia luce su questa ricchissima area. Per rendersi conto di questo arricchimento e progresso, è sufficiente confrontare, al di là della qualità delle opere e delle presenze, l'entità numerica di questo quadro napoletano con le 46 opere (su 1054) che rappresentavano tutta la natura morta italiana alla colossale rassegna nazionale del '600 e del '700 a Palazzo Pitti nel 1922. A quella data, ad esempio, i •fondatori» ricordati, Giacomo Rocco e Luca Forte, e anche il primo seguace. Paolo Porpora, rientravano in pieno nella casistica dell'abbate Lanzi: erano puri nomi, affidati alle carte del biografo settecentesco De Dominici e agli studi sugli inventari di collezioni degli archivisti ottocenteschi. Oggi, all'inizio della mostra, le 4 opere di Recco e le ben 7 riferite a Forte (fra cui la fondamentale della Galleria Corsini di Roma, siglata con il gioco dei tralci di vite e identificata giustamente da Causa solo nel 1958) rappresentano le radici prime della natura morta napoletana; quella preziosamente e ornatamente transalpina e quella direttamente improntata, tramite l'ambiente romano del primi decenni del secolo («casa Crescenzi»), alla grande, flagrante realtà caravaggesca, intessuta di concretezza cromatica e di lume radente sull'ombra fonda. Tra i Fiori di Giacomo Recco, emergenti da lussuosissimi, intricati vasi ancora manieristici, spicca la stupenda tela già sul mercato antiquario torinese e poi finita da Lorenzelll a Bergamo. Quanto a Luca Forte, figurano In mostra un'opera presumibilmente iniziale, testé scoperta dal Bologna e che certo conta fra le più alte risultanze della natura morta caravaggesca; e una copia anch'essa inedi¬ ta, di collezione privata fiorentina, per cui si affaccia la solleticante ipotesi che lo sfondo, stranamente divergente dall'impianto spaziale della frutta e fiori in primo plano, sia opera del Ribera, la cui identificazione come paesaggista è a sua volta recentissima. Il culmine della «forma» caravaggesca, ma già fulgente di materlsmo barocco, è rappresentato dalle 4 tele riferite al •Maestro di Palazzo San Gervasio». cosi detto dal suo sontuoso capolavoro, conservato nel Municipio del paese lucano di quel nome. Si apre cosi la strada al napoletanoromano Paolo Porpora, di fortuna anche accademica nella capitale del Barocco (presente con 6 opere), alle sue lussureggianti cascate di fiori e frutta, all'umoroso mistero dei suoi «sottoboschi» popolati di animali di palude o esotici. Fra questi compare per la prima volta in Italia il capolavoro già Wertheimer donato al Louvre nel 1970. Il visitatore potrà ritrovare 11 suo parallelo, facente parte del patrimonio di Capodimonte, nella sezione aggiuntiva e di studio alla mostra del '600, aperta al secondo plano della reggia: è la medesima ragione per cui a Villa Pignatelli non compaiono opere dell'ultimo del Brueghel, Abraham, «napoletanizzato» nella seconda metà del secolo e ben presente in quella sezione. A questo punto esplode il grande spettacolo del Recco, Giuseppe, dominante anche in opere, ben 13, e Giovati Battista, con le sue livide, drammatiche Cucine di ascendenza caravaggesca e spagnola: e dei Ruoppolo. anch'essi, con iterazione quasi simbolica. Giuseppe e Giovan Battista, con un intrico quindi di sigle che ha dato molto da fare agli studiosi. E' uno spettacolo nello stesso tempo travolgente e singolare, giocato quale è sul: la «volgarità» dell'oggettosoggetto, dal carnai di pesci di Giuseppe Recco ai cumuli di frutta e verdura di Glovan Battista Ruoppolo. espressa con regale fasto pittorico. Mi permetto qui un solo appunto di carattere personale: 11 non aver tenuto conto di una mia annotazione nella Storia dell'Arte Einaudi non ha permesso di affiancare in mostra i Pesci, datati 1691, di Giuseppe Recco all'esposto Anatre e fiori di Andrea Belvedere, entrambi commissionati dal Gran Principe Ferdinando de' Medici ed entrambi conservati a Pitti. Ciò ha impedito, sia di documentare la fortuna italiana della natura morta napoletana, sia di sottolineare a fianco a fianco il passaggio della sontuosità di materia e di lume dello spettacolo barocco alla spumosa levità già presettecentesca, francesizzante, della siicele di giardino d'Armida, con tanto di vaso molto «Versailles», del Belvedere. Il quale, ultimo fra 1 grandi maestri, giunge al vertice nel misterioso fascino, metafisico e naturalistico insieme, della coppia di fiori in bottiglia, finora noti solo agli specialisti del delizioso piccolo Musco Correale di Sorrento. Marco Rosei Paolo Porpora: «Natura morta con pappagallo, frutta e fiorì» (Napoli, Musco di Capodimontc, pari.)