La Faranda racconta al processo «Così tentai di salvare Moro» di Giuseppe Zaccaria

La Faranda racconta al processo «Così tentai di salvare Moro» Con Morucci propose alle Br di liberare il presidente de all'estero La Faranda racconta al processo «Così tentai di salvare Moro» Interrogata dalla parte civile, non ha saputo ricordare la via di un covo: «Sono molto stanca» ROMA — « L'appuntamento era in una piazza romana: uno dell'esecutivo Br ci disse che era stata decisa l'uccisione di Moro. Per tentar di cambiare quel verdetto di aggrappammo a qualsiasi argomento, ad ogni idea: proponemmo perfino che il prigioniero venisse liberato in cambio dell'impegno ad abbandonare l'Italia e a non farvi più ritorno Sempre più tesa, Adriana Faranda continua dinanzi al giudici d'appello il suo viaggio a ritroso negli anni di piombo. Fa una fatica enorme, dice, a calarsi di nuovo nella logica di allora: ma a tratti, nonostante gli estemporanei interventi del presidente, dal racconto emergono dettagli inediti, prospettive che nessuno ancora era stato capace di proporre. I racconti dalla ragazza stanno alle confessioni dei ■.pentiti» come un atlante ad un elenco telefonico: dove i Peci, i Savasta, i Viscardi elencavano episodi e nomi, la Faranda inquadra, ricostruisce, spiega. Al termine del lungo monologo, sulle domande di Fausto Tarsltano, difensore di parte civile, sembra sorgere anche un piccolo ..giallo». C'è una casa, all'Ostiense, che Adriana Faranda e Valerio Morucci abitarono per un breve periodo dopo l'uscita dalle Brigate rosse. Fino ad oggi non se n'era mal parlato: ma era solo un ricovero, non un «covo». L'altro ieri, il lungo racconto si era interrotto alla prima fase del sequestro Moro, alle lettere del prigioniero, mai stordito dalle droghe, mai costretto a scrivere, ma sempre più avvilito. 'Forse alle Brigate rosse — riprende adesso la donna — avrebbero accettato la mediazione della Croce Rossa Internazionale: ma solo perché questo avrebbe significato un riconoscimento, l'ammissione dell'esistenza in Italia di un movimento di lotta armata». L'ultimo tentativo di modificare una situazione che ormai stava volgendo al peggio, continua, consisté nei contatti del terroristi con la famiglia di Moro. •Moriteci ed io telefonammo al prof. Tritio dalla stazione Termini: chiedevamo che la famiglia, intervenendo presso la de, ottenesse finalmente dal partito una dichiarazione non equivoca. Le Br davano per scontato che il tentativo sarebbe stato poco efficace, ma a sollecitarlo era stato lo stesso Moro». In risposta, continua, giunsero ^segnali debolissimi»: una nuova visita di Fanfani alla signora Moro, una cauta dichiarazione di Bartolomei, presidente del senatori de. Troppo poco: almeno per un'organizzazione che, come le Br, a quel punto considerava l'assassinio dell'ostaggio una conclusione inevitabile, quasi un atto dovuto. .Morucci ed io — spiega Adriana Faranda — giudicavamo l'assassinio come un fatto politicamente sbagliato, completamente staccato dai veri interessi, dai veri problemi del "Movimento". Era nitidissima la percezione dell'effetto che quella decisione avrebbe avuto. Nel primo comunicato, le Br avevano avvertito che qualsiasi ritorsione contro i compagni detenuti sarebbe stata considerata " atto di guerra". In qualche modo, si erano richiamate alla convenzione di Ginevra. Poi, cinquanta giorni dopo, decidevano di eliminare una persona che era anch 'essa prigioniera e in condizioni di assoluta debolezza. Ma non era solo un problema politico: in noi, si verificava anche una lacerazione umana. In qualsiasi guerra, la vita umana finisce con l'assumere un valore relativo, ma questa distinzione razionale poi non corrisponde alle reazioni emotive, ai sentimenti...'. Olà: ma per l'emotività, in quella stolida macchina da guerra che ormai rappresentava il vero volto delle Br, non c'era spazio. 'Anzi — continua la Faranda — credo che a questo punto si debba spiegare perché le Brigate rosse ritenevano necessario uccidere Moro». Il partito armato viveva quegli anni nell'ossessionante paura della ristrutturazione dello Stato capitalistico: la riconversione economica, politica, industriale. Anziché calarsi nel disagio sociale che questo processo creava, l'organizzazione aveva scelto la via del •rapporto di guerra», dello scontro armato, sempre più sanguinoso, sempre più determinato. -La spirale di una vite», è stata la definizione di Adriana Faranda. Probabilmente, ha aggiunto, questo era anche il risultato della vita che t terroristi più rappresentativi svolgevano da anni. L'effetto della clandestinità. Esaurita la lunga deposizione, sono iniziate le domande delle parti civili: e su quelle di Fausto Tarsitano si è Innestato anche un lungo battibecco fra difensori. Per il momento, resta il mistero di quell'appartamento all'Ostiense di cui la Faranda non ha voluto fornire l'indirizzo. • Sono molto stanca, credo stia venendo meno la mia capacità di concentrazione...», ha tagliato corto la donna. Giuseppe Zaccaria Roma. Adriana Faranda ieri durante una fase del processo

Luoghi citati: Ginevra, Italia, Roma