Tace la campana sandinista di Igor Man

Tace la campana sandinista IN NICARAGUA MENTRE SI APRE IL NUOVO PARLAMENTO Tace la campana sandinista Prima accolti trionfalmente come liberatori, i «rivoluzionari» ora monopolizzano la vita nazionale in senso marxista e minaccia. no di fare del Paese una nuova Cuba - Giovedì l'Assemblea nazionale terrà la prima riunione - I tre partiti d'opposizione daranno battaglia «per salvare la democrazia» - Ma non è ancora dittatura e Washington tende la mano alle «forze progressiste» DAL NOSTRO INVIATO DI RITORNO DA MANAOUA — Giovedì prossimo terrà la sua prima riunione l'Assemblea nazionale (il Parlamento) e fin da quel momento i tre partiti di opposizione — il Cristiano popolare, il Democratico conservatore, il Liberale indipendente —, che alle elezioni del 4 novembre hanno totalizzato 29 seggi (su 96), daranno battaglia «per salvare, attraverso la verifica della nuova Costituzione, la democrazia». La consultazione elettorale è stata più libera di guanto non si pensasse (l'hanno controllata 200 tecnici svedesi) siccliè l'improvvida autoesclusione dal voto del tre partiti della Coordinatora viene oggi considerata «un grave errore storico». Nonostante avessero in mano le leve dell'apparato, infatti, i sandinisti non sono andati oltre il 63 per cento dei suffragi. Ora, dunque, il problema è di sapere se il Nicaragua sandinista è definitivamente perduto per la democrazia o no; se diventerà, o no, una seconda Cuba. Certamente la rivolta contro Somoza è stata, in Nicaragua, più corale di quella contro Batista a Cuba. Durante 45 anni Somoza, terzo della funesta dinastia dopo il padre e il fratello, aveva schiacciato il Paese sotto il peso di una dittatura personale compradora e assassina. Contro la sua Guardia Nacional combattevano persino i bambini. La rivoluzione era nata nel nome di Augusto Cesar Sandino, l'uomo che negli Anni Trenta aveva guidato le sommossie dei campeslnos contro i «cotoni» statunitensi, talché a Washington furono subito chiare le connotazioni antiamericane del momento insurrezionale che nel suo inno — diventato dopo la vittoria l'inno nazionale — dichiara gli yanquls addirittura nemici dell'umanità. Ciò nonostante, turbato dalle atroci violazioni dei diritti umani commesse da Somoza, il presidente Carter bloccò ogni aiuto al regime, avviando il dialogo con la Giunta rivoluzionaria. La Casa Bianca non ignorava che le armi agli insorti giungevano da Cuba e che consiglieri cubani assistevano i sandinisti. Epperò nella rivoluzione erano confluite un po' tutte le forze sociali, anche la Chiesa faceva la sua parte. Infine Carter, al pari dell'Internazionale socialista, vedeva nella rivoluzione sandinista buone prospettive di uno sbocco democratico. Il programma della Giunta era basato su tre pilastri: pluralismo, non allineamento, economia mista. Cinque anni fa, il 19 luglio 1979, i sandinisti entravano a Managua e le chiese tutte sciolsero te loro campane «a gloria-. Ma appena un anno dopo cominciarono ad affiorare i primi, allarmanti sintomi di involuzione. Innanzitutto la crescente presenza cubana, poi la campagna di alfabetizzazione che puntava a politicizzare le masse in senso marxista, infine una riforma agraria che penalizzava anche i medi coltivatori senza, per altro, contentare del tutto i campeslnos. E finalmente la pretesa del Fronte sandinista di monopolizzare l'intera vita nazionale. «E' Ingiusto, scrissero i vescovi il 13 ottobre 1980, privilegiare qualsiasi Ideologia o classe sociale con la pretesa di essere 1 soli interpreti delle istanze popolari». A proposito del burrascoso viaggio di Giovanni Paolo li in America Centrale, il giornalista cattolico G. F. Svidercoschi osservava come fosse difficile stabilire in ordine prioritario le cause della involuzione del regime sandinista. Se cioè il sandinismo avesse già in sé i germi di una radicalizzazione in senso marxista o se tale fenomeno non fosse stato accelerato dal ritiro sull'Aventino dei rappresentanti di partiti vicini all'opposizione borghese. Se il graduale accostamento all'Unione Sovietica rientrasse realmente nella strategia dei dirigenti sandinisti oppure se non dipendesse dalla contemporanea pressione che, con l'ai>vento di Reagan, gli Stati Uniti presero ad esercitare sul Nicaragua paventando una *seconda Cuba-. Ma soprattutto occorre domandarsi, con Odavio Paz, poeta e saggista messicano, osservando la cartina di tornasole ch'è in effetto il Nicaragua: perché molti movimenti rivoluzionari all'origine risposta generosa a condizioni sociali ingiuste, intollerabili, si convertono in strumenti sovietici? Perché dopo il trionfo di marca democratico-riformista finiscono col riprodurre il modulo totalitario della dominazione burocratica? Secondo l'analisi di Grane Brlnton, dell'Università di Harvard, le rivoluzioni nel Terzo Mondo sembrano seguire tre passaggi obbligati. Subilo dopo tì[itrionfo vanno al potere i moaWkti. Successivamente i moderati, vittime della retorica rivoluzionaria, cadono e il Paese piomba nel caos. Infine, dopo una serie di convulsioni interne, i massimalisti si impadroniscono di tutte le leve del potere e instaurano la dittatura. In Nicaragua non è ancora dittatura ma sempre più va manifestandosi, di fronte al pericolo del caos e della effettiva aggressione dei contras, l'abituale tendenza dei rivoluzionari centroamericani a cercar rifugio e risposta alle problematiche d'ogni ordine nel 'Partito-, E questo perché 'il Partito- è la personificazione collettiva della ideologia. La prevalenza del politico sull'economico è una delle caratteristiche che distinguono l'imperialismo sovietico dalle potenti proiezioni libere-capitalistiche dell'Occidente. Ma il politico non unicamen- te coinè tattica e strategia bensì come una dimensione della ideologia. E la preminenza della ideologia spiega il fascino, la seduzione che ha sempre esercitato il sistema comunista sulle menti semplici e su quegli intellettuali cresciuti in Paesi doi>e le idee democratiche sono arrivate tardi e male. In America Latina e segnatamente in quella Centrale, le classi subalterne, contadini e operai tradizionalmente cattolici sono stati sempre refrattari al fascino del nuovo assolutismo totalitario: al contrario gli intellettuali e la piccola e. media borghesia, venuta meno l'antica fede incapace, ai loro occhi, di risposte concrete abbracciano il succedaneo ideologico consacrato dalla 'Scienza Marxista-. In grande maggioranza i dirigenti sandinisti appartengono alla classe medio-piccola vale a dire a quei gruppi sociali dove prolifera l'ideologia. Quasi tutti i compagni di Managua hanno studiato dai Gesuiti. C'è, poi, il grande equivoco della Teologia della Liberazione che porta non pochi sacerdoti (i il caso del Nicaragua che ha tre ecclesiasti¬ a ci-ministri, e in misura più ridotta del Salvador) a indiinduare nella rivoluzione ad oltranza il riscatto della «collera dei poveri-, a trovare nel messaggio del Cristo i presupposti del marxismo. (Ma codesto discorso ci porterebbe troppo lontano). Un diplomatico americano mi citava una dichiarazione del Segretario di Stato Shultz per smentire ogni intenzione aggressiva verso Managua degli Stati Uniti. Shultz ha detto: «Quel che noi vogliamo è allearci con le forze progressiste che operano in America Centrale per lo sviluppo economico e la democrazia. Noi non cerchiamo vicini deboli e influenzabili ma forti e indipendenti». Purtroppo è un fatto che il controllo diretto o indiretto esercitato dagli Stati Uniti sull'America Centrale, in cinquant'anni non è riuscito a provocare l'avvento di regimi «forti e democratici». Sono stati commessi molti errori senza dei quali oggi non si parlerebbe di «quarta frontiera» da difendere dall'infezione sovietica. Ma va detto come le rivolte, le agitazioni (si guardi al Costa Rica dove il sistema comincia a scricchiolare) che scuotono l'America Centrale non siano solo il risultalo della cospirazione russo-cubana-nlcaraguense, né delle macchinazioni del comunismo internazionale, come il Maggiore d'Aubuisson si ostina a ripetere. Codesti movimenti sono innanzitutto la conseguenza delle ingiustizie sociali, dell'assenza di libertà che prevalgono in molti Paesi dell'Istmo. I sovietici non hanno inventato il grande scontento: lo utilizzano cinicamente, cercano di «confiscarlo», come dice Octavio Paz, ai propri fini facendo leva sul nazionalismo, «la malattia Infantile dei popoli», secondo Einstein. Malauguratamente quasi sempre riescono a centrare i loro obiettivi. E a certi successi di Mosca ha spesso dato una mano la miopia politica dell'establishment americano. Epperò circa il «coso Nicaragua» anche gli spiriti più illuminati, i critici più aspri di Reagan riconoscono che «il sentiero s'è fatto stretto». Forse i sandinisti potevano essere recuperati, forse si è commesso con loro lo stesso quantitativo di errori che spinsero Castro nell'abbraccio gelido di Mosca ma oggi non è più stagione di illusioni, oggi i tempi della «Alleanza per 11 Progresso» di Kennedy sono terribilmente lontani. Di ritorno da Managua, questa città-deserto dai colori del Goya che sfiniscono in una bellezza tragica, è facile concludere che l'aspra partita russo-americana si giuoca non solo in Medio Oriente ma anche in America Centrale, in primo luogo nel Nicaragua, e nel Salvador. Quanti non approvano la politica della Casa Bianca ma al tempo stesso non possono accettare l'oltranzismo infantile di certi capi puerriplieri (se fosse vivo il «Che» li chiamerebbe controrivoluzionari) si domandano se sia ancora possibile salvare il Centroamerica dal meccanismo perverso che da oltre un secolo lo condanna a subire dittature di segno opposto. Contro chi sostiene che l'Internazionale socialista ha oramai bruciato gli ultimi suoi fuochi, ci ostiniamo a credere che l'Internazionale socialista e, soprattutto, l'Europa possono ancora svolgere un ruolo per fare uscire dal tunnel l'America Centrale. Ma è necessaria un'enorme volontà politica. Igor Man Managua. Reclute dell'esercito sandinista, armate con fucili AK 47 di fabbricazione sovietica, durante un'esercitazione