I «diritti» di Reder

I «diritti» di Reder I «diritti» di Reder ANDREA MANTELLA Dice l'art. 27 della Costituzione: «Le (iene devono tendere alla rieducazione del condannato». Il maggiore Walter Reder fu condannato all'ergastolo il 31 ottobre del 1951 dal Tribunale territoriale di Bologna per la strage che aveva commesso. Da quasi quarantanni, compresa la prigionia preventiva, è senza libertà, in un carcere militare. Se ancora stesse scontando una pena, vi sarebbe da chiedersi se la continuazione di questa carcerazione sia o no conforme alle finalità che la Costituzione assegna al nostro sistema di misure repressive. Non sarebbe questione di perdono o di grazia o di indulto: ma di semplice legittimità costituzionale della durata di una pena al di là di quegli scopi di «rieducazione» ai quali essa, in questo Stato, deve intrinsecamente tendere (e che, dopo quarantanni, per un uomo di settanta, devono, forse, presumersi oltre ogni pur dichiarato pentimento). Ma Reder non sta più, giuridicamente, scontando una pena. La sua espiazione è finita da tempo. Il 14 luglio 1980 il Tribunale militare territoriale di Bari gli ha concesso la liberazione condizionale e ne ha ordinato la «immediata scarcerazione». Subito dopo, però, con lo stesso provvedimento, ha disposto che Reder «sia trattenuto, nel suo interesse, quale internato, per un periodo di cinque anni, nello stabilimento militare in cui attualmente sì trova». I giudici militari concludevano il loro tormentato atto facendo «salva la prevista possibilità, da parte dell'Autorità governativa, di adottare provvedimenti in favore del prigioniero di guerra». Dunque, Reder sta, da allora, a Gaeta, c vi dovrebbe restare fino al prossimo 14 luglio: ma vi sta «nel suo interesse», a salvaguardia della sua incolumità fisica. Formalmente, è in libertà; ma, di fatto, la Repubblica italiana lo tiene ancora prigioniero, con la fictio iuris di curare il «suo interesse» come sentenziarono nel 1980 i magistrati di Bari (salvo a devolvere all'autorità politica un definitivo atto liberatorio). E', come si vede, una ben triste storia. In cui il referendum dei parenti delle vittime (il fronte del rifiuto del perdono contro l'appello dei parroci di quelle campagne) è stato un fatto politico fondato sulla memoria del dolore, ma senza alcuna attinenza con la paradossale condizione giuridica del Reder. Questi non ha più bisogno di clemenza perché ha scontato, secondo i giudici, la pena che doveva: anche se, da anni, ormai «libero», è tuttavia «internato» con la improbabile giustificazione che si è detto. E' tempo allora di ricordare che la Costituzione italiana è stata fatta anche con le parole e i pensieri degli innocenti di cui Reder fu carnefice a Marzabotto. E proprio per questo — al di là e al di sopra de) rito cristiano del perdono e di quello pagano della vendetta — lo spirito oggettivo della Costituzione, le sue garanzie devono essere rispettate, contro ogni calcolo politico, anche e soprattutto nei confronti di uno come Reder: il cui primo delitto fu appunto quello di credere che la ragion politica del nazismo fosse più forte delle regole comuni del diritto delle genti.

Persone citate: Andrea Mantella, Reder, Reder Andrea, Walter Reder

Luoghi citati: Bari, Bologna, Gaeta, Marzabotto