Profeta del passato

Profeta del passato TORNA «IL PAPA» DI DE MAISTRE Profeta del passato Il centenario della morte di Giuseppe De Maistrc — il visconte savoiardo intrepido arcangelo dell'infallibilità pontifìcia e della restaurazione cattolica — cadde nel febbraio 1921, appena pochi mesi prima del centenario del 5 maggio, il giorno della morte di Napoleone. Giovanni Papini, fresco delle pagine della Storia di Cristo e della vicenda della conversione, contrapponeva I' apostolo instancabile del «trono e altare» al despota geniale che «diceva di credere in Dio, ma credeva solo in se stesso e appena Dio fu stanco della sua iattanza» finì come finì. «De Maistre, invece...». Quel De Maistre, invece, risuonò con particolari e insistite cadenze all'alba degli Anni Venti. Cera nella borghesia italiana, ma non solo in quella, una nausea dei miti e delle speranze rivoluzionarie che avevano costituito la grande novità del secolo da poco nato. 11 messiancsimo comunista aveva generato, per contraccolpo, un messiancsimo conservatore non meno dogmatico e inflessibile. Si riparlava di ordine, di autorità, di disciplina molto prima che le squadre fasciste, guidate da un antico «sovversivo» che i socialisti avevano sempre guardato con diffidenza e con sospetto, mettessero a ferro e a fuoco le organizzazioni dei lavoratori. Albeggiava «Strapaese» contro «Stracittà». Riaffioravano i miti, che poi saranno tanto funesti, dell' «Italia barbara» — così detestata da Gobetti — contro I' Italia urbana, contro l'Italia borghese, contro l'Italia civile. Si cominciava a parlare di anti-Risorgimento, quasi contraccolpo delle delusioni della mistica risorgimentale, tutta consumatasi nella fornace del 1915-'18. Anti-Risorgimento, e quindi De Maistre, c poi la Santa Fede, e il cardinale Ruffo: l'altra Italia, un processo che negli anni del fascismo si svilupperà e si approfondirà, sia pure in singolare contraddizione con le altrettanto temerarie «usurpazioni risorgimentali» della dittatura. In tutto quel rimescolio, riaffioravano le ansie di un ripiegamento religioso, di un ritorno al Dio corrusco della Controriforma: scioglimento di tutti i dubbi, superamento di tutte le angosce esistenziali. Il termine «papismo» prendeva il sopravvento su quello di cattolicesimo, che già avefa per tanta parte spiazzato lo spirito originario del cristianesimo. Riprendeva forza il «Siilabo», che l'Italia laica aveva messo all'indice, all'indice, appunto, laico. Alla fine del 1918 Domenico Giuliotti, che di quel mondo sarà l'interprete disinteressato (e senza compiacenze fasciste), aveva licenziato, per i tipi patetici del vecchio Carabba eli Lanciano, una casa editrice in oii si associavano i nomi di Papini e di Amendola, una prima Antologia di cattolici francai del secolo XIX. I cattolici, appunto, di quel filone intransigente e reazionario, nemici mortali del cattolicesimo liberale in tutte le sue forze. De Maistre, in testa, e poi Donald, é poi Lamennais (giovane), e poi Barbey D'Aurevilly, e poi Hello, e poi Vcuillot, e poi Bloy, il Leon Bloy che fu familiare a tutta quella generazione. * * Dominante, su tutti, il visconte savoiardo. Aveva già quasi quarantanni quando la rivoluzione francese irruppe nelle terre assonnate e paciose della sua Savoia. «Inizio di una nuova storia»: egli l'aveva compreso come Goethe dopo Valmy. Ma in senso diametralmente opposto. La sconfitta della sua piccola, alpigiana monarchia savoiarda — costretta per vent' anni a spostarsi di città in città e poi obbligata a ripiegare per oltre un decennio sullo scoglio sardo riparato dalla flotta britannica, nella desolazione della Cagliari dei primi del secolo —, quella sconfitta non solo non l'aveva indotto ad abbandonare la devozione dinastica ma l'aveva spinto a raddoppiare il vincolo di confessionalismo da sempre connesso all'idea monarchica. Trono e altare. Re e Papa. Monarchia e teocrazia. Autorità del principe come riflesso e strumento di un'autorità trascendente. Era la stessa logica intrepi¬ da che lo porterà all'apologia del boia: proprio egli che proveniva da esperienze massoniche mai rinnegate e che conserverà vincoli di setta per tutta la vita, sia pure in quel versante della loggia originariamente dipendente dal Grande Oriente d'Inghilterra, più incline alle posizioni o inclinazioni religiose del Saint-Martin (ma cosa non è stata la massoneria in questi due secoli?). * * Il boia. «Ilpatibolo è un altare». In quella logica, si era domandato De Maistre, «Dio lo riceve nei suoi templi... Il boia è l'orrore e il vincolo della società umana. Togliete dal mondo questa gente incomprensibile e nello stesso istante l'ordine farà posto al caos, i troni si inabisseranno, la società sparirà». Queste pagine erano scritte qualche decennio dopo il libro di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, che è al centro del primo volume dell'edizione nazionale degli scritti, promossa da Mediobanca e dal suo animatore Enrico Cuccia, in ricordo dell'indimenticabile amico, Adolfo Tino. E la contrapposizione delle pagine di Beccaria a quelle di De Maistre ci dà intero il senso della contrapposizione fra l'illuminismo e la ventata del cattolicesimo ultramontano di cui resterà coerente sostenitore il diplomatico savoiardo, che sarà per quasi vent'anni ministro della corte sarda a Pietroburgo (e da quella esperienza di vita vissuta — esperienza povera, quasi mai un rimborso, una vita stentata — trarrà lo spunto per le pagine, letterariamente incomparabili, delle Soirées de Saint Pelersburg. Oggi De Maistre torna dopo tanti anni di assenza dal mercato culturale italiano in un'edizione dei classici Rizzoli, // Papa. E' la traduzione delle pagine del Du Pape scritte nel soggiorno del rappresentante del regno di Sardegna in Russia, ma pubblicato solo nel 1819, quasi alla vigilia della, morte. Un libro cui non., a caso Chateaubriand si rifiutò di scrivere la prefazione: sostenitore di un cattolicesimo intollerante, che andava ben oltre le estenuazioni romantiche dei Mémoìres d'outretombe e contraddiceva anche all'ideale, intriso di democrazia, della Res publica Christiana di Novalis. Lo presenta uno degli scrittori cattolici più lontani da De Maistre, nel gusto e nella formazione, Carlo Bo. Il quale ripiega — nell'accorata introduzione — su un termine caro a Schlegel, quello di «profeta del passato», per definirlo come «un uomo incline ad illudersi che sulla base degli errori commessi fosse possibile una restaurazione di vini) antiche». Cosa è rimasto del suo sogno?, si domanda Bo. E la risposta e secca e perentoria «Praticamente niente: a parte /' infallibilità, oggi per altro in ombra». «La vittoria è andata al mondo», è la conclusione lapidaria e persuasiva dello scrittore cattolico, «ma la Chiesa, specialmente in questi ultimi decenni, ha mostrato di saper reagire alla spoliazione delle sue prerogative terrene nel senso più giusto, accentuando il carattere spirituale e religioso della sua natura». Ci torna in mente la conclusione del bellissimo saggio che Adolfo Omodco dedicò a De Maistre alla fine degli Anni Trenta: «La sostanza profonda della filosofia dei lumi, la filosofia del "liberato mondo" non ne fu veramente intaccala. Concludendo il bilancio, fa ci■iltà nuova trasse vantaggio anche dal suo accanilo nemico. Sic vos non vobis». Vero nel 1939 e più vero oggi. Giovanni Spadolini