Le donne sull' onda del potere

Le donne sulPondw del potere Le donne sulPondw del potere Sempre più forti, sempre più celebri, capaci di grandi scoperte e di grandi decisioni: sono la punta di un «iceberg» in espansione? In quelle stanze dei bottoni Tra dieci giorni Rifa levi JMonfaicini riceverà il Nobel* Un impegno senza sesta» «Gli cernisti hanne fatte dasasfri» Lo charme di Raissa, la moglie di Gorbaciov, è «la nuova arma segreta del Cremlino». Ma altre donne in Urss... E' molto probabile che la grande visibilità assunta di recente dalle donne, in prima persona o accanto a quella dei mariti, ai vertici politici di molti Paesi sia solo la punta di un iceberg. Un'onda lunga si è messa in movimento; e sulla cresta di quell'onda le donne stanno uscendo dai confini tradizionali per assurgere a quella visibilità pubblica, in ruoli professionali e di leadership, che sono stati appannaggio tradizionale delle figure maschili. Nella società americana l'onda lunga che valorizza pubblicamente la figura femminile si è messa in moto da tempo e la storia del cinema ne documenta le tappe a partire soprattutto dagli Anni Quaranta quando la mobilitazione in guerra degli uomini aprì la strada delle professioni a molte donne. In Italia e in Europa i precedenti sono molto antichi se è vero, come le più recenti ricerche sembrano dimostrare, che nella civiltà etnisca le donne — a differenza di quanto accadeva e accadrà in quella greca e in quella romana — occupavano ruoli sociali di grande visibilità pubblica, almeno nella classe aristocratica chiusimi e di altre potenti e ricche città etnische. La maggiore visibilità pubblica della donna sulla scena politica e la conseguenza di due trasformazioni di lungo periodo che sono tra loro correlate e intrecciate. Una riguarda la sfera della politica e l'altra quella demografica, entrambe producono conseguenze culturali che diverranno, col tempo, sempre più stàbili C'gen^aj^te. L'attività politica-si sta democratizzando, nel senso che si sta generalizzando il principio che la fonte di legittimazione del potere sia il popolo: la volontà della gente, dei singoli individui. La generalizzazione di questo principio procede tra alti e bassi e, apparentemente, con grande lentezza. E tuttavia l'impiego sempre più capillare dei mezzi di "comunicazione di massa sta imprimendo un'accelerazione che solo pochi anni fa sarebbe stata impensabile. La democratizzazione della vita politica ha come conseguenza la valorizzazione della donna come soggetto politico. E se in una prima fase l'attivazione politica delle donne, attraverso il suffragio universale, ha pesato in senso conservatore, col tempo l'elettorato femminile tende a pesare in modo sempre più autonomo e consapévole, innanzitutto nella direzione di valorizzare la presenza femminile. Altrettanto importanti sono lo trasformazioni in atto in campo demografico. L'accesso delle popolazioni a livelli di redditi e di cultura più elevati se incentiva, in un primo tempo, una maggiore natalità porta, come conseguenza di lungo periodo, a un calo delle nascite e' cioè a un minore impegno della donna nell'attività, che era stata per tanti-setoli cosi orbente, quella riprodutti- j Accade cosi che nelle società democratiche e ad alto reddito le donne si trovano gradualmente a vivere una condizione radicalmente diversa da quella del passato: sono liberate dai compiti riproduttivi, che occupano una parte decrescente del loro tempo di vita, e sono titolari di diritti politici e di cittadinanza dai duali erano state escluse per tutto il tempo storico durante il quale la legittimazione del potere risiedeva esclusivamente nelle religioni o nella forza. Del resto una traccia importante del presumibile carattere di lunga durata della maggiore visibilità della donna ai vertici politici internazionali la si può trovare anche nelle più recenti produzioni televisive di origine americana; non sono poche le serie televisive che hanno come protagoniste figure femminili che intrecciano i loro destini con quelli più generali del potere e della politica. Giovanni Bechellonl i é II 10 dicembre, a Stoccolma, l'italiana Rita Levi Montanini riceverà Il Premio Nobel per la Medicina. Ma non è certo dal 13 ottobre cioè da quando II «Nobel» le è stato' assegnato, che questo scienziato è una «donna che conNell'ambicnte intemazionale la Montale!ni ha sempre contato moltissimo per gli addetti alla ricerca scientifica e per tutti gli uomini di cultura. Il «Nobel» per lei è non un punto d'arrivo, bensì un punto di partenza, nonostante i suol sertantasette anni. Per lei scienziato, ma prima di tutto per lei donna, per lei persona, s'è avverato l'assioma di Pascal (simile a un altro di Sant'Agostino): «La ricerca é II premio dalla ricerca: L'alloro (e i quattrocento milioni) del «Nobel» hanno coronato una lunga fatica e una strenua fedeltà alla vocazione scientifica, alla sorte dell'uomo, alla vita nella sua totalità. E' stata questa, e resta, una vocazione laica e culturale, rigorosa ed esaltante quanto una vera vocazione religiosa, addirittura mistica. La costante del suo interesse scientifico non s'è mal Interrotta, e Rita Levi Montalclni ha pagato senza alcun trauma anche II prezzo umano e sociale di questa scelta. Lo ha pagato sempre con gioia, in contanti, rinunciando, sicura di non diminuirsi, anche a una famiglia propria. Da sempre, come famiglia, ha avuto accanto la sorella pittrice, Paola. S'è cosi compiuto fra due sorelle un Identico vigore di vita col primato alla ragione e alla scienza da una parte e II primato dell'ispirazione e della fantasia dall'altra; un esempio, anche questo, che ha salvato la Montalclni da un isolamento totale, dandole un'intimità di affetto e di interessi alternativi sempre dinamici e profondi. Olà laureata In medicina e chirurgie a Torino nel 1936, dov'è nata, è Invitata a Saint Louis, negli Stati Uniti. LI sceglie la neurobiologie, e ha inizio la sua grande avventura. Nel 1951, Insieme con l'americano Stanley Cohen, scopre il «fattore di crescita», che, secondo la motivazione del «Nobel», «è d'Importanza fondamenta!» per la comprensione del meccanismi che regolano la crescita delle cellule e del tessuti» e che «apre nuovi campi di enorme Importanza per.la scienza fondamentale*, soprattutto in rapporto alla possibilità di comprendere l'origine e la terapia di molti -siati morbosi». VIdentikit scientifico è perfetto, irreprensibile, ma rivela In lei anche la partecipazione storica, sociale e civile, e rivela il contesto in cui la Montalclni l'ha maturato e definito. Mai questa donna scienziato trascura la dimensione umana, tanto meno quella femminile, e neanche la cronaca In cui, durante la guerra e la persecuzione nazista, lei, ebrea, è costretta, a Torino, a continuare gli studi e gli esperimenti, pur essendo stata allontanata dall'università per la legge razzisi?, chiusa In una casa come una sepolta viva. L) sviluppa la propria ricerca scientifica, ma senza ignorare le sorti dei suoi compagni d'emarginazione, né quanto la scienza potrà poi chiedere, dopo la grande catastrofe della guerra, a uno scienziato responsabile come lei. Essere uno scienziato significa per la Levi Montalclni oggi come allora responsabilizzarsi anche con la resistenza a qualsiasi tipo di adulterazioni della scienza, perpetrate spesso, allora e oggi, in nome della razza o in nome del caprìccio, al riparo di un'etichetta pseudo-scientifica. Negli Anni Settanta Rita Levi Montalclni aderisce al neo-movimento delle donne; la sua è una lotta di estrema e lucida razionalità, senza mai un'ombra di genericità né di settarismo femminiatoide. Donna fra uomini In maggioranza anche come scienziato, ella confessa un giorno ad Adele Cambila: «Spesso mi chiedo se l'Intelligenza maschile non abbia già fatto troppi disastri, e non sia venuto II momento, nella storia dell'umanità, di rivalutare II senso etico, morale, umano delle donne, assai più spiccato, anche dal punto di vista meramente biologico: Cauta, riflessiva, è sempre difficile all'entusiasmo istintivo, quanto strenua nella penetrazione di tutte le componenti della ricerca verso il massimo accertamento scientifico del risultati professionali. 0avanti alla scoperta che le merita oggi il «Nobel», lei si limita ad ammettere che finora «c/o che è accertato é solo la riproduzione sintetica del fattore biologico originarlo». E quello che più le è sta¬ to sempre a cuore è la necessità di mettere, anche attraverso il Cnr, a disposizione di responsabili adeguate strutture la sua ricerca e i suoi risultati: per migliorare la qualità della vita. Chi la conosce scommette che oggi anche un flagello come l'Aids la convince, nonostante la gloria, Il successo e II premio (e anche l'età), ad andare tutt'altro che in pensione, a proseguire nella lotta per la vittoria contro la «nuova peste». Ma non è lei a ipotizzare questo. Lei parla solo a risultati ottenuti. Una vera donna, un autentico scienziato. L'anno scorso, a Reggio Emilia, nel castello di Matilde di Canossa, a Bianello, dove l'aspettava la giuria presieduta da Alberto Moravia che l'aveva premiata col «Melograno di Matilde» quale «Donna d'Italia», le domandai se una donna come lei, uno scienziato, si fosse mai sentita sola. 'L'unica solitudine che ho vissuto», mi rispose, «d sfate quella dello scienziato a tu per tu con ciò che egli esplora ed esamina. Una solitudine positiva, ricca di attese, di felicità davanti a ciò che gli si rivela ed accerta, ricca di nuovo coraggio davanti a ciò che ancora gli si nega». Guardando il gioiello del premio, il «Melograno di Matilde», disse ai molti giovani che la stavano applaudendo: «Ho avuto, come scienziato, moltissimi riconoscimenti nel mondo, tutti graditi e, spero, meritati. Ma questo mi é caro In particolare perché è un omaggio alla donna, a me come donna». n. f. Fu nel dicembre '84 che i giornali occidentali scoprirono Raissa Maksimovna Gorbaciova, moscovita, allora cinquantaduenne, dottore In marx-ler.inismo all'Università di Mosca (MOU): il marito, Mlchajl Sergeevic allora soltanto numero due del pcus, era venuto a Londra e si era incontrato con la signora Thatcher. Stupì piacevolmente gli occidentali la diversità di Raissa dalle consorti di altri grandi moscoviti: basti pensare al fazzoletto da babushka russa, che portava sempre sul capo, anche nei viaggi in Occidente, Nina Krusciova; o alle Ineleganti voluminosità delle signore Oromyko o Brezhneva. E' mai, se non ai funerali del mariti furono viste le mogli di Andropov e Cernenko. Nella capitale inglese Qorbaciov parve voler affidare il suo primo successo di Grande Comunicatore sovietico anche al fascino discreto della consorte, di cui furono ammirate la finezza della figura e dei modi, l'eleganza, la vivacità e la disinvoltura nel concedersi ai flash del fotografi e alle domande, per lei insolite, dei giornalisti Nuovo era 11 look della futura «prima donna» e nuova avrebbe dovuto apparire la politica del futuro capo dell'Urss. Grande successo, in seguito, Raissa riscosse a Parigi nell'ottobre '85. Le Monde definì la sua presenza a fianco del marito (alla prima missione in Occidente nella nuova veste di Segretario generale del Partito) «una piccola rivolutone nella diplomazia sovietica»; e per Le Figaro Raissa rappresentava «fa nuova arma segreta del Cremlino» nella campagna per imporre ai media occidentali -il nuovo stile» del gruppo dirigente post-brezhneviano. Fu ammirata, Raissa, alle sfilate delle collezioni invernali di Saint-Laurent e Cardili. Quest'ultimo disse di lei; • Una donna di grande charme, di intelligenza, di stile, di cultura: è formidabile!». Poco prima, uscendo dal Museo Picasso, la moglie del gensek sovietico aveva esclamato: «Picasso amava il popolo, la sua umanità. Siamo stati suoi amici e lui pensava che lo saremmo sempre stati». Giudizio non perspicuo, per una docente dell'Università di Mosca, immemore — fra l'altro — della cascata di insulti che contro il Maestro catalano si era rovesciata, in Urss, nel primi Anni Cinquanta, quando la giovanissima Raissa incontrò nelle aule dell'MGU il giovane Michajl e lo sposò (dal matrimonio una figlia, Irina, e una nipote, Oksana. anch'esse di look occidentalizzante). A Ginevra (novembre '85: con Nancy Reagan) e a Reykjavik (ottobre '86: sola) Raissa illuminò dei suoi sorrisi due summit tanto deludenti quanto spettacolari. Non tralasciò occasione per sottolineare la volontà di pace del marito (di cui parla sempre definendolo - il Segretario generale»). A Reykjavik fu ammirata soprattutto la sua volpe argentata. Si vide, tuttavia, che le mancava il confronto, vincente (se non altro per l'età), con Nancy. In Islanda pronunciò una breve frase che avrebbe potuto apparire rivelatrice: -Quando il Segretario generale parla, io mi guardo attorno». Giorni fa. infine, Raissa e Michajl hanno piantato a Nuova Delhi un alberello dell'amicizia tra Usa e Urss. Porse per esorcizzare un temuto awicinamento tra Washington e Rajv Gandhi? Di Raissa si dice che abbia grande influenza sul marito (la tradizione letteraria russa potrebbe confortare l'ipotesi). La cosa, però, piace ben poco alla gente di Mosca e dintorni infastidita dalle sue troppo numerose apparizioni hi pubblico e dai troppo frequenti viaggi all'estero, oltre che dalla sua eleganza negata ai più. Personaggio forse creato per le esigenze della politicaspettacolo, Raissa ci appare, al di là dell'indubbia grazia, poco ricca di spessore umano. Altre donne, in Urss, potrebbero essere ben più interessanti: una Tatjana - Zaslavskaja. per esempio, sociologa della «scuola di Novoaibirsk. che da anni si batte in prima fila per le riforme dell'economia. O una Aieksandra Blrjukova. unica donna che negli ultimi vent'anni sia riuscita a entrare nella segreteria del pcus. O più autentiche, come quelle che perennemente affaticate, corrucciate, sgraziate da una vita di sacrifici e fatiche^ possono incontrare ogni giorno nel metrò di Mosca o nei negozi mezzo vuoti, negli uffici o al mercato kolchoziano. Luoghi questi che, certamente. Raissa, «più uguale» delle altre donne, ben difficilmente frequenta. Piero Sinaiti