Cinema, autori e malumori di Stefano Reggiani

Cinema, autori e malumori —- Bilancio d'un anno di spettacolo; gli italiani internazionali Cinema, autori e malumori —- Contraddizioni del nostro mercato - Fra gli stranieri, ha trionfato l'eroe solitario, da Stallone agli assi di Top Gun L'eco del cinema italiano ha raggiunto quest'anno i mercati internazionali. Anzi. l'Eco. L'autore de «Il nome della rosa», da cui Annaud ha tratto il film conventuale così apprezzato dal pubblico," è in qualche modo l'esempio di un ingegno italiano che si realizza trasmigrando, di un impulso di vitalità che chiede sanzione all'estero. Eco è solo un patrono occasionale del cinema, ma l'annata, se tentiamo un riepilogo, ci conferma l'emigrazione di molti professionisti,-dal Morii con e che fa le musiche di «Mission» (insieme a Sabbatini che cura i costumi e a Ghia che dà l'idea produttiva) al Di Palma direttore di fotografia per Woody Alien, al Rambaldi indispensabile per «King Kong 2», al Benigni che rende popolare Jarmusch. Siamo troppo bravi, si sa, per trovare soddisfazioni nei confini, e l'ondata dei film natalizi conferma l'ansia dell'usa e getta che ormai ha preso stabilmente la produzione italiana, celebrandone, con la dipendenza televisiva, la marginalità. Dalla rete stretta della nuova commedia italiano, fondata sul richiamo casalingo dell'attore e sulla sua necessità di esibirsi, non si esce che casualmente e all'avventura, sia il fondo drammatico del mascherone Villaggio, sia l'ambizione narcisistica di Nuti. Dalle maglie stringenti del nuovo erotismo italiano si possono solo far uscire ammicchi P velleità adolescenti, perché poi l'ultima parola spetterà al seno di Se rena Grandi. E' un rincorrer si in giri viziosi, in percorsi obbligati che deprimono an4- n&L .'Uff co ea.BS " e i i a i , e , i a a e, a, a o, nee no a di ti o re ea e r si nche chi è dotato di talento o di temerarietà; qualche volta non riusciamo neppure a far sventolare la bandiera nazionale, come al festival di Cannes (Zcffirelli americano, Ferrai francese), altre volte sbagliamo anche la corsa all'Oscar, contrabbandando una WertmUller fuori cottura. Certo, i consuntivi non si fanno solo per confermare le impressioni e i cattivi umori, ma per raccogliere le eccezioni e consolarci con chi non tradisce. Ci sono, per fortuna, titoli italiani da appuntare subito tra i film da non dimenticare: «Cinger e Fred» di Fellini, «Storia d'amore» di Maselli, «I love you» di Ferreri, «La Messa è finita» di Moretti che sta a cavallo di due anni (rappresentava l'Italia a Berlino). E non bisogna tralasciare MoniceUi. il sobrio maestro della tradizione con «Speriamo che sia femmina». Bellocchio con la furia amorosa della Detmers («Il diavolo in corpo»), Avati e altri benemeriti che magari ci sfuggono perché sono troppo isolati. Discorso a parte per il cinema italiano dei debuttanti, discorso non confortante; ci sono dei talenti, ma nessuno ha compiuto il passo vigoroso verso l'opera piena oltre che prima; restiamo nel limbo del grazioso, del garbato, dell'assemblaggio intelligente. Il migliore sembra Mazzucco con «Romance» presentato a Venezia (a rigore è un'opera seconda), gli vengono dietro Farina («Sembra morto, ma è solo svenuto»), Magliulo e Di Lullo, Sestieri, Colli, Fago, Nel cinema straniero è staliiunmw^ .jKieó tdtSdggutvse to l'anno dell'eroe solitario, del vendicatore ingenuamente onnipotente, l'anno di Stallone, di Schwarzenegger, di Norris, degli assi di «Top gun». Una galleria che si riguarda con qualche brivido, un modello di cinema forse tramontato con la fiducia nel volontarismo ed efficientismo reaganiano, dal primo esempio di «Rocky IV» (il migliore per la concisione retorica) all'ultimo di «Cobra», il peggiore. E pensare che lo spiiito di Ginevra era parso interpretato, a suo modo, anche dall'allocuzione del pugile Rocky al popolo russo. (Il maschilismo è stato riequilibrato dall'eroina Sigourney Wcaver di «Aliens»), Quanto ai registi russi, la commozione di oggi va a Tarkovskij, si spera che il .suo film-testamento, premiato a Cannes, «Sacrificio», possa uscire presto. E che trovino mercato gli altri film del disgelo gorbacioviano presentati ai festival o liberalizzati per l'esportazione « Vai e vedi» di Klimov, «Lettere di un uomo morto» di Lopushanskij, «Il mio amico Ivan Lapchin» di Gherman. Se poi uno volesse un ricordo meno brusco, più turistico, su percorsi domestici ed esotici, del cinema americano nell'annata, non avrebbe che da segnarsi due titoli: «La mia A^.ica», garantito dall'Oscar, «9 settimane e 112» di Lyne, garantito dal pubblico italiano; su entrambi i film è come se campeggiasse la scritta delle vecchie carte geografiche, «hic sunt leones», qui ci sono i leoni, si va a proprio rischio e piacere. Stefano Reggiani il» liM'l » LI.6I

Luoghi citati: Berlino, Cannes, Ginevra, Italia, Venezia