La virtù dei deboli

La virtù dei deboli Reagan e il paradosso della democrazia La virtù dei deboli (Perché un governo forte è vulnerabile come uno fragile) Le recenti vicende che stanno travolgendo la popolarità di Ronald Reagan hanno sollevato un vasto dibattito che riguarda non soltanto la persona del Presidente ma anche l'istituzione stessa della presidenza della Repubblica degli Stati Uniti, come si è venuta trasformando negli ultimi decenni. Per quanto possa sembrare paradossale, si va dicendo che il Presidente degli Stati Uniti è insieme forte e vulnerabile, e addirittura tanto più vulnerabile quanto più forte. ; Il paradosso consiste nel latto che la vulnerabilità è di solito considerata caratteristica di un potere debole. Nell'ultimo saggio scrìtto prima della morte, Gino Germani esprimeva il dubbio che i pochi governi democratici nel mondo attuale potessero sopravvivere in un universo di Stati in gran parte non democratici. Egli fondava questo dubbio sulla convinzione che i regimi democratici fossero più vulnerabili sia per ragioni interne — la frammentazione del potere che consente a piccoli gruppi organizzati di inferire colpi mortali alla società costretta per difendersi a violare le sue stesse regole —, sia per ragioni esterne — la crescente e inarrestabile dimensione universale della politica internazionale che avrebbe favorito i regimi autoritari più di quelli democratici. Le une e le altre collegavano la vulnerabilità delle democrazie alla loro debolezza. Soprattutto per quel che riguarda la politica estera, la stessa tesi è stata sostenuta col solito vigore e furore polemici da Jean-Francois Revcl nel li' bro Come finiscono le democrazie (Rizzoli 1984). Le democrazie sarebbero destinate a finire e a rappresentare un episodio di breve durata nella storia del mondo per l'incapacità di difendersi dal loro grande avversario, il totalitarismo, dovuta in parte ai dissensi interni, in parte all'eccesso di arrendevolezza di fronte al' l'astuto, spietato, antagonista. Anche in questo caso la vulnerabilità è interpretata come il prodotto della debolezza. In che senso la vulnerabilità può essere fatta derivare piuttosto dall'eccesso di forza che dall'eccesso di debolezza? La risposta è stata data per secoli dai classici del pensiero politico: tanto più grande il potere dei governanti tanto più forte è la tentazione che essi hanno di abusarne, vale a dire di esercitarlo violando o aggirando le norme stabilite per regolarlo e limitarlo. Tale risposta trova piena conferma nell'affermazione di uno dei più illustri storici contemporanei degli Stati Uniti, Arthur Schlesinger, che in una intervista di questi giorni ha detto: «Gli scandali come il Watergate oggi l'Irangate, sono la risposta patologica alla patologia dell'onnipotenza)'. Naturalmente vi sono regimi in cui il potere è forte e insieme invulnerabile. Sono gli Stati dispotici ove chi governa non ha, come diceva Montesquieu, «né leggi né freni». Vi sono regimi in cui kggi fondamentali esistono ma mancano gli organi di controllo della loro osservanza. Sono le autocrazie pre-liberali in cui il rispetto delle leggi fondamentali che dovrebbero limitare il potere sovrano è demandato allo stesso detentore di quel potere («autocrate» è letteralmente colui che governa se stesso). Vi sono infine regimi in cui non solo il potere deve essere sempre esercitato entro i limiti stabiliti da una costituzione formale e oggi, nella maggior parte dei casi, anche rigida, ma é, o dovrebbe essere, di fatto sottoposto sempre a controlli esterni. Sono gli Stati democratici. Di questi controlli due sono i principali: quello derivato dalla libertà di stampa, che ha per effetto la formazione dell'opinione pubblica; quello derivato dall'istituzione della divisione dei poteri da cui nasce il controllo del potere legislativo su quello governativo. Sono due istituti caratteristici dello Stato democratico, di czhdctWscsz cui siamo debitori alla tradizione del pensiero liberale, che ha avuto negli Stati Uniti una delle sue terre d'elezione. Secondo la brillante tesi sostenuta recentemente da Michel Walzer, professore di scienze sociali ali'Institute for Advanced Studies di Princeton, lo spirito del liberalismo consiste nell'«arte della separazione», a cominciare dalla separazione dello Stato dalla Chiesa, della sfera privata dalla pubblica, della società civile dal sistema politico, per Finire, all'interno del sistema politico, a quella tra l'uno e l'altro dei massimi poteri. Tutte queste separazioni servono, come afferma Walzer, «a prevenire e a combattere l'uso tirannico del potere». In base a questa tesi è lecito sostenere che tanto la crisi della presidenza Nixon quanto quella della presidenza Reagan siano nate proprio dalla violazione del principio di separazione, vale a dire dalla pratica costante, e per un certo periodo di tempo incontrollata, della confusione, in primo luogo della confusione fra potere legale e potere personale, ovvero nell'uso personale del potere legale. . Si capisce quindi perché si possa parlare di vulnerabilità a proposito tanto di un governo debole quanto di un governo forte. Ma se ne parla in due sensi diversi. Il primo è vulnerabile per sua natura; il secondo è tale in un contesto istituzionale in cui anche il supremo potere è limitato da regole giuridiche. Nel primo caso la vulnerabilità è un fatto negativo, e induce chi la denuncia a sostenere che la democrazia é impraticabile. Nel secondo è un fatto positivo, ed è anzi la riprova che i meccanismi di controllo del potere, propri dei regimi -democratici, sono entrati, se pur talora tardivamente, in azione. Nel primo caso è un difetto, nel secondo il rimedio a un difetto. Un rimedio che dimostra se mai quanto sia difficile il pieno rispetto delle regole democratiche nei rapporti internazionali, in un sistema in cui la maggior parte degli Stati non sono democratici ed è esso stesso solo apparentemente democratico, in realtà ingovernabile. Sino a che uno Stato non democratico vive in una comunità cui appartengono Stati non democratici, ed è essa stessa non democratica, anche il regime degli Stati democratici sarà una democrazia incompiuta. L'idea del vecchio Kant, per cui la condizione preliminare di una pace perpetua, diversa da quella dei cimiteri, fosse che tutti gli Stati avessero egual forma di governo, la forma repubblicana, quella forma di governo in cui per decidere della guerra occorre l'assenso dei cittadini, non era il «sogno di un visionario». Era una previsione fatta nella forma del «se-allora». Purtroppo quel «se» — «se tutti gli Stati fossero repubblicani» — può essere per ora soltanto l'oggetto di un- augurio. (Non ancora per il 1987!). Norberto Bobbio

Persone citate: Arthur Schlesinger, Gino Germani, Jean-francois, Kant, Michel Walzer, Nixon, Norberto Bobbio, Ronald Reagan

Luoghi citati: Stati Uniti