Reykjavik peggio dell 'Irangate

Reykjavik peggio delPIrangate Il vertice Reagan-Gorbaciov e P«Iran connection» nell'analisi dell'ex segretario di Stato americano Reykjavik peggio delPIrangate Al Presidente (e lo si è visto in Islanda) manca un prospetto ragionato delle possibili scelte e delle conseguenze - Cè crisi di disciplina e di coesione Gli errori di politica estera che costellano la vendita di armi all'Iran sono stati attribuiti in buona parte allo strapotere del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. La mia opinione, forse poco ortodossa, è che è vero esattamente l'opposto. La ragione di fondo delle difficoltà della politica estera degli Stati Uniti non sta nella forza, ma nella debolezza dello s'tff del Consiglio. Che stranamente non è riuscito a svolgere quella che dovrebbe essere la sua funzione principale: definire lince realistiche da sottoporre al Presidente e ai suoi principali consiglieri. Indubbiamente gli uomini del Consiglio hanno intrapreso occasionalmente iniziative gestite in modo avventuroso; ma queste azioni si sono rivelate cosi dannose proprio per la mancanza di un meccanismo per definire obicttivi realistici e un rapporto tra fine e mezzo. La cosa diventa evidente se si considera il fatto che la vendita di armi all'Iran non è stata un episodio isolato. A lungo termine, le vicende che hanno accompagnato il vertice di Reykjavik possono rive tarsi molto più dannose del caso Iran. A Reykjavik, come per l'Iran, al Presidente è mancato un prospetto ragionato delle possibili scelte e delle loro conseguenze. L'errore di Reykjavik non è dipeso dalla preponderanza dello staff del Consiglio, ma dal l'incapacità dell'Amministrazione di elaborare una strategia che correlasse la diplomazia, la politica militare e quella sul disarmo a un disegno nazionale coerente. La Commissione Tower, insediata recentemente per indagare sulla correttezza del ruolo del Consiglio, dovrebbe quindi interpretare il suo compito istituzionale sino ad includervi l'intero spettro del processo decisionale nella si curezza nazionale. Nella mitologia greca, a volte gli dei punivano l'uomo esaudendo per eccesso i suoi desideri. Al sesto anno di po.«CSQ, J!Amministrazione P.cagan sta pagando l'ingannevo-te<rMlità e l'eccessiva-sicùrer- za in se stessa con le quali ha ottenuto i suoi notevoli successi. Lo straordinario istinto del Presidente, la sua grande popolarità e la temporanea debolezza sovietica dovuta all'avvicendarsi di leader anziani hanno reso superfluo quel ricambio di metodi e di uomini che generalmente una crisi rende inevitabile all'inizio di un mandato presidenziale. La conseguenza è stata che gli uomini di Reagan hanno posto una fiducia eccessiva nelle capacità di persuasione del capo dello Stato. Hanno agito nell'evidente convinzione che la priorità della politica americana sia il modo di presentare le decisioni, non la loro qualità. Facendo affidamento su quel paracadute che è la presa di Reagan sugli americani, i consiglieri si sono sentiti sicuri di poter perseguire le loro linee contrastanti con una pervicacia inconsueta persino rispetto alla tradizione non certo remissiva di Washington. «In questa città — ha detto il segretario di Stato Shultz alla commissione Esteri della Camera — non ci si accorda mai su nulla. Cè una società che ribolle di discussioni, e nella quale la discussione non finisce mai e nessuno cede, me compreso». Di conseguenza, la linea politica si sbriciola in una serie di decisioni contingenti sollecitate da problemi impellenti o da scadenze negoziali. Nascono falsi compromessi che consentono ai singoli ministeri o ai singoli organismi governativi di perseguire la loro linea «privata», o di arroccarsi su una sdegnata dissociazione fino alla successiva occasione di scontro. L'incorreggibile specialità del Dipartimento di ni negoziali che non, vengono mai completamente schiarite cozza contro la strabiliante propensione del Pentagono a bloccare qualsiasi passo avanti con proposte inaccettabili. Il risultato: più confusione e incoerenza che una strategia di lunga portata. Il Consiglio rr la sicurezza nazionale non stato neppure abbastanza lungimirante da distillare una strategia realistica dall'idealistica aspirazione di Reagan ad abolire le armi nucleari, o dal suo pio desiderio di pagare per la liberazione degli ostaggi. In realtà, l'impressione è che sull'Iran il Consiglio abbia scambiato un obiettivo del Presidente per una direttiva; invece di contribuire a definire le priorità, l'organismo ne è diventato un esecutore. In ultima analisi, l'unico che si è rivelato privo di paracadute è stato Reagan. Non riesco a ricordare il caso di un Presidente della storia recente abbandonato in questa misura dai suoi nel momento della crisi. Reagan si è trovato solo sul precipizio. Per di più, quali che siano state le pecche del Consiglio, l'abdicazione dei vari ministeri ha una parte di responsabilità. Ncll'85 i Dipartimenti di Stato e della Difesa, e la Cia, sapevano benissimo che venivano fornite armi all'Iran. E' difficile credere che potessero non sapere che qualcosa di simile ha continuato ad avvenire nell'86, se soltanto avessero voluto informarsi. Dopo tutto, centinaia di tonnellate di materiale non si potevano inviare oltre oceano dai depositi militari senza che qualcuno se ne accorgesse. In questa situazione, il Presidente ha il diritto di presumere che i membri del Gabinetto che non si dimettono collaborino con lui nell'applicarc la decisiorìrnel momento del Di*PffVI-s> ti «irrora Nel caso dell'Iran, non soltanto il processo decisionale, ma anche l'applicazione di quelle decisioni paiono inceppati. Per esempio, che cosa è stato del «Consiglio dei 40», nel quale erano rappresentati tutti gli organismi governativi che nelle precedenti Amminisrrazioni sorvegliavano le operazioni clandestine? L'obiettivo di migliorare i rapporti con l'Iran è indubbiamente valido, considerata l'importanza geopolitica di quel Paese. Quello che è discutibile è la scelta del momento. Quale rapporto, quale servizio segreto' ha confortato H'tòiwiSlSSMè^ait a'fcM'àn Pfoardoumpintpefhcctm«g Perché si è ritenuto che le forniture di armi avrebbero aiutato quella fazione moderata, quando il loro uso era destinato a fare il gioco di obicttivi estremistici? Perché un alto esponente Usa è stato mandato a Teheran senza sapere con certezza chi avrebbe incontrato, e senza una scaletta per i colloqui? Come si può contribuire da un'ottica equa alla fine di una guerra fornendo armi alla parte che ha la superiorità sul campo, e che in caso di vittoria schiaccerebbe ruttc le forze moderate nel mondo • islamico? Chi mai poteva- credere che la «Ba»W^centinaia ctf- &tf> ggjfefi è -.materiale mutare. sarebbe potuta restare segreta, tanto più che vi erano coinvolti almeno tre trafficanti di diverse nazionalità? E qualcuno — fautore o avversario del progetto — ha mai spiegato al Presidente non soltanto il danno che sarebbe stato infetto alla credibilità degli Usa nel mondo intero, e più che mai nel Golfo Persico, ma anche le conseguenze sui prezzi petroliferi dall'inevitabile scoperta che gli Stati Uniti hanno agito in flagrante contraddizione con la loro linea di conclamata lotta al tetrorismo? Evidentemente, i fautori Ideile vendite di stimi all'Iran jhanno dato, nd migliore dei casi, risposte monche a questi interrogativi. Ma gli oppositori hanno controbattuto con una risposta 'vganica? La loro affermazione di non essere stati pienamente informati rispecchia una decisione della Casa Bianca di tagliarli fuori, o una decisione governativa di adottare una posizione di protettiva ignoranza, o entrambe le cose? Come potevano non sapere, dal momento che hanno accesso a tutti i livelli delle informazioni riservate? Se quelle informazioni sono state nascoste ad alcuni membri del Gabinetto, ci troviamo di fronte al disfacimento del sistema. Se l'ignoranza è stata un'auto-imposizione, il Presidente si uova di fronte a una crisi di disciplina e di coesione. La Commissione Tower deve andare sino in fondo a questi interrogativi, se vuole contribuire a migliorare la politica nazionale. La Commissione non potrà neppure contribuire a migliorare il processo decisionale della sicurezza nazionale se non analizzerà anche vicende come quella del vertice di Reykjavik. Qualcuno ha preso in considerazione il rischio che l'annuncio di un vertice a così poca distanza dal baratto Daniloff-Zakhatov potesse dare l'impressione di un'estorsione, sopratrutto al Cremlino? Che cosa ha indotto Gorbaciov a prendere l'inedita e sprezzante iniziativa di presentare un ordine del giorno generico senza previa notifica, e di chiedere che fosse oggetto di negoziato immediato? Che cosa ha spinto la delegazione americana a procedere, invece di limitarsi a porre domande ed esporre un programma di lavoro per un eventuale vertice successivo? In base a quale metodo., sono scaturiti i numeri è "" idee discusse a Reykjavik? Perché gli alleati maggiormente coinvolti non sono stati consultati? In realtà Reykjavik, proprio perché rappresentava il culmine di anni di lavoro, mi preoccupa molto più del caso Iran, che costituisce una deviazione di portata limitata. A Reykjavik i sovietici hanno sfruttato la fragilità del processo decisionale Usa accettando immediatamente posizioni americane portate avanti negli anni per coprire le divergenze nel governo. Per esempio, il rappresentante del Pentagono ha accettato l'agenda di Reykjavik per la sua validità, o perché presumeva che più era generica tanto maggiori sarebbero state le probabilità di fallimento, quando il negoziato fosse sceso nei dettagli delle verifiche? Una conseguenza non prevista della decisione, presa all'esordio dell'Amministrazione Reagan, di assegnare un ruolo primario nella formulazione della politica estera ai Dipartimenti è stata quella di esaspetare la funzione operativa del Consiglio per la sicurezza nazionale, a spese della politica a lungo termine. Ha inoltre determinato un avvicendarsi di uomini che non avevano forza sufficiente, o la piena fiducia del Presidente (tranne William Clark). E ha indotto lo staff del Consiglio a condurre missioni speciali cui nessun altro aveva voglia di sobbarcarsi. E' quindi una necessità di fondo rafforzare qualitativamente lo staff del Consiglio di sicurezza nazionale, concentrarne l'attività sulla defi nizione delle priorità e delle scelte politiche, e confetitgl' l'autorità di affrontate ptoblc mi al di sopra delle linee proposte dai vari ministeri. Per uantO; irreprensibili possano ,■ , „; „•• •. •'- • • s r o essere, i responsabili ministeriali non possono fare a meno di identificare la politica corretta per il Paese con le scelte avanzate dalle loro strutture. Scelte in molti casi valide; ma, quando gli eventi incalzano, le cose più urgenti diventano genetalmente prioritarie rispetto a quelle importanti. Come norma generale, lo staff del Consiglio non dovrebbe condurre operazioni contingenti che coinvolgano altri Paesi: questo è valido particolarmente per attività che vadano oltre l'istituzione di un canale diplomatico di comunicazione. Essendo potenzialmente fonte di difficoltà, le operazioni clandestine richiedono un contributo sostanziale della Casa Bianca nella fase di pianificazione; proprio per questo il Consiglio dovrebbe tenersi ben alla larga dalla fase esecutiva. Come avviene per tutte le notme di governo generali, 'esclusione dello staff del Consiglio dalla fase operativa non dovrebbe essere esasperata. In ultima analisi, il Presidente deve essere libero di usare lo strumento che ritiene più adeguato. Ci sono missioni nelle quali un inviato presidenziale può muoversi con flessibilità, autorità e discrezione maggiori rispetto a un rappresentante governativo: a mio avviso, i colloqui più delicati con l'Urss sono stati influenzati negativamente dalla mancanza di questo tipo di meccanismo. Insomma, non c'è alternativa al coinvolgimento del Presidente nel processo decisionale. Limitare il suo ruolo alla ratifica di linee concordate tra i suoi subordinati rischia di provocare le reazioni più egoistiche, a spese della consapevolezza di una prospettiva sul lungo termine. Le ultime crisi nella politica estera ameticana si sono verificate in un momento in cui la posizione contratruale degli Usa resta forte; immediate misure cotrettivc schiudono ancora al Paese l'opportunità di ottenete gtandi risultati. Henry Kissinger. ' CopyrigM «HA. Times Syndkatei 'PCT«3at!!»«L* s****", Nel c dll'I lPehé i è itt h lsarebbe pt