Tokyo: spendete, fate follie di Renata Pisu

Tokyo: spendete, fate follie GIAPPONE, AUTORITRATTO IMPIETOSO E DILEMMI PER IL FUTURO Tokyo: spendete, fate follie Con la guerra erano tutti samurai, poi si sono fatti commessi viaggiatori: e ora? - Un'ondata d'inchieste denuncia crisi d'identità, malessere, incertezza - «Il risparmio è diventato una fissazione», dice l'economista Kusaka - «Concedetevi colpi di testa, gioverà all'immagine internazionale: il ricco taccagno non è amato» - La nuova epoca degli impiegati-soldati DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? I dubbi che già da qualche tempo tormentano i giapponesi e che più di settecento libri e libretti sul tema •Chi sono l giapponesi?' non sono riusciti a dissipare, quest'anno si sono ingigantiti proporzionalmente alla crescita economica del Paese ma soprattutto al fatto che mai come oggi il Giappone è al centro dell'attenzione internazionale. Cosi i giapponesi si scrutano, si interrogano, esterrefatti per i traguardi raggiunti, tutto un popolo che in quarantanni ha vissuto l'avventura capitalista del successo, 'dall'ago al milione': come è stato possibile? Qual è il 'genio' della nostra razza? All'euforia dei più si accompagna però un malessere che è di molti, e che nasce, dicono i sociologi, da una diffusa incertezza sulla propria identità e sui futuri obiettivi e dal desiderio di nuove definizioni collettive rassicuranti che però nessuno si azzarda a proporre se non viene data prima risposta alla domanda chi siamo?'. «Non è una domanda retorica», sostiene Shotchi Sakei in un suo intervento sul tema -I giapponesi sono diventati arroganti?' apparso sull'ultimo numero della rivista Seiron. Secondo Sakei è comprensibile che all'estero i giapponesi siano guardati con una certa diffidenza perché prima della guerra erano tutti samurai disposti a battersi fino all'ultimo sangue, poi all'improvviso sono diventati tutti commessi viaggiatori avidi soltanto di soldi, sempre pronti all'inchino e a dire 'ini dispiace' ma attenti pero ol loro tornaconto. la paura dì morire di farne, non avevamo -tempo dt crrie-derci "chi slamo?" e se eravamo cambiati. Oggi però il nostro compito più urgente è rispondere a queste domande: gli altri Paesi si aspettano da noi una risposta». 72 malessere dell'incertezza sull'identità e sul futuro collettivi appare quindi come il tema dominante di questo scorcio di fine d'anno destinato alla riflessione: giornali e riviste se ne fanno portavoce con sondaggi di opinione, inchieste e dibattiti, più interessante fra tutti quello 'Cosa è mai il Giappone?' apparso sul numero di di¬ cembre del mensile Bunkei Shunjun. A esperti di vari rami e intellettuali sono state rivolte domande tipo: il Giappone è davvero ricco? Il Giappone riuscirti a internazionalizzarsi? Il Giappone sarà superato dalla Corea? I giapponesi sono prò. o anti iZ.1,sindacati ama prowirere? Il Già: ■distrutto-dalla nuova razione?. Beco il succo di alcune risposte. L'economista Kimihtto Kusaka disserta sulla supposta ricchezza dei giapponesi. Certo, molti hanno,depositato in banca il doppio di quanto guadagnano annualmente ma non consumano e questo dimostra che credono di essere poveri perché, sostiene Kusaka, la ricchezza è uno stato mentale, si misura dalla consapevolezza che sene ha, non dalle statistiche sull'ammontare dei depositi bancari. Kusaka dice «che il risparmio è diventato una fissazio¬ ne nevrotica di gruppo, cento milioni di persone che continuano a lavorare e a accumulare soldi ma anche stress. A questo punto misure di politica economica sono inutili, bisognerebbe Invece cambiare i referenti e le motivazioni del comportamento social e ».. Corne? .Consuman- al-proprio-ambiente usuale, la gente pensa di avere già tutto, al massimo può comprare un nuovo stereo o cambiare la màcchina. Secondo Kusaka ci vogliono dei «colpi di testa», delle iniziative un po'folli, insomma il coraggio dello scialo che non porta alla rovina, anzi, genera nuova ricchezza e soprattutto la coscienza e il piacere di sentirsi ricchi. Cosi suggerisce alle signore di comprarsi vestiti costosissimi infischiandosene dei rimbrotti dei mariti che dicono «soldi buttati, tanto non si va mai da nessuna parte», perche' è l'abito bello che invoglia a cercare le occasioni, a stringere nuove amicizie, a misurarsi insomma con un ambiente diverso e a sentirsi ricchi, il che equivale a esserlo davvero. E conclude Kusaka che «colpi di testa» un po' folli servirebbero al Giappone anche in campo internazionale, il ricco taccagno non è amato, 10 scialacquatóre invece si" " Il Giappone riuscirà a'fft- ternaziònàìlzzàrsi? Risponde 11 professor Takao Suzuki sostenendo che secondo lui ci è già riuscito e che non ci riuscirà più, cioè non è prevedibile che riesca nei tempi brevi a superare lo stadio già raggiunto. Scampato al primo tipo di internazionalizzazione, quella derivante dalla conquista con la forza, il Giappone si è internazionalizzato di propria volontà cercando di adattarsi ai modelli di altri Paesi più avanzati. Bisogna però tenere presente il fatto che questo tipo di internazionalizzazione alla giapponese si è svol- ttagaavppiphlglfaipppd to, sottolinea Suzuki, tramite testi scritti e oggetti, vuoi armi o vuoi automobili, che i giapponesi hanno imparato a imitare senza mai aver avuto contatti umani rilevanti con gli stranieri. •Cosi non siamo diventati xenofobi ma si può dire piuttosto che rifuggiamo dal riponi con. ,gli qltrì, perché non ci slamo abituati, lo strabilerò ci mette in imbarazzo'»;'afferma Suzukl^Vii terzo tipo di internazionalizzazione, basato su un rapporto di scambio paritario, per ora non sembra possibile in quanto i giapponesi, sempre secondo Suzuki, non hanno una forte individualità personale, non sono in grado di reagire facendo valere le proprie opinioni come fanno gli stranieri che sono abituati a esprimere le loro idee e a trattare con gli altri popoli. «Oggi il Giappone, grande potenza economica, non ha più modelli da importare e dovrebbe tentare questa internazionalizzazione dei contatti umani ma i giapponesi sono restii, continuano a credere che Internazionalizzarsi significhi seguire l'esempio del Grande Paese», afferma Suzuki, il quale conclude lanciando la proposta di attuare la nuova internazionalizzazione su base egualitaria e di scambio, servendosi del sistema della ■doppia struttura». Che vuol dire? Vuol dire che della cosa se ne devono occupare per ora soltanto gli 'Specialisti' che sarebbero i giapponesi 'Stravaganti', .anormali', quelli cioè che si sentono a loro agio con gli stranieri, mentre i giappone¬ si normali, la stragrande maggioranza, secondo Suzuki «dovrebbero coltivare e riflettere sulle nostre antiche tradizioni in modo da costituire la struttura salda su cui poggiare la nostra Individualità... Si continua a ripetere che per internazionalizzarsi bisogna parlare bene Inglese e Imparare l'etichetta occidentale, però non ho mal sentito dire che significhi parlare bene giapponese e avere un proprio parere da presentare agli altri per avviare un dialogo», conclude Takao Suzuki. Passando alle risposte agli altri interrogativi che la rivista Bunkei Shunju ha posto ai suoi esperti, veniamo a sapere che i sindacati hanno assai poca speranza di sopravvivere perché, questo è il parere dt Karou Ota della Federazione generale dei sindacati del Giappone, oggi è più che mai radicata negli operai la convinzione di dipendere dall'impresa. Fa l'esempio del capo del sindacato della Toyota, la fabbrica d'automobili che ha avuto quest'anno grandi profitti, il quale non ha intenzione di chiedere aumenti salariali perché la Toyota deve aprire una fabbrica in America, ouindi non si può, non starebbe bene, per vincere la competizione internazionale gli operai devono portare anche loro pazienza. Quanto a un'altra domanda, cioè il Giappone è prò o anti Stati Uniti d'America, la risposta la dà Shu Kishida, psichiatra: secondo il suo parere il Giappone è un Paese schizofrenico, ha due ego, uno interno, orgoglioso e megalomane, uno esterno che ammira il più forte e si sottomette. La guerra è stata scatenata quando l'eoo interno è esploso, con la sconfitta> iia prejpaiwj, l.'ego ester- \ no, ma l'altro non è scomparso, è stato solfant/o represso e i ogni tanto rispunta fuori. «Il più grosso problema del Giappone è non riuscire a risolvere il dilemma: siamo prò o contro l'America?», sostiene lo psichiatra, «infatti essere prò vuol dire adorarla, essere contro odiarla, non c'è via di mezzo». E' chiaro che i giapponesi non hanno ricavato senso di sicurezza da queste risposte date da altri giapponesi alle domande che li assillano, forse si sono sentiti conforta- ' ti soltanto dal fatto che è improbabile che la Corea li superi; e anche dal parere, espresso dallo scrittore Akira Esaka, secondo il quale la nuova generazione non distruggerà il Paese, anzi, lo aiuterà a prosperare perché, sostiene, «è tramontata l'epoca degli impiegati-soldati, è cominciata, con i giovani, quella degli impiegati-graduati, pronti a scendere sul campi di battaglia». Una terminologia tutta marziale, a quarantanni dalla fine della guerra, il cui uso o abuso rimanda alla prima domanda: ma insomma, chi sono questi giapponesi? L'autoritratto fornito dagli interventi pubblicati da Bunkei Shunjun è quanto mai impietoso. Renata Pisu Tokyo. Tre piccoli campioni di baseball. «Oggi il Giappone, potenza economica, non ha più modelli da importare» (<Japan Pictorial»)

Persone citate: Akira Esaka, Kimihtto Kusaka, Kusaka