FOGLI DI BLOC-NOTES

A corte dì re Fahd FOGLI DI BLOC-NOTES A corte dì re Fahd «u ? IRAQ diventerei* un immenso Libano, in caso di vittori.! dell'Iran. Spaccato a metà fra sciiti e sunniti. Con Teheran it ridosso delle nostre frontiere. E la Russia con la via libera al golfo...». E' il motivo dominante della conversazione con Re Fahd, il discendente di Ibn Saud cui l'Arabia deve rutto, l'esistenza, l'autonomia, il nome. L'uomo non ha il sorriso cattivante ed enigmatico di Re Hassan. La cotte di Riad — una città infinitamente più ricca di Rabat, quasi un pezzo di Texas o di Colorado schizzato in Asia — è, complessivamente, più modesta di quella marocchina. Non ci sono i servi che si inchinano, non ci sono i ministri che baciano, in ginocchio, l'anello reale. Il Re viene incontro all'ospite circondato da nubi d'incenso, ma con molta naturalezza (e lo accompagna all'uscita, attraverso una serie di stanze: ciò che sarebbe inconcepibile in Marocco). Ha perfino rinunciato a chiamarsi «sire» da qualche settimana. E' «custode dei luoghi santi»: qualcosa che è più di maestà, che racchiude il segreco di questo Stato, in cui la persistente vena teocratica si unisce alla più spregiudicata apertura di modernizzazione tecnocratica. Innesto, unico e irripetibile, fra islamismo e capitalismo, fra rigore maomettano e logica delle multinazionali... RE Fahd si riferisce, è evidente, agli aiuti americani all'Iran. L'Arabia Saudita — cuore degli arabi sunniti — sorregge con tutti i mezzi l'Iraq, avamposto mélange contro il dilagare dell'eresia sciita (e del connesso fondamentalismo islamico, ispirato a quella specie di Mein Kampf che è il Libro Verde dÀJ^homeini).. . . A QTlAMO stali torpresi ■ \\ Se'° americano»'.- sottolinea, con insistenza, il Sovrano che ancora non conosce le «corresponsabilità» di alcuni cortigiani spregiudicati in quel traffico d'armi. Chiede l'aiuto dell'Europa, con gli stessi accenti di Re Hussein, anche con una vena di più drammatica aggtessività, compatibile con patini reali: «Il danno psicologico è ancora più grande di quello materiale...». Il Re insiste sui buoni rapporti con gli Stati Uniti, da sempre (il petrolio è stato scoperto insieme, valorizzato insieme). Ma aggiunge, con un proverbio arabo insistito e rivelatore: «Il tuo amico è colui che non ti mente, colui che dice la verità». Se quella regola cade — fa capire — cade l'amicizia. PER mezz'ora il Re parla del suo Paese. Come di una specie di grande Svizzera: prospera, ordinata, fondata sull'apertura a tutti i mercati del lavoro, senza intolleranze, senza discriminazioni, destinata ad arricchirsi e arricchire (chissà perché mi torna in mente il grido orleanista, l'invocazione di Luigi Filippo: enrichissez-vous). • Hacse non allineato. Paese che non ha nemici. Che vuol vivere in pace con tutti. Alla testa di taluni dei più grandi mercati finanziari del mondo. Impegnato in un processo di trasformazione senza precedenti, in un gigantesco piano disviluppo (tutto di vertice). «Trent'anni fa, mi dice il Sovrano, avevamo il novantacinque per cento di analfabeti. Adesso meno del cinque». E non siamo neanche vittime — aggiunge con prudenza — della religione del petrolio. «Il petrolio, sottolinea il Re, è destinato a finire abbastanza presto. Bisogna prepararsi ad energie alternative...». E qui una serie di spiegazioni perfino puntigliose sui progetti dell'industria petrolchimica. Negli ultimi tre #anni il Paese ha vacillato sotto i colpi della riduzione del prezzo del petrolio (e tante imprese europee e anche italiane hanno chiuso b sono ridotte a poco, o nulla). E' stata la politica di Yamani, della concorrenza spietata con l'America al ribasso: una politica ora abbandonata. Pur di sorreggere il cartello del petrolio — a Mi un prezzo più remunerativo — Riad ha gettato un ponte in direzione di Teheran... E' detto tutto. I reco all'Università di Riad. Progettata dalla grande scuola di architetti giapponesi. Realizzata con una larghezza e un'ostentazione di mezzi senza confronti anche negli Stati Uniti. Un vero e proprio ospedale, per ottocento letti, dentro l'Università. Tutti i servizi sociali più avanzati. Campus da fare invidia a quelli americani. Sola differenza, le donne, relegate qui come dovunque («Ma, mi dice il Sovrano, nascerà presto l'Università per le- donne...»). Una biblioteca immensa. Sotto chiave una raccolta di documenti manoscritti arabi pre-maomettani (raccolta che si apre solo di rado: ogni foglio costa un'ingente royalty tradizione innestato -su 11 .arnorc dello spettaoolare, sul culto del «kolossal». •" Una specie di invidia dell'Occidente, dalle posizioni del più intransigente rigorismo musulmano. Il Paese che detiene le chiavi di Medina e della Mecca, che non consente di arrivarci agli infedeli, ai «non maomettani...». bslnpli N una libreria di Riad (che riesco con fatica a vedere: alle cinque del pomeriggio, per quaranta minuti, tutti i negozi chiudono quando si prega nelle moschee: una preghiera collettiva, corale) mi colpisce l'assoluta mancanza di libri politici. Non si può fare neanche un paragone con una libreria di Rabat. La cultura, qui, è tutta tecnica, tutta post-industriale. Centinaia di manuali, di volumi di applicazione. Tutto nasce dall'Università americana. L'informatica è già «facoltà» a Riad. Ogni esperienza si innesta su precedenti esperienze degli Sfati Uniti, ma senza il minimo riferimento, né diretto né indiretto, alle radici ideologiche che hanno compenetrato gli Stati dominazione francese o inglese nell'Africa del Nord e del Medio Oriente. Ci sono due parole che non esistono né a Riad né a Gedda: liberalismo e socialismo. 9 stato il miracolo di Ibn Saud. La sorprendente apertura all'Europa senza assorbire niente di europeo. La costante «mano tesa» all'Inghilterra fra le due guerre, agli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale senza accettare la benché minima limitazione alla propria sovranità. Restando se stessi: chiusi nel guscio di un arabismo intransigente e tradizionalista, mentre il capitalismo irrompe, come infrastrutture, come modi di vita, come tutto. E Riad che sembra una grande città spettrale. Perché metà dei palazzi è vuota Costruita per gli abitanti del futuro. Di un'immaginaria città del sole. DIVERSAMENTE dalla Giordania, che ha perfino un vescovo, non esiste, in tutta l'Arabia Saudita, una chiesa cristiana. Non i possibile neanche celc- lnMEog—cjI brare la Messa nelle ambasciate. Mi raccontano che l'Alfa Romeo ha dovuto rinunciare qui alla svia insegna, perché evocava, sia pure alla larga, la Gocc di Cristo. SRAELE «on deve dimenticare che ormai il numero dei laureati nell'Arabia Saudita è superiore al numero dei laureati in Israele». Me lo dice il ministro degli Esteri, Feisal, quarto degl otto figli del Re omonimo — gran tessitore come Ibn Saud — che fu assassinato una decina di anni fa. Uomo di assoluta formazione occidentale (è stato anche uno dei capi della Petromin), ma durissi mo con Israele. L'Arabia Saudita finanzia largamente Arafat, ma a patto che metta piede il meno possibile nel territorio del Regno. Si difende da ogni formaci terrorismo con var^e je co*jjttst|}farme di «Jjj " nizz3aonc»^rcrne i cònt _ Ile esportazioni di estremismo. In uno Stato in cui a cinque milioni di arabi, con alto tenore di vita, si uniscono due milioni di «frontalieri» dell'Asia, filippini, pakistani, coreani, una specie di immensa e fluttuante «servitù della gleba». Solo il Re — che può dirlo perché è custode dei luoghi santi — accenna a un linguaggio meno aspro verso Israele. «E' una potenza regionale del Medio Orient; e come tale va valutata». Ma è il solo, appunto, perché è il Re. Giovanni Spadolini Re Fahd d'Arabia in una caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Review ol Books. Opera Mundi e per nulli .La Stampa.)