«Duce, avveleniamo Tei Aviv»

«Duce, avveleniamo Tei Aviv» DOCUMENTI «Duce, avveleniamo Tei Aviv» Finora si credeva che i contatti di Mussolini con i palestinesi fossero stati minimi - Lo storico De Felice ha invece trovato le prove di relazioni intense col mondo arabo, superiori a quelle tedesche - Nei messaggi non si parlava solo di migliaia di sterline in valigie a doppio fondo - Si trattava anche l'invio di armi e uomini, come nel *36 quando il Gran Muftì voleva un'ecatombe di ebrei ROMA — Renzo De Felice ha trovato una serte di documenti di eccezionale interesse che, per la prima volpi, fanno luce sui rapporti tra il fascismo e il mondo arabo e sull'origine dell'attenzione a quest'ultimo da parte della diplomazia italiana. Si tratta di documenti che appartengono all'Archivio stòrico del ministero degli Esteri e che si ritenevano smarriti. De Felice li aveva trovati già molti anni fa ma erano in pessime condizioni ed era pressoché impossibile consultarli. Solo ora, dopo un lungo è difficile lavoro di restauro, sono divenuti accessibili: i più interessanti De Felice li pubblicherà tra una ventina di giorni in un fascicolo monografico della sua rivista Storia contemporanea dedicato a •Ebrei e arabi nella politica mediterranea del fascismo: Cosa è venuto fuori da questi documenti? Fino a oggi si era pensato che i rapporti tra Mussolini e gli arabi di Palestina fossero stati minimi e tutto sommato a rimorchio di quelli coltivati dalla Germania hitleriana. Non che fossero ignoti i soggiorni romani all'inizio degli Anni Quaranta del primo capo politico e spirituale dei palestinesi, il Gran Muftì di Gerusalemme Hai Amin Ali el Huselni, e del leader iracheno Rashid Ali el Gaylani; ma si riteneva che queste visite avessero avuto carattere marginale e che l'unico vero centro di relazioni con l nazionalisti musulmani fosse stata la Berlino nazista. Mentre erano noti t rapporti tra Mussolini e l'altro fronte, quello dei sionisti -revisionisti* di Zeev Jabottnsky, lo stesso Taysir Ibara, il più aggiornato biografo del Gran Muftì, faceva risalire il primo contatto tra palestinesi ed emissari del duce al 1940. Dal documenti ritrovati si scopre invece che queste relazióni si stabilirono molti anni prima e che nella stagione cruciale delia lotta tra arabi ed ebrei in Palestina (1936-1939) furono di una insospettabile intensità. Il primo incontro con un'autorità italiana, il Gran Muftì lo ebbe nel 1934 quando, di ritorno da una missione alla Mecca e a Sanaa per rappacificare il re Ibn Saud e l'imam Iahta, fu invitato dal governatore dell'Eritrea Riccardo Astuto a trascorrere un breve periodo come suo ospite all'Asmara. Quella non fu certo uniniztativa estemporanea e isolata del governatore. Proprio all'inizio degli Anni Trenta Mussolini inaugurò la politica del -ponte' verso l'Oriente che doveva avere il suo più solido pilastro nel rapporto con il mon- do musulmano. I termini di questa politica II enunciò il 18 marzo del '34 nel discorso alla seconda assemblea quinquennale del regime e nel maggio dello stesso anno Radio Bari iniziò a trasmettere programmi in lingua araba. Nel 1935, poi, fu creata con sede al Cairo e corrispondenti nelle principali località del Medio Oriente l'Agence d'Egypte et d'Orient che Galeazzo Ciano volle, più che per servirsene come una normale agenzia, come strumento per penetrare nella stampa araba sovvenzionando giornali e giornalisti. A giudizio di De Felice per tutti gli Anni Trenta la politica araba del fascismo, che da questi documenti si scopre e l i a i esser stata molto articolata e intensa, è stata condotta all'insegna della strumentalità: Mussolini la inventò e se ne servi per premere sull'Inghilterra: ma al momento in cut avesse trovato un accordo con Londra era pronto a buttar tutto in aria. E' probabile che, almeno per un certo periodo iniziale, sia stato cosi; vero è però che la costruzione di tale politica non risenti di questa doppiezza d'intenzioni. Prima ancora del Gran Muftì, Mussolini si era lasciato contattare, sempre nel 1934, da Skhib Arslan, direttore del giornale La nation arabe della delegazione Siro-palestinese presso la Società delle Nazioni. Un contatto utile. Arslan scrisse una serie di articoli in cui elogiava la politica italiana verso i musulmani dell'Eritrea contrapponendola a quella oppressiva dei francesi in Algeria. E arrivò a giustificare persino l'aggressione all'Etiopia con l'argomento che il negus trattava i musulmani peggio degli invasori italiani e che comunque per oli arabi era opportuno schierarsi contro gli inglesi. Con il Gran Muftì, dopo il governatore eritreo, stabili un solido e organico rapporto il console generale italiano a Gerusalemme, Mariano De Angelis. Reca la sua firma il documento dov'è riportato che nel '36 il leader palestinese avrebbe detto: «Dite al signor Mussolini che sono sceso in campo io stesso perché credo alle sue promesse e al suo appoggio». Appoggio che già a partire dal novembre del 1935 s'era concretizzato nell'invio di decu.e di migliaia di sterline britanniche. Un appunto per II duce del 1938 dà notizia di ben undici versamenti per un ammontare di 138 mila sterline fatti dall'Italia agli uomini del Muftì. Tranne due furono tutti eseguiti nella più assoluta clandestinità al di fuòri dei nostri confini. Ecco qualche esempio di come sono riepilogati: «10 settembre 1936 — XIV: Inviate a Ginevra col corriere Trincheri al signor Mousa Alami (rappresentante del Muftì, ndr) lire sterline 13.000»; «18 gennaio 1938 — XVI: Consegnate a Roma al signor Darwisch lire sterline 10.000 in una valigia con doppio fondo. La valuta è stata chiusa nel fondo della valigia dal Console Caruso e dal Console Moscato e la valigia è stata consegnata dal Console Caruso e dal Console Castellani»,- .15 giugno 1938 — XVI: consegnate a Beirut dal Console Castellani al signor Darwisch lire sterline 10.000». Afa non si parla solo di soldi. Dai documenti vien fuori che è stato trattato anche l'invio di armi e di uomini. Cosa che almeno in una circostanza assume un aspetto sinistro. E' nel settembre del 1936 quando il Gran Muftì decìde di provocare un'ecatombe di ebrei avvelenando l'acquedotto di Tel Aviv (operazione alla quale non riuscirà a dar seguito per difficoltà d'ordine tecnico). In un appunto per il duce del 26 settembre è scritto che tramite Ricusa Alami il capo dei palestinesi chiede a Mussolini «materiale e personale tecnico per produrre attentati e provocare l'inquinamento dell'acquedotto di Tel Aviv, centro In cui è raccolto il maggior numero di ebrei attualmente residenti in Palestina». XI rapporto, non firmato, continua così: «Ho risposto che per quanto riguardava armi e munizioni avevamo già pronti 4348 fucili di marca belga con sette milioni di cartucce e 75 mitragliatrici S. Etienne con settantamila mspm cartucce e che eravamo disponibili a fornirli non appena si fosse trovato 11 modo di farlo senza alcun rischio; per quanto riguardava materiale e personale per provocare attentati e per inquinare l'acquedotto eravamo pronti a fornire il materiale; ma solo in un secondo tempo si sarebbe esaminata la convenienza di fornire del personale,- nel caso fosse possibile addestrare allo scopo dei sottufficiali indigeni della Libia; per quanto riguarda la richiesta di 75.000 sterline... riterrei che si possa accedere ma alle seguenti condizioni: versamento di 25 mila sterline ogni quattro mesi per tre quadrimestri successivi». E conclude: •Tali versamenti sarebbero puntualmente effettuati se gli arabi continuassero a mantenere in Palestina la situazione attuale rendendola sempre piti grave; sarebbero invece sospesi se essi cedessero alla pressione inglese». Il documento porta scritto in alto a destra «approvato dal Duce» e in aito a sinistra c'è il segno di •visto» e la sigla M vergata da Mussolini. Lo storico Luigi Goglia che ha testé curato l'edizione di questi documenti non nasconde la propria sorpresa: «E' incredibile che Mussolini abbia approvato un'azione terroristica indiscriminata contro la popolazione ebraica di Tel Aviv al fine prevalente di creare difficoltà, al governo britannico in Palestina Ma £ rosi» / rapporti tra Mussolini e il Muftì, dopo un'interruzione di un anno e mezzo fra il 39 e il '40, riprendono e si intensificano con Ventrata in guerra dell'Italia. Negli anni successivi il Muftì è più volte a Roma dove incontra Mussolini e il re. Gli italiani /anno alla sua poli tipa, ptty, concessioni di quante non ne /accia Hitler. Nel maggio del '42 Ciano, in una lettera destinata a restar segreta, gli scrive: «L'Italia è pronta ad accordare ai Paesi arabi del Vicino Oriente che attualmente soffrono sotto l'oppressione britannica ogni possibile aluto nella loro lotta di liberazione; a consentire alla loro unione, qualora questa sia desiderata dagli interessati, come pure all'abolizione del Focolare Nazionale Ebraico in Palestina». Ai primi di luglio del '43 il sottosegretario agli Esteri Giuseppe Bastìanini trasmette ai tedeschi una dichiarazione che dovrebbe impegnare le potenze dell'Asse a dichiararsi contrarie «a qualunque soluzione della questione palestinese — compreso il progetto di un Focolare Nazionale Ebraico in Palestina — che contrasti con le aspirazioni e gli interessi del popolo arabo». In quel momento in cui gli alleati stavano dilagando in tutto il Mediterraneo (alla vigìlia dello sbarco in Sicilia e della caduta del fascismo) dichiarazioni come quella proposta da Bastìanini non erano certo giustificate da contingenze diplomatiche. Anzi. La vocazione filoaraba della politica estera italiana che in qualche misura già preesisteva al fascismo prendeva il sopravvento sulle esigenze tattiche di un regime traballante; anche degli uomini come Bastìanini che si accingevano a votar contro Mussolini nella notte del Gran Consiglio e avrebbero avuto dunque tutto l'interesse a trovare punti, d'incontro con gli anglo-americani. Una vocazione di cui si riconoscono, almeno in parte, le radici in questa gran mole di documenti che ora vengono alla luce dopo essere rimasti sepolti per più di quarant'annfc» oloquoa t Paolo Mieli Roma, 1938. Mussolini con Ciano assiste a una parata