Slatko, pastore d'Abruzzo di Giuseppe Zaccaria

Slatkn, pastore d'Abruzzo UN ESERCITO D'IMMIGRATI NEL SUD DEGLI EMIGRANTI Slatkn, pastore d'Abruzzo , p — "™ — Sono centinaia i serbi, macedoni, sloveni che si isolano per mesi sui pascoli dell'Aquilano o nelle piane del Tavoliere, se le greggi praticano la transumanza - «La fondo, è grazie a loro se qui la pastorizia torna a essere un'attività che rende» -1 clandestini lavorano il doppio dei locali, guadagnando la metà, ma non esistono vertenze - E altri arrivano dal Portogallo DAL NOSTRO INVIATO L'AQUILA — Alle cinque in punto, quale che sia la stagione, Slatto) Vujkalc, trentotto anni, smette di dormire. Non ha bisogno di sveglia: quando a scuoterlo non è il chiarore del giorno sono i tempi di una specie di orologio animale - misurato sui ritmi del gregge. Niente toilette, tanto nel rifugio si dorme vestiti. Bisogna aprire gli stasiti, portar fuori le pecore quando i prati sono ancora ghiacciati, raggiungere il pascolo mentre la brina comincia a sciogliersi, cosi l'erba del Piano di Fiugni sarà più tenera. Durerà ancora pochi giorni, poi sul Gran Sasso la neve si farà piti abbondante, le giornate più gelide. Allora per piccole valli bisognerà scendere a Fonte Vetica, quindi alla Fossa di Paganica, sempre più in giù, inseguendo le ultime pasture fino ai ricoveri invernali di Assergi, Bazzana, Civitella Alfedena. Le strade di montagna, allora, saranno un po' più frequentate, capiterà di imbattersi in luccicanti •quattro per quattro' targate Roma dirette a Campo Felice o a Roccaraso. Dalle automobili partiranno colpi di clacson, Slatto) il bosniaco risponderà con una specie di saluto littorio. E ai bambini di città i padri chiederanno: «Hai visto il pastore d'Abruzzo?». / pastori d'Abruzzo ormai lanciano richiami in serbo, macedone, sloveno. Arrivano dalla Jugoslavia con l'etichetta di turisti o studenti, trovano un mercato sempre più affamato di braccia, lavorano qualche mese, solitamente «in nero», ripartono, si fanno sostituire da parenti o amici, tornano ancora. La pecora, dicono nell'Aquilano, «vule quanto costa», ogni anno fra latte, agnelli, lana, ripaga l'allevatore del suo prezzo, %poA,per otto; nowfa stagioni almeno. Ma perché questo piccolo prodigio economico si rinnovi occorre che qualcuno segua le greggi, che abbandoni ogni consuetudine per calarsi in un mestiere antico, isolandosi mesi in montagna o nelle piane del Tavoliere, se le greggi praticano la transumanza. In Abruzzo non c'è più un solo giovane che sarebbe dispasto a tanto, come nessuno nella pianura Pontina o in Terra di lavoro (il Casertano) accetta più di spezzarsi le reni nella raccolta dei pomodori, e in Sicilia di imbarcarsi come uomo di fatica su un peschereccio. Ma a Nord del Terzo Mondo c'è sempre chi è pronto a subentrare agli al¬ tri nelle attività più dure, wfaff!$£ l'esercito degli immigrati continua a ingrossarsi. A questi paria del mercato del lavoro, che occupano spazi sempre nuovi e un po' alla volta si stanno rendendo indispensabili, ci sono aree del Mezzogiorno che cominciano a guardare con una punta di preoccupazione. L'Abruzzo, al contrario, accoglie questa corrente di immigrazione •specializzata' con autentico sollievo. Sarà perché gli slavi non sono ancora tanti da porre problemi di integrazione, sarà perché forse hanno solcato quello che altrimenti sarebbe scomparso. «Clandestini si, ma benedetti». Umberto Di Prospero, segretario dell'Associazione aquilana degli allenatori. non ha dubbi: «Se gli slavi non fossero arrivati molte aziende, soprattutto quelle a dimensione familiare, avrebbero già chiuso». Nella provincia, spiega, si allevano ancora quasi 180 mila capi, altrettanti nella zona di Teramo: per i proprietari, seguire gli armenti senza l'aiuto dei garzoni — anzi, dei •pecorari* — non sarebbe stato possibile. I primi», racconta Tullio De Rubeis, per quindici anni sindaco dell'Aquila, «arrivarono cinque, sei anni fa dalle campagne del Lazio: in Jugoslavia la pastorizia ha ancora forti tradizioni, era gente che ci sapeva fare. All'inizio se ne vedevano pochi, anche perché quello non è lavoro che facuiti i contatti con la gente.» Poi la voce si è sparsa,'gli arrivi si-sono fatti più massicci. ' Quanti'- sono adesso? Non saprei dirlo, qui intorno forse qualche decina. Ma bisognerebbe verificare anche a Teramo, Sulmona, Chletl, vedere azienda per azienda...». Impresa ardua, se non altro perché i lavoratori clandestini non hanno alcun interesse a lasciarsi contare. Ma se si procede a campione una stima è possibile. All'Aquila, in meno di tre mesi la questura ha rimandato in Jugoslavia otto persone che lavoravano senza permesso. Nei tre allevamenti di Assergi, sedici chilometri dal capoluogo, 680 abitanti, gli slavi sono già una decina. In paese in questi giorni ce ne sono tre, gli altri sono con le greggi in montagna. Tra medie, piccole e piccolissime, le aziende d'allevamento d'Abruzzo sono più di millecinquecento: pensare che si affidino almeno a tre, quattrocento stranieri sarebbe azzardato? II sindaco di Assergi, Enzo Lombardi, democristiano, dice che comunque quei forestieri non hanno creato problemi. «Li si vede poco in giro: tranquilli, riservati, non riescono a incontrarsi molto neppure fra di loro. La gente li rispetta, li apprezza. In fondo, è grazie a loro che la pastorizia torna a essere un'attività che rende». Oià: ma quanto? Secondo l'Associazione degli allevatori la pecora « sopra vissana la più diffusa in Abruzzo, piccola, resistente, abituata a sopravvivere con nulla, rende al lordo intorno alle 150 mila lire l'anno. Per la Regione, fanno più o meno SO miliardi. Al pastore, spiega Lucio Stanescia, della Con/coltivatori, spetterebbero un milione e centomila al mese, per sei ore e quaranta minuti di lavoro al giorno. «I clandestini difficilmente superano le sei, settecento mila lire, e spesso lavorano per undici, dodici ore. Ma è un sistema che, nonostante tutto, regge. Oltre alla paga ci sono il vitto, un alloggio magari precario, quei piccoli compensi in natura che appartengono alla tradizione». In qualche misura, la comparsa del clandestini sembra aver ripristinato anche antiche forme di baratto. «Qualcuno mi ha detto di aver visto un giovane pastore di Belgrado che in montagna, da solo, studiava». Le vertenze non esistono: pastori e •padroni» ■ fanno praticamente la stessa vita. Qualche mdsszapcdpdza mese fa, quando il ministro dell'Interno annunciò una stretta di vite nei controlli sugli stranieri, all'Associazione allevatori ci fu chi andò a protestare, temendo per il futuro di un settore cosi precariamente risorto. E se gli slavi, un giorno, dovessero andar via? Nelle pianure laziali questa spècie di ricambio sembra già iniziato. Slatto) torna a casa, arriva Joao: si sta scoprendo che i pastori possono arrivare anche dal Portogallo. Ma perché l'avvicendamento si compia occorreranno anni, passerà più di un Natale. A proposito: tra gli slavi c'è chi ha pensato di mettere a profitto le lunghe attese montane. Fra qualche giorno li vedrete girare in città con feltro e tabarro. I •pastori d'Abruzzo» hanno imparato a suonare la zampogna. Giuseppe Zaccaria • Uri pastore guida il gregge verso i) Gran Sasso: una fotografia di Fulvio Roiter (Dal volume «Terra d'Abruzzo», ed. Ferri)

Persone citate: Bazzana, Enzo Lombardi, Fulvio Roiter, Joao, Lucio Stanescia, Tullio De Rubeis, Umberto Di Prospero