Fra Diavolo sul Po di Primo Levi

Fra Diavolo sul Po LIBRI, MOSCHETTO E UN INCUBO Fra Diavolo sul Po Prima delle attuali confuse riforme, la licenza liceale era un'impresa da far tremare, un decathlon; al maturando si richiedevano quattro prove scritte, ed esami orali su tutte le materie trattate in tutti i tre anni di liceo: in pratica, su un condensato dell'intero scibile. Perciò si arrivava al giorno del primo esame esausti, in uno stato d'animo esagitato ed insieme fatalistico, poiché era chiaro a tutti che sull'esito finale la fortuna avrebbe svolto una funzione predominante. Appunto all'antivigilia del primo esame, il tema scritto d'italiano, ricevetti, nel luglio 1936, una minacciosa cartolina rossa intestata al Ministero della guerra: mi dovevo presentare il giorno dopo all'Idroscalo (quello, sul Po, da cui partiva l'idrovolantc per Venezia: quanti torinesi lo ricordano?) per comunicazioni urgenti. Ci andai col cuore presago, trovai accanto a me un altro adolescente.che (la cosa non è mai stata chiarita) si chiamava Levi anche lui, e davanti a me un energumeno in divisa fascista, che ci investì con una valanga di insulti, accuse e minacce. Era scarlatto in viso, in preda ad un parossismo di collera; ci accusò nientemeno che di tentata diserzione. Eravamo due vigliacchi: secondo lui, non avevamo risposto ad una precedente chiamata, allo scopo evidente di evitaré'il servizio militare nella Regia Marina: sì, perché proprio noi due eravamo stati estratti a sorte a Torino per la leva di mare. Ventiquattro mesi di ferma non ce li levava nessuno. lo a quel tempo non sapevo neppure nuotare, e. a dispetto delle mie letture di Stevenson e di Dcfoe la prospettiva di diventare un marinaio mi pareva assurda e spavento- sa. Tornai a casa terrorizzato; il giorno dopo consegnai un tema d'italiano striminzito e demenziale, tanto che, giustamente, mi presi un 3, fui escluso dalla prova orale e rimandato ad ottobre. Era la prima insufficienza della mia immacolata carriera scolastica, mi suonò poco meno che come una condanna all'ergastolo. Superai le altre prove solo grazie ad uno sforzo estenuante. ** Ci fu un consiglio di famiglia; mio padre, poveretto, già gravemente ammalato, si accinse a fare il giro delle autorità competenti, dal distretto militare al podestà al provveditore agli studi alla fedetaziofascista. Ne venne fuori una sola soluzione paradossale, una fuga in avanti: avrei evitato la leva di mare se mi fossi arruolato il più presto possibile al corso premilitare presso la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, insomma la MVSN fascista. Così, nell'autunno seguente, superata la prova d'appello d'italiano, mi iscrissi all'università e mi trovai nei panni di Milite Universitario. A quel tempo non ero né fascista né antifascista; vestire una divisa non mi dava alcuna fierezza, bensì un impreciso fastidio (soprattutto per via degli stivali), mentre invece, lo devo ammettere, la marcia al passo, in ordine chiuso, non mi spiaceva, specialmente se al suono di una banda. Era una danza, e insieme mi dava la sensazione di appartenere a un blocco umano, di fondermi in un gruppo omogeneo. Ho poi saputo che Einstein dichiarava di non comprendere il tipo d'uomo che ricava piacere dal camminare al passo; bene, io a quel tempo appartenevo questo tipo, anche se sette anni dopo certe altre marce al passo mi hanno fatto mutare radicalmente parere. ta«€^di«is«8petìé ftpmfc-aqtii! la, fasci littori, giacca e pantaloni grigioverde e camicia nera. La routine dell'istruzione premilitare avrebbe dovuto farmi presagire molto di quel lo che sarebbe avvenuto Italia dopo l'entrata in guerra del 1940: basti dire che durante tutto il corso non solo non sparai neppure un colpo d'arma da fuoco, ma neanche vidi mai di lontano come fossero fatti i caricatori del pesantissi mo moschetto modello 91 L'adunata era al sabato pomeriggio nel cortile. dell'Uni versità di via Po, in un corri doio della quale stava l'armeria della Milizia Universitaria. Bisognava presentarsi in divi sa, e ad ognuno veniva consegnato il moschetto; in cima al moschetto era inastata la baionetta coi suoi due incavi laterali «perché scolasse via il sangue», e nel passante della guaina della baionetta era infilato il cinturone con le giberne, destinate a contenere le munizioni ma naturalmente vuote. Indossato il cinturone, nelle giberne mettevamo pane fzu«pr a e e e salame per la merenda, e i fumatori le sigarette. L'istruzione premilitare consisteva unicamente nel noiosissimo «ordine chiuso», ed in lunghe passeggiate in collina che sarebbero state gradevoli se non fosse stato per gli odiosi stivali che scorticavano caviglie e piedi. Se non sbaglio, del mio manipolo l'unico universitario autentico ero io. Gli altri studiavano da geometri o da ragionieri; tutti si erano iscritti alla M.U. per i vari vantaggi d'ordine temporale che se ne potevano ricavare, neanche uno per fede fascista. Quelli che mi trovavo sempre vicini nella squadra, perche avevano la mia statura, erano quattro bravi ragazzi arguti e cordiali, po' puttanieri, che con l'aiuto del moschetto si divertivano a recitare la parte dei Fra Diavolo. Si chiamavano a vicenda Canù Vaché (Canuto 1 Vaccaro), Cravé (Cravcro) Bastarti, Comi Schifùs e Simoncclli Struns: come nei testi omerici, l'attributo era fisso faceva parte integrante del nome; per loro era l'equivalente di un titolo onorifico. ** Comi Schifùs, in specie, era una mia vecchia conoscenza. Era stato mio compagno di scuola nelle elementari, e già allora si studiava di essere schifoso meglio che poteva: di tutta la classe era il solo capace di leccarsi la suola delle scarpe, beninteso glicrlc. Mi è grato riportare qui il nome di questi lontani commilitoni, nel caso che qualcuno di loro dovesse riconoscersi. Uno di loro aveva composto strofe amabilmente oscene in cui ricorrevano nomi surreali delle parti in cui si smontava il già nominato moschetto, «cane con guida», «bottone zigrinato», «tubetto con nasello», ed altre che non ricordo perché, di fatto, il moschetto non veniva mai smon||MW>àpy|>me armaci- atta a impedire i movimenti. Grazie alle leggi razziali, la mia milizia è durata poco: nel settembre del 1938 fui invitato a restituire la divisa, e lo feci senza rimpianto. Ma al mio ritorno dalla prigionia in Germania, nel 1945, mi dovetti accorgere che l'incubo del servizio militare in marina non era svanito: risultavo tuttora iscritto alla leva di mare, perciò fui convocato al distretto per ricostruire la mia posizione, spogliato nudo e sottoposto alla visita medica regolamentare, insieme con le reclute del '27. Ero un po' malconcio, ma il medico mi voleva fare abile. Ci fu una contrattazione: per quanto strano possa sembrare, io non possedevo al cun documento che attcstasse il mio anno di Auschwitz, salvo il numero tatuato sul braccio. Dopo lunghe spiegazioni e suppliche, il medico accondiscese dapprima a «farmi» ri vedibile, e poi a riformarmi definitivamente. Così si è conclusa la mia breve carriera mi litare. Primo Levi

Persone citate: Canuto, Comi, Comi Schifùs, Einstein, Libri, Stevenson, Vaccaro

Luoghi citati: Germania, Italia, Torino, Venezia