La guerra in retrovia dei Baroni decaduti

La guerra in retrovia dei Baroni decaduti La guerra in retrovia dei Baroni decaduti Gli uomini politici francesi non si sono ancora riavuti da quella sorpresa assoluta che e stata l'esplosione del movimento degli studenti universitari e liceali: un fenomeno che non ha possibili termini di paragone, frutto di ispirazioni tanto diverse, e soprattutto d'una portata che sbalordisce quanto la sua straordinaria non-violenza. Fra mille domande se ne pone una, e impellente, perché dalla risposta dipendono gli sviluppi della vicenda: da che parte stanno i professori? Negli Anni Trenta si disse della Terza Repubblica che era «la Repubblica dei professori», per il peso che gli ex allievi dell'£co/e Normale Supérieure avevano nel corpo dirigente. Ma autori della grande riforma dell'insegnamento, nel 1925, erano stati uomini politici. La Quarta, e poi la Quinta Repubblica, sono state — o sono — feudi privilegiati, se non esclusivi, dei «tecnocrati», ex allievi dell'Ecofe Nattonale d'Administration. La differenza è enorme, io si vede nella pratica da anni: sta nel fatto che le scelte grandi e piccole del potere derivano da considerazioni tecniche più che da decisioni squisitatamente politiche. La colorazione di queste diverse scelte rispetta in maniera piuttosto scialba quella della maggioranza. I *chers professeurs», si diceva ironicamente all'epoca della guerra d'Algeria, quando i maestri di coloro che oggi governano protestavano contro la tortura e difendevano la loro prerogativa di intellettuali. Gli stessi che raccolsero la sfida del Maggio '68; i più giovani di loro ispirarono e aiutarono Edgar Paure — uomo politico per ecellenza — nel rea lizzare le indispensabili e profonde riforme delle strutture universitarie che in particolare, intaccarono l'autorità e i privilegi, la stessa sovranità di chi regnava dall'alto della catte dia. Ma un altro gruppo, indipendentemente dalle affiliazioni alla destra o alla sinistra, non rinunciò mai a restaurare i segni esteriori poteri assoluti dell'oligarchia accademica. Anno dopo anno operò dietro ogni maggioranza, dietro tutti i ministri che piegavano la loro autorità politica al cospetto dell'autorità scientifica. Dopo il 1981 la maggioranza di sinistra, con i ministri Savary e Chevenement, elaborò due riforme, di cui soltanto la prima fu votata. Dietro alcuni principi conclamati, le realtà non cambiavano affatto: non venivano effettivamente introdotte pari possibilità per tutti, né privilegiate le capacità rispetto al denaro. La vera riforma strutturale era di fatto paralizzata dalla pletora di considerazioni e di progetti, e dalla confusione degli obiettivi. La «Legge Devaquet» contro la quale gli studenti sono insorti è stata il frutto di una rivincita, la rivincita di una minoranza di professori ostinatamente decisi a ricostituire l'università come casta qual era prima del '68. Un sistema nel quale tutto il potere appartiene ai titolari delle cattedre e da loro discende, aumentando la misura della loro rappresentanza in tutti gli organi di gestione. Non soltanto il sistema di vassallaggio e di clientelismo vi si trovava rafforzato: era anche fondamentale a qualsiasi logica di carriera. Allo stesso tempo, le università diventavano «federazioni» di unità autonome consacrate a specializzazioni. Questo equivaleva a instaurare altrettanti feudi, altrettanti ghetti, a inasprire le rivalità tra uomini, a complicare considerevolmente le condizioni della ricerca concedendo l'autonomia finanziaria a quelle unità. E quindi insegnamenti stagni, regresso di qualsiasi feconda evoluzione verso l'interdisciplinarità, e, in un periodo prevedibile, rallentamento, anzi esaurimento dei vari settori dello sviluppo scientifico francese. Questi pericoli erano stati lucidamente scorti da alcuni professori di tendenza moderata, che avevano ammonito il primo ministro. Ma si è capito che questi e i dirigenti del partito gollista ragionavano soltanto in termi¬ ni di bilancio politico, di giochi di potere, di equilibri interni alla maggioranza, ignorando bellamente ì sussulti d'inquietudine che da alcune settimane scuotevano gli studenti. I quali scorgevano anche un elemento di discriminazione attraverso il denaro nella codificazione delle modalità di selezione per l'accesso all'università. Modalità che erano già praticate, ma non ammesse ufficialmente. I professoriconsiglieri del ministro ne facevano una questione di principio, andando controcorrente anche rispetto all'intera evoluzione repubblicana. Insomma, quella legge conteneva in embrione l'architettura di una struttura di «mandarini» completamente avulsa dalle realtà della vita del Paese, dalle aspirazioni e dalle angosce degli studenti, le cui lauree sono in troppi casi inadeguate alle esigenze degli eventuali datori di lavoro. Era pura utopia pretendere che, in virtù del liberalismo, le università autonome e concorrenziali avrebbero prodotto una miglior qualità dell'insegnamento. Il paradosso é che Devaquet, egli stesso ricercatore scientifico di fama, era scettico nei confronti della legge che portava il suo nome. Al di là delle ragioni immediate e legittime, la rivolta studentesca era diretta contro una linea evolutiva di fondo che riguarda tutte le società attuali, indipendentemente dalla loro appartenenza all'Est o all'Ovest, alle democrazie e alle dittature: l'inserimento precoce in sfere d'influenza, di caste, in reti di sistemi relazionali chiusi, unici in grado di garantire efficienza operativa e certezza del destino. E' il preludio codificato a ogni «sistema di spartizione», il cui funzionamento non suscita più scandalo in nessuno. Il contrario assoluto delle «pari possibilità in partenza». Gli studenti non volevano che l'università ne divenisse il grembo; un certo numero di influenti professori non vi ha rinunciato. Ma la stessa generazione di adolescenti scende in piazza due volte? Jacques Nobécourt

Persone citate: Edgar Paure, Jacques Nobécourt, Quarta, Savary

Luoghi citati: Algeria